blogtecaolivelli
blog informazione e cultura della biblioteca Olivelli
TAG
TAG
Messaggi del 26/02/2019
Post n°1958 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
La struttura del Piacere risente della lezione di naturalismo e verismo, oltre che del simbolismo. Tuttavia, allo stesso tempo, se ne distacca, introducendo elementi di novità, e andando nella direzione della letteratura decadente antinaturalista. Il lessico utilizzato è conforme al comportamento e all'educazione da esteta di Andrea Sperelli: pregiato, quasi artefatto, aulico e molto elaborato, in particolar modo nella descrizione degli ambienti e nell'analisi degli stati d'animo. Si prendano ad esempio l'uso di troncamenti, o le forme arcaiche e letterarie, come nel caso di articoli e preposizioni articolate. Anche se l'eloquenza e la ricercatezza tendono ad appiattire il registro verbale, come succede per l'uso di metafore e comparazioni che talvolta complicano ed intensificano momenti carichi di tensione. La sintassi è prettamente paratattica, in grado di rafforzare la tendenza all'elencazione, alla comparazione, all'anafora, e la prosa è ricca, allusiva e musicale, tanto da assumere una funzione espressiva più che comunicativa. Inoltre, l'autore usa fare riferimenti a opere letterarie e a rtistiche per conferire un tono più elevato al romanzo, senza prescindere da vocaboli in inglese, greco, tedesco, D'Annunzio affida la narrazione delle vicende a un narratore onnisciente in terza persona, alternando due punti di vista: quello critico del narratore e quello interno del protagonista. Altro elemento di novità è l'attenzione per emozioni e sentimenti e la semplificazione della trama, che è giocata più sull'interiorità dei personaggi che su meri fatti, concentrandosi in particolare sulle sensazioni che vengono generate dai luoghi e dagli oggetti. Da qui deriva anche l'uso del flashback, che rompe lo schema lineare della narrazione, seguendo piuttosto le vicende interiori dei personaggi. PersonaggiAndrea Sperelli
Il protagonista del romanzo è un esteta - come il barone Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray di Oscar Wilde - che, seguendo la tradizione di famiglia, ricerca il bello e disprezza ilmondo borghese, conduce una vita eccezionale, «costruisce» la sua vita come un'opera d'arte e rifiuta le regole basilari del vivere morale e sociale. La sua sensibilità straordinaria implica, però, una certa corruzione, che fa parte della ideologia e psicologia del dandy, e che in parte è dovuta allo stile di vita dell'alta società del tempo. Andrea Sperelli vive tutto ciò con intima sofferenza, a causa della degradazione di quella forza morale che, secondo gli insegnamenti del padre, è necessaria a uno spirito forte per dominare le proprie |
Post n°1957 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Questo suo atteggiamento ha, dunque, una ragione più profonda. Sperelli ha vissuto la separazione dei genitori, la madre ha anteposto l'amante al figlio e il padre lo ha spinto verso l'arte, l'estetica e gli amori e le avventure facili. È forse per questa infanzia che Andrea passa da una storia all'altra, senza nessun rimpianto o amarezza, che studia cinicamente e accuratamente ciò che dovrà dire ad una donna per sedurla ed ottenere da lei quello che lui vuole. Andrea è, d'altronde, segnato nel suo intimo da una duplicità, che è il cuore stesso del romanzo: di fronte alla precarietà e instabilità del reale, anche il carattere del protagonista risulterà mutevole e cangiante. Egli è abituato a scindersi tra ciò che è e ciò che deve apparire, pensa che la vita sia artificio, e per questo motivo fonda la sua esistenza sulla doppiezza e sulla menzogna. Ma proprio questo atteggiamento sarà la causa della sua sconfitta intellettuale, morale e sentimentale. Abituato a considerare solo il valore simbolico e non quello fattuale delle cose, a «metaforizzare