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Messaggi del 25/03/2020
Post n°2644 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dalle Scienze di Jane Qiu/Scientific American
campioni dai pipistrelli (© Wuhan Institute of Virology) Da sedici anni Shi Zhengli, virologa di Wuhan, preleva campioni di tessuto e sangue dai pipistrelli che vivono nelle grotte della Cina, identificando decine di virus mortali, da quello della SARS al nuovo coronavirus. Il problema, spiega, non sono gli animali, ma l'aumentare dei contatti con loro a causa dell'espansione della presenza umana - I misteriosi campioni dei pazienti sono arrivati all'Istituto di virologia di Wuhan alle 7 di sera del 30 dicembre 2019. Subito dopo, il cellulare di Shi Zhengli ha squillato: era il suo capo, il direttore dell'istituto. Il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Wuhan aveva scoperto un nuovo coronavirus in due pazienti ospedalieri con una polmonite atipica, e voleva che il prestigioso laboratorio di Shi indagasse. Se la scoperta fosse stata confermata, il nuovo patogeno avrebbe rappresentato una grave minaccia per la salute pubblica: infatti apparteneva alla stessa famiglia di virus trasmessi dai pipistrelli di quello responsabile della SARS (sindrome respiratoria acuta grave), una malattia che tra il 2002 e il 2003 ha colpito 8100 persone provocando quasi 800 vittime. Il direttore ha detto: "Interrompi quello che stai facendo e mettiti al lavoro subito", ricorda Shi. Shi - una virologa che spesso i colleghi definiscono la Bat Woman cinese, dato che da sedici anni va a caccia di virus tra i pipistrelli delle caverne - è uscita dalla conferenza a cui stava partecipando a Shanghai ed è saltata sul primo treno per Wuhan. "Mi chiedevo se [l'autorità sanitaria municipale] si stesse sbagliando", racconta. "Non avevo mai pensato che una cosa del genere potesse succedere a Wuhan, nella Cina centrale". I suoi studi avevano dimostrato che sono le aree subtropicali dello Guangdong, dello Guangxi e dello Yunnan, nel sud del paese, quelle in cui è maggiore il rischio che i coronavirus passino agli esseri umani dagli animali, in particolare dai pipistrelli, notoriamente un serbatoio di molti virus. Se i colpevoli erano i coronavirus, ricorda di avere pensato, "potevano essere arrivati dal nostro laboratorio?" (© AGF)Mentre il team di Shi all'istituto dell'Accademia cinese delle scienze correva contro il tempo per scoprire l'identità e l'origine del contagio, la misteriosa malattia si diffondeva in modo incontrollabile. L'epidemia è tra le peggiori ad avere colpito il mondo negli ultimi decenni. Gli scienziati avvertono da tempo che stanno emergendo sempre più velocemente nuove malattie infettive, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove si incontrano e circolano sempre più spesso fitte popolazioni di persone e animali. "Identificare la fonte dell'infezione e la catena della trasmissione tra specie è molto importante", spiega l'esperto di ecologia delle malattie Peter Daszak, presidente della EcoHealth Alliance, un'organizzazione di ricerca no profit di New York, che collabora con scienziati come Shi in tutto il mondo per scoprire nuovi virus negli animali selvatici. Un compito altrettanto importante - aggiunge - è andare a caccia di altri patogeni collegati - le "incognite note" - per "evitare che si ripetano avvenimenti simili". Rintracciare il virus alla fonteLa sua prima spedizione alla scoperta dei virus a Shi sembrò quasi una vacanza. Nella primavera nel 2004, in una giornata ventosa e soleggiata, si era unita a un team internazionale di ricercatori per raccogliere campioni dalle colonie di pipistrelli nelle grotte vicino a Nanning, la capitale della regione dello Guangxi. La prima caverna che avevano esplorato era tipica di quella zona: grande, ricca di colonne di calcare e - essendo una meta turistica popolare - di facile accesso. "Era spettacolare", ricorda Shi, con stalattiti bianco latte che pendevano dalla volta come ghiaccioli luccicanti per l'umidità. Ma l'atmosfera di vacanza era sparita presto. Molti pipistrelli - tra cui varie specie insettivore del genere "ferro di cavallo" (Rhinolophus) diffuse nel sud dell'Asia - dormono in grotte profonde e strette, su terreni ripidi. Guidati anche dai consigli degli abitanti del luogo, Shi e colleghi dovevano camminare ore per raggiungere siti potenziali, strisciando attraverso stretti crepacci di roccia. E i mammiferi volanti possono essere sfuggenti. In una frustrante settimana, il team aveva esplorato più di 30 caverne vedendo solo una dozzina di pipistrelli. scoprire il colpevole dell'esplosione della SARS , la prima grande epidemia del XXI secolo. Un team di Hong Kong aveva riferito che nel Guangdong alcuni commercianti di animali selvatici avevano contratto per primi il coronavirus SARS dagli zibetti, mammiferi simili a manguste originari delle