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La figlia di Iorio

Post n°1955 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La figlia di Iorio è una tragedia in tre atti

del 1903 di Gabriele D'Annunzio.

Origine

L'autore, che proprio l'anno precedente aveva

realizzato alcuni dei suoi capolavori lirici come

Alcione, si distaccò da Eleonora Duse e piombò

in una spirale di lussi e di debiti. Affrontò, dopo

il successo della Figlia di Iorio, un breve periodo

di difficoltà creativa ed artistica.

Lo stesso d'Annunzio scrisse in una lettera al

pittore Michetti, amico e corealizzatore della

trama"Tutto è nuovo in questa tragedia e tutto

è semplice. Tutto è violento e tutto è pacato nello

stesso tempo. L'uomo primitivo, nella natura

immutabile, parla il linguaggio delle passioni elementari...

E qualcosa di omerico si diffonde su certe scene di dolore.

Per rappresentare una tale tragedia son necessari attori

vergini, pieni di vita raccolta. Perché qui tutto è canto

e mimica...

Bisogna assolutamente rifiutare ogni falsità teatrale."

La prima rappresentazione avvenne al Teatro Lirico di

Milano il 2 marzo 1904 con la compagnia teatrale di 

Virgilio Talli ed ebbe enorme successo.

La protagonista avrebbe dovuto essere Eleonora Duse,

la cui relazione sentimentale con D'Annunzio era già in

crisi, ma l'attrice si ammalò e il poeta non volle attendere

il tempo necessario alla guarigione, così affidò la parte

di Mila ad Irma Gramatica.

Da alcune testimonianze risulta che la Duse non abbia

mai dimenticato il dolore per quel torto subito.

Gli altri interpreti erano Ruggero Ruggeri (Aligi), 

Teresa Franchini (Candia della Leonessa),

Oreste Calabresi (Lazaro) e Lyda Borelli.

Le scene e i costumi vennero affidate all'artista

Francesco Paolo Michetti.La prima rappresentazione

in Abruzzo, e fu un vero trionfo: si tenne il giorno 23

giugno dello stesso anno al Teatro Marrucino di Chieti,

città alla quale l'autore donò il manoscritto originale

della tragedia.

Trama

La vicenda è ambientata in Abruzzo, nel giorno di 

San Giovanni, nel borgo montano di Taranta Peligna.

La famiglia di Lazaro di Roio del Sangro sta preparando

le nozze del figlio Aligi; l'atmosfera è gaia grazie ai

canti e ai dialoghi allusivi ed effervescenti delle tre

sorelle. Aligi pare comunque turbato da strane sensazioni

e da presagi e si esprime in un linguaggio onirico.

Mentre la cerimonia nuziale sta procedendo con un

frammisto di riti rurali, ancestrali, pagani precristiani,

irrompe nella casa Mila di Codro (la figlia di Iorio, un

mago) per cercarvi rifugio; lei è una donna dalla

cattiva fama, ma è costretta a fuggire per evitare le

molestie di un gruppo di mietitori ubriachi.

Quando Aligi, incitato dalle donne presenti al matrimonio,

sta per colpirla, viene fermato dalla visione dell'angelo 

custode e dai pianti delle sorelle.

Aligi riesce persino a convincere i mietitori a

rinunciare alla loro preda.

Mila e Aligi finiscono per convivere assieme in una

caverna pastorale in montagna (la Grotta del Cavallone);

la loro unione non è peccaminosa e anzi sperano

ardentemente di recarsi a Roma per ottenere la

dispensa papalee poi sposarsi felici e contenti.

Ma non è una favola, né tanto meno una storia a

lieto fine, anzi la situazione precipita rapidamente:

Ornella, una sorella di Aligi, addolora profondamente

Mila con il racconto sullo stato di disperazione in cui

è caduta la sua famiglia, dopo la partenza di Aligi.

Mila decide allora di fuggire, ma viene fermata da

Lazaro che cerca di sedurla con la forza;

Aligi interviene a difendere la donna e nasce così

una colluttazione tra padre e figlio che terminerà

con la morte del primo. Aligi evita la condanna solo

per l'autoconfessione di Mila, che si addebita ogni

colpa, autoproclamandosi strega.

La giovane verrà condotta alla catasta per morire s

ulle fiamme.

Commento e critiche

L'autore stesso, nella lettera a Michetti, descrisse

perfettamente le motivazioni e gli intenti dell'opera.

Rivivere le sue radici della terra natale, nell'intento

di eternare le figure pastorali antiche, grazie alla

scoperta dell'immutata sostanza della natura umana.

L'autore ricerca oggetti come utensili, suppellettili

che abbiano l'impronta della vita vera, e nel tempo

medesimo vuole diffondere sulla realtà dei quadri

un velo di sogno antico.

Perciò è proprio un sogno antico che riconduce

il poeta alla sua terra d'origine, che nell'opera

viene riportata ad uno stadio primitivo ed innocente,

caratterizzato da usi e costumi arcaici.

È infatti alla natura aspra della sua gente che il

poeta salda la tragedia del destino.

È un'opera variegata pervasa dal filo conduttore

della musicalità dannunziana.

Ecco perché sembra quasi rientrare nella normalità

delle cose, la vicinanza della frase ricercata e colta

con la filastrocca invece basata su temi popolari;

oppure il tono realistico alternato a quello

trasognato, indefinito e misterioso.

Lo stesso poeta definirà il suo verso come: "intero,

senza spezzamenti, semplice e diritto, entra

nell'anima e vi resta".

Le critiche, sia quelle contemporanee alla

realizzazione dell'opera sia quelle successive,

sono state, generalmente, positive.

Scrisse il Paratore: «È l'unica opera del poeta,

che pur concedendo il debito posto al furore

dei sensi, si solleva in un clima in cui i palpiti

dell'umana passionalità vibrano di una

risonanza universale».
Rileva invece Umberto Artioli: «Nei paesaggi-stati

d'animo, negli oggetti-emblemi, nei personaggi

che solidarizzano o si contrappongono come

frammenti di un'unica individualità scissa in se

stessa ed affiorante sulla scena in una pletora

di sembianti diversi, circola quel che gli

espressionisti definiranno Ich-Drama: un'opzione

drammaturgica a fondamento allegorico in cui

l'eredità romantica, prende quota su un impianto

di sapore medievale».

La Figlia di Iorio è stata portata sullo schermo,

all'epoca del muto, due volte. In occasione del

centenario, il Comune di Pescara e Il Vittoriale

hanno sostenuto la produzione della versione

cinematografica della tragedia. L'ha diretta e

prodotta il regista Mario A. Di Iorio, girandola i

n digitale. Elena De Ritis è Mila di Codra;

Corrado Proia è Aligi.

Curiosità

L'opera di D'Annunzio divenne oggetto di una

 parodia teatrale, rappresentata il 3 dicembre

del 1904 al Teatro Mercadante di Napoli, ideata

da Eduardo Scarpettae intitolata Il figlio di Iorio.

Scarpetta fu querelato dalla Società Italiana

degli Autori ed Editori per plagio e contraffazione 

per la messa in scena senza autorizzazione scritta,

ma in sede processuale l'autore napoletano sarebbe

stato assolto.

 
 
 
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