il reale», Andrea finisce per essere travolto dalla sovrapposizione di realtà e finzione, rappresentata dalla sovrapposizione delle due donne, Elena e Maria. Questo personaggio, che è tipico della letteratura decadente e simbolista, segue l'ideologia ùdannunziana, non solo per quello che concerneù l'estetismo, ma soprattutto perché denuncia la ùcrisi dei valori e degli ideali aristocratici di fronte ùalla meschinità del mondo borghese. Il protagonista e il narratore Una certa ambiguità è ravvisabile anche nell'atteggiamento che l'autore-narratore D'Annunzio ha nei confronti del suo personaggio. Se non è possibile dire, semplicisticamente, che Andrea Sperelli sia l'alter ego del poeta, è però senz'altro vero che l'autore si immedesima nel protagonista: Andrea è ciò che D'Annunzio è e che vorrebbe essere, impersona le sue esperienze effettive e quelle aspirate, è nobile e ricco, intellettuale e seduttore, timido come Cherubino e cinico come Don Giovanni, accede facilmente ai ritrovi mondani e ai salotti della nobiltà.In più, quasi a saldare questo legame, D'Annunzio pone se stesso tra gli artisti prediletti dal giovane dandy. Da un lato, quindi, Andrea Sperelli è un ritratto del D'Annunzio-autore, ma dall'altro egli è oggetto di critiche da parte del narratore, che ne condanna il cinismo e la perversione. La sua debolezza morale e la grandiosità delle sue opere, unite insieme, conferiscono fascino al personaggio e rimarcano, ancora una volta, la duplicità e l'ambiguità insite in lui: cinico e sensibile, falso eppure sentimentale, egoista ma anche amorevole, Andrea Sperelli si erge per le sue doti di esteta e artista, e allo stesso tempo decade, si decompone, rivelandosi insieme un inetto e un superuomo ante tempus. Andrea Sperelli in quanto esteta non condivide la cultura di massa che considera causa dell'imbarbarimento delle raffinate tradizioni artistico - culturali:" Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte." (Cap. II). Elena Muti e Maria Ferres La duplicità già descritta si incontra anche nei personaggi femminili, che non a caso sono due. L'immaginario della donna nel Piacere si lega a quello del Decadentismo: oscilla tra la sensualità sottile, metamorfica e finemente viziosa, e l'immagine, descritta in maniera vellutata e prettamentepreraffaelita, della donna delicata ed eterea, anche se entrambe estremizzate e molte volte mescolate. Tale immaginario si sdoppia tra la seduzione sessuale e passionale di Elena Muti, esponente di una cultura mediocre, dell'eros, dell'istinto carnale, espressione di piacere e lascivia, che ricorre spesso ai versi di Goethe (poeta sensuale), e la sanità spirituale e quasi mistica di Maria Ferres, colta, intelligente e sensibile all'arte e alla musica, legata alla famiglia e in particolare alla figlia Delfina, molto religiosa, che nel corso del romanzo assume una natura quasi misteriosa, passionale, inafferrabile, ricorrendo ai versi di un poeta malinconico quale Shelley La contrapposizione tra le due si fa emblematica anche nel nome: la prima ricorda colei che fece scoppiare la guerra di Troia, la seconda la Tuttavia, anche le due donne sono sottoposte alla legge dello scambio che caratterizza il Piacere. Ciò diventa evidente nella mistione cerebrale che Andrea fa delle due: è un processo di identificazione, che conduce dapprima a una sovrapposizione sentimentale, e poi allo scambio dell'una con l'altra. |
Post n°1956 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
fonte: Wikipedia Il piacere è ambientato a Roma e dintorni, tra gli anni 1885 e 1887, nello stesso contesto storico in cui fu scritto. E proprio le vicende storiche e politiche dell'epoca, che fanno da sfondo al romanzo, sono importanti per poter comprendere lo stile di vita e la psicologia dei personaggi. Caduta nel 1876 la Destra storica che aveva governato l'Italia dalla formazione del Regno nel 1861, il re chiama al governo Agostino Depretis, un ex mazziniano che forma un ministero con uomini della Sinistra parlamentare, tenendo il potere fino al 1887. A Depretis succede il siciliano Francesco Crispi, che governa, a fasi alterne, fino al 1896. La politica economica della Sinistra storica fu caratterizzata dal protezionismo nei confronti di industrie e grandi aziende agrarie nazionali, fino alla guerra doganale con la Francia. In politica estera, invece, fu centrale l'ingresso nel 1882 nella Triplice Alleanza, a carattere difensivo, con Austria e Germania. Viene inoltre inaugurata la politica coloniale, con l'occupazione dell'Eritrea e la sconfitta di Dogali del 1887, che portarono nel1889 alla firma Trattato di Uccialli, e alla costituzione della prima colonia italiana in Africa. Crispi in particolare fu protagonista di importanti mutamenti, come la riforma del codice penale (Codice Zanardelli) e l'abolizione della pena di morte, ma anche di repressioni ai danni delle associazioni cattoliche e del Tutto ciò si colloca nella "grande depressione" economica che colpì l'Europa alla fine del secolo. Il periodo fu caratterizzato da alcuni mutamenti nella struttura socio-economica delle grandi nazioni occidentali: concentrazioni industriali e finanziarie (trust, monopoli) sostenute dallo Stato (protezionismo), conseguente crisi del liberalismo e nascita di nuove tendenze autoritarie. Queste tendenze si scontrano con le conquiste sociali precedentemente ottenute dalle classi lavoratrici e con la formazione di grandi partiti di massa (socialisti e socialdemocratici), che diventano la struttura portante della società industriale. In questa situazione, artisti e intellettuali scelgono spesso una collocazione divergente o di autoemarginazione dalle masse, dalla vita "ordinaria" promossa dal nuovo modello produttivo capitalistico, e dalla mercificazione dell'opera d'arte, assumendo atteggiamenti eccentrici ed elitari, o provocatori e demistificanti. Elementi biografici D'Annunzio compose Il piacere tra il luglio 1888 e il gennaio 1889, a Francavilla al Mare, dove era ospite del pittore Francesco Paolo Michetti. Il poeta era stato fino ad allora collaboratore fisso del giornale La Tribuna di Roma, da cui dipendeva sul piano economico dalla fine del 1884, dopo la fuga d'amore e il matrimonio riparatore con la duchessina Maria Hardouin di Gallese. Nel luglio 1888 D'Annunzio abbandona l'attività giornalistica per concentrarsi esclusivamente alla stesura del suo primo romanzo,vertice della prima fase della sua produzione letteraria, nel quale riverserà il frutto di anni di preparazione e studio,e in cui ritorneranno vari elementi biografici, prima fra tutti la sua travagliata vita sentimentale, divisa tra l'amore per la moglie legittima e madre di suo figlio, Maria Hardouin e la passione per l'amante di alloraBarbara Leoni. Uno dei risultati più impressionanti della sua apparizione nel mondo letterario fu la creazione di un vero e proprio "pubblico dannunziano", condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. D'Annunzio creò attorno a sé un'aura di fascino, sia con la sua condotta scandalosa, sia con il suo culto della bellezza e il disprezzo per i valori borghesi. Il poeta conduceva una vita principesca, tra residenze di lusso e oggetti d'arte - uno stile di vita che però richiedeva fiumi di denaro, ricadendo quindi nelle dinamiche borghesi da lui tanto deprecate. Cosciente di questo paradosso, lo scrittore si rende conto della debolezza dell'estetismo: da ciò l'immagine fallimentare che ne viene data nel Piacere, la denuncia dell'incoerenza, la mancanza di autenticità e spontaneità di Andrea Sperelli. I modelli letterari di riferimento Ne Il Piacere è ravvisabile una fitta rete di rimandi a vari modelli letterari e artistici, legati sia all'ambiente romano in cui il poeta era inserito, sia alla lettura di autori a lui contemporanei, per lo più francesi. Parigi fu, negli anni della Terza Repubblica e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, la capitale culturale d'Europa, la città in cui vennero elaborati i modelli, gli atteggiamenti, i programmi dei principali movimenti culturali, il luogo di attrazione di tutti gli artisti e scrittori europei. D'Annunzio utilizzò il suo impiego giornalistico alla "Tribuna" di Roma per esplorare e assimilare i nuovi modelli letterari francesi ed europei in generale, attraverso il continuo rapporto con altri intellettuali e scrittori. Alle sue influenze precedenti, che comprendevano Charles Baudelaire,Théophile Gautier, l'estetica preraffaellita elaborata dai critici del giornale Cronaca bizantina, eGoethe, si aggiunsero dunque quelle provenienti dalla nuova fonte di ispirazione francese, comeGustave Flaubert, Guy de Maupassant, Émile Zola, ma anche Percy Bysshe Shelley, Oscar Wildee forse la lettura di À rebours di Joris Karl Huysmans. Di grande importanza sono poi gli influssi dell'ambiente romano. D'Annunzio giunse nella capitale nel 1881, e i dieci anni che vi trascorse furono decisivi per la formazione del suo stile: nel rapporto con l'ambiente culturale e mondano della città si formò il nucleo della sua visione del mondo. Centrale fu in particolare la sua collaborazione alla rivista Cronaca Bizantina, di proprietà dello spregiudicato editore Angelo Sommaruga, il primo a pubblicare libri del giovane poeta.La rivista, che aveva una linea editoriale orientata alle concezioni letterarie moderne in voga allora (tanto da parlare di una «Roma bizantina») e di cui lo stesso D'Annunzio fu direttore per breve tempo nel 1885, ospitava rubriche di letteratura firmate da importanti artisti e scrittori inseriti nell'ambiente giornalistico, tra cui spiccano Edoardo Scarfoglio, Ugo Fleres, Giulio Salvadori e altri. Sempre a questi anni risale l'amicizia con il musicista Francesco Paolo Tosti e il pittore Francesco Paolo Michetti. Inoltre, D'Annunzio fu collaboratore di molte altre testate romane, e dal 1884 al 1888 scrisse di arte e di cronaca mondana per il quotidiano La Tribuna, firmando con vari pseudonimi e occupandosi di mostre d'arte, ricevimenti aristocratici e aste d'antiquariato. Attraverso questa intensissima attività D'Annunzio si costruì un personale e inesauribile archivio di stili e registri di scrittura, da cui attinse poi per le sue opere di narrativa. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente "a fuoco" il proprio mondo di riferimento culturale, nel quale si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive, condannandosi così per molti anni ad accumulare debiti e a fuggire dai creditori. Si può quindi parlare, tanto nelle opere quanto nella vita di D'Annunzio, di una idealizzazione del mondo, che viene ad essere circoscritto nella dimensione del mito. La sua fantasia lottò prepotentemente per imporre sulla realtà del presente, vissuto con disprezzo, i valori alti ed eterni di un passato visto come modello di vita e di bellezza. Il ruolo dell'arte Valore assoluto del Piacere è l'arte, la quale rappresenta per Andrea Sperelli un programma estetico e un modello di vita, a cui subordina tutto il resto, giungendo alla corruzione fisica e morale (è il tipico dandy, formatosi nell'alta cultura e votato all'edonismo). È, insomma, la realizzazione di un'elevazione sociale e di quel processo psicologico che affina i sensi e le sensazioni:
Dopo la convalescenza, successiva alla ferita procuratasi a causa del duello con Giannetto Rutolo, Andrea scopre che l'unico amore possibile è quello dell'arte,
Questa attrazione per l'arte viene rappresentata dall'inclinazione di Andrea verso la poesia, che
Il culto «profondo e appassionato dell'arte» diventa per Andrea l'unica ragione di vita, tirato in gioco anche nei rapporti con Elena Muti e Donna Maria Ferres, perché egli è convinto che la sensibilità artistica illumini i sensi e colga nelle apparenze le linee invisibili, percepisca l'impercettibile, indovini i pensieri nascosti della natura. Senza dubbio, «i miraggi erotici, tutte le insane orge dei sensi si fondano su una profonda corruzione del sentimento. [...] L'arte si dissolve nella minuziosità di un estetismo individualmente raffinato, si limita alla forma e non penetra la sostanza» (appunto di lettura del Michelstaedter sul Piacere). Tuttavia, messe da parte l'autosuggestione decadente e la tendenza alla spettacolarizzazione di D'Annunzio, l'accostamento tra arte e bellezza, arte e vita è una risposta, energica ed eloquente, verso la massificazione dell'arte e la mercificazione del letterato e della letteratura. Il Piacere è l'agonia dell'ideale aristocratico di bellezza. Racconta la vacuità e la decadenza della società aristocratica, infettata dall'edonismo, vicina al proprio annichilimento morale, poiché il valore del profitto ha sostituito quella della bellezza. Emblematica è la fine del romanzo: Andrea, vinto, disfatte le proprie avventure amorose, vaga per le antiche stanze del palazzo del ministro del Guatemala, disabitato, in rovina, il cui arredamento è stato venduto all'asta. |
Post n°1955 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. La figlia di Iorio è una tragedia in tre atti del 1903 di Gabriele D'Annunzio. Origine L'autore, che proprio l'anno precedente aveva realizzato alcuni dei suoi capolavori lirici come Alcione, si distaccò da Eleonora Duse e piombò in una spirale di lussi e di debiti. Affrontò, dopo il successo della Figlia di Iorio, un breve periodo di difficoltà creativa ed artistica. Lo stesso d'Annunzio scrisse in una lettera al pittore Michetti, amico e corealizzatore della trama: "Tutto è nuovo in questa tragedia e tutto è semplice. Tutto è violento e tutto è pacato nello stesso tempo. L'uomo primitivo, nella natura immutabile, parla il linguaggio delle passioni elementari... E qualcosa di omerico si diffonde su certe scene di dolore. Per rappresentare una tale tragedia son necessari attori vergini, pieni di vita raccolta. Perché qui tutto è canto e mimica... Bisogna assolutamente rifiutare ogni falsità teatrale." La prima rappresentazione avvenne al Teatro Lirico di Milano il 2 marzo 1904 con la compagnia teatrale di Virgilio Talli ed ebbe enorme successo. La protagonista avrebbe dovuto essere Eleonora Duse, la cui relazione sentimentale con D'Annunzio era già in crisi, ma l'attrice si ammalò e il poeta non volle attendere il tempo necessario alla guarigione, così affidò la parte di Mila ad Irma Gramatica. Da alcune testimonianze risulta che la Duse non abbia mai dimenticato il dolore per quel torto subito. Gli altri interpreti erano Ruggero Ruggeri (Aligi), Teresa Franchini (Candia della Leonessa), Oreste Calabresi (Lazaro) e Lyda Borelli. Le scene e i costumi vennero affidate all'artista Francesco Paolo Michetti.La prima rappresentazione in Abruzzo, e fu un vero trionfo: si tenne il giorno 23 giugno dello stesso anno al Teatro Marrucino di Chieti, città alla quale l'autore donò il manoscritto originale della tragedia. Trama La vicenda è ambientata in Abruzzo, nel giorno di San Giovanni, nel borgo montano di Taranta Peligna. La famiglia di Lazaro di Roio del Sangro sta preparando le nozze del figlio Aligi; l'atmosfera è gaia grazie ai canti e ai dialoghi allusivi ed effervescenti delle tre sorelle. Aligi pare comunque turbato da strane sensazioni e da presagi e si esprime in un linguaggio onirico. Mentre la cerimonia nuziale sta procedendo con un frammisto di riti rurali, ancestrali, pagani precristiani, irrompe nella casa Mila di Codro (la figlia di Iorio, un mago) per cercarvi rifugio; lei è una donna dalla cattiva fama, ma è costretta a fuggire per evitare le molestie di un gruppo di mietitori ubriachi. Quando Aligi, incitato dalle donne presenti al matrimonio, sta per colpirla, viene fermato dalla visione dell'angelo custode e dai pianti delle sorelle. Aligi riesce persino a convincere i mietitori a rinunciare alla loro preda. Mila e Aligi finiscono per convivere assieme in una caverna pastorale in montagna (la Grotta del Cavallone); la loro unione non è peccaminosa e anzi sperano ardentemente di recarsi a Roma per ottenere la dispensa papalee poi sposarsi felici e contenti. Ma non è una favola, né tanto meno una storia a lieto fine, anzi la situazione precipita rapidamente: Ornella, una sorella di Aligi, addolora profondamente Mila con il racconto sullo stato di disperazione in cui è caduta la sua famiglia, dopo la partenza di Aligi. Mila decide allora di fuggire, ma viene fermata da Lazaro che cerca di sedurla con la forza; Aligi interviene a difendere la donna e nasce così una colluttazione tra padre e figlio che terminerà con la morte del primo. Aligi evita la condanna solo per l'autoconfessione di Mila, che si addebita ogni colpa, autoproclamandosi strega. La giovane verrà condotta alla catasta per morire s ulle fiamme. Commento e critiche L'autore stesso, nella lettera a Michetti, descrisse perfettamente le motivazioni e gli intenti dell'opera. Rivivere le sue radici della terra natale, nell'intento di eternare le figure pastorali antiche, grazie alla scoperta dell'immutata sostanza della natura umana. L'autore ricerca oggetti come utensili, suppellettili che abbiano l'impronta della vita vera, e nel tempo medesimo vuole diffondere sulla realtà dei quadri un velo di sogno antico. Perciò è proprio un sogno antico che riconduce il poeta alla sua terra d'origine, che nell'opera viene riportata ad uno stadio primitivo ed innocente, caratterizzato da usi e costumi arcaici. È infatti alla natura aspra della sua gente che il poeta salda la tragedia del destino. È un'opera variegata pervasa dal filo conduttore della musicalità dannunziana. Ecco perché sembra quasi rientrare nella normalità delle cose, la vicinanza della frase ricercata e colta con la filastrocca invece basata su temi popolari; oppure il tono realistico alternato a quello trasognato, indefinito e misterioso. Lo stesso poeta definirà il suo verso come: "intero, senza spezzamenti, semplice e diritto, entra nell'anima e vi resta". Le critiche, sia quelle contemporanee alla realizzazione dell'opera sia quelle successive, sono state, generalmente, positive. Scrisse il Paratore: «È l'unica opera del poeta, che pur concedendo il debito posto al furore dei sensi, si solleva in un clima in cui i palpiti dell'umana passionalità vibrano di una risonanza universale». d'animo, negli oggetti-emblemi, nei personaggi che solidarizzano o si contrappongono come frammenti di un'unica individualità scissa in se stessa ed affiorante sulla scena in una pletora di sembianti diversi, circola quel che gli espressionisti definiranno Ich-Drama: un'opzione drammaturgica a fondamento allegorico in cui l'eredità romantica, prende quota su un impianto di sapore medievale». La Figlia di Iorio è stata portata sullo schermo, all'epoca del muto, due volte. In occasione del centenario, il Comune di Pescara e Il Vittoriale hanno sostenuto la produzione della versione cinematografica della tragedia. L'ha diretta e prodotta il regista Mario A. Di Iorio, girandola i n digitale. Elena De Ritis è Mila di Codra; Corrado Proia è Aligi. Curiosità L'opera di D'Annunzio divenne oggetto di una parodia teatrale, rappresentata il 3 dicembre del 1904 al Teatro Mercadante di Napoli, ideata da Eduardo Scarpettae intitolata Il figlio di Iorio. Scarpetta fu querelato dalla Società Italiana degli Autori ed Editori per plagio e contraffazione per la messa in scena senza autorizzazione scritta, ma in sede processuale l'autore napoletano sarebbe stato assolto. |
AREA PERSONALE
MENU
CHI PUŅ SCRIVERE SUL BLOG
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.