zone tropicali e subtropicali di Asia e Africa. Prima della SARS il mondo non sapeva granché sui coronavirus - chiamati così perché, visti al microscopio, hanno una superficie a punte che ricorda una corona - spiega Linfa Wang, che dirige il programma delle malattie infettive emergenti alla Duke-NUS Medical School di Singapore. Dei coronavirus si sapeva per lo più che provocavano il comune raffreddore. "L'epidemia di SARS ha cambiato tutto", racconta Wang, il cui lavoro sui coronavirus trasmessi dai pipistrelli è stato citato brevemente nel blockbuster hollywoodiano del 2011 Contagion. Per la prima volta è emerso un coronavirus mortale e potenzialmente pandemico. Questa scoperta ha contribuito ad avviare una ricerca globale di virus che dagli animali si possono trasmettere agli esseri umani. Shi è stata tra i primi partecipanti a quell'impresa su scala mondiale, ed è stato allora che Daszak e Wang hanno cominciato una lunga collaborazione con lei. Ma era ancora un mistero come gli zibetti avessero contratto il virus. C'erano due precedenti significativi: il contagio del virus Hendra nel 1994 in Australia, passato dai cavalli alle persone, e l'epidemia di virus Nipah nel 1998 in Malesia, passata dai maiali agli esseri umani. Si è scoperto che entrambe le malattie erano provocate da patogeni provenienti dai pipistrelli della frutta. Cavalli e maiali erano solo ospiti intermedi. In quei primi mesi di caccia ai virus, nel 2004, ogni volta che il team di Shi trovava una caverna di pipistrelli, montava una rete all'uscita prima del crepuscolo e aspettava che le creature notturne si avventurassero all'esterno in cerca di cibo. Intrappolati i pipistrelli, i ricercatori prelevavano campioni di sangue e saliva, oltre a tamponi fecali, spesso lavorando fino alle ore piccole. Dopo avere recuperato un po' di sonno, al mattino tornavano alla grotta per raccogliere urina e palline di feci. Ma nessuno di quei campioni conteneva tracce di materiale genetico di coronavirus. Fu un brutto colpo. "Sembrava di aver buttato via otto mesi di duro lavoro", racconta Shi. "Pensavamo che forse ai coronavirus non piacevano i pipistrelli cinesi." Il team stava per arrendersi quando un gruppo di ricerca in un laboratorio vicino gli passò un kit diagnostico per testare gli anticorpi prodotti dalle persone affette dalla SARS. Non c'era alcuna garanzia che il test avrebbe funzionato per gli anticorpi dei pipistrelli, ma Shi fece comunque un tentativo: "Non avevamo niente da perdere", racconta. I risultati superarono le sue previsioni: i campioni di tre specie di ferro di cavallo contenevano gli anticorpi contro il virus della SARS. "Fu un punto di svolta per il progetto", continua Shi. I ricercatori capirono che la presenza del coronavirus nei pipistrelli era effimera e stagionale, ma la reazione degli anticorpi poteva durare da qualche settimana a qualche anno. Così il kit diagnostico offrì un'indicazione preziosa su come cercare le sequenze genomiche virali. Il team di Shi usò il test degli anticorpi per ridurre il numero di luoghi e specie di pipistrelli da esaminare alla ricerca di questi indizi genomici. Dopo avere vagato su terreni montuosi in gran parte delle decine di province cinesi, i ricercatori si concentrarono su un luogo: la grotta di Shitou nei pressi di Kunming, la capitale dello Yunnan, dove eseguirono un'intensa campionatura in varie stagioni per cinque anni consecutivi. L'impegno ha dato i suoi frutti. I cacciatori di patogeni hanno scoperto centinaia di coronavirus trasmessi dai pipistrelli, con un'incredibile varietà genetica. "Per la maggior parte sono innocui", spiega Shi, ma decine appartengono allo stesso gruppo della SARS. Sono in grado di infettare le cellule polmonari umane in una capsula di Petri, provocare malattie simili alla SARS nei topi e resistere a vaccini e farmaci che funzionano contro la SARS. grotta di Shitou - dove un esame minuzioso ha rivelato una biblioteca genetica naturale di virus dei pipistrelli - nel 2013 il team ha scoperto un ceppo di coronavirus che proveniva dai ferro di cavallo e aveva una sequenza genomica che coincideva al 97 per cento con quella rilevata negli zibetti nel Guangdong. La scoperta ha concluso la ricerca, durata un decennio, del serbatoio naturale del coronavirus SARS. Melting pot virali. In molte caverne di pipistrelli campionate da Shi, compresa quella di Shitou, "il costante mescolarsi di virus diversi crea un'ottima occasione per fare emergere nuovi patogeni pericolosi", spiega Ralph Baric, virologo all'Università del North Carolina a Chapel Hill. E nei pressi di questi melting pot virali, aggiunge Shi, "non occorre commerciare animali selvatici per farsi contagiare". villaggi adagiati tra le colline rigogliose, in una regione nota per le rose, le arance, le noci e le bacche di biancospino. A ottobre del 2015 il team di Shi ha raccolto campioni di sangue da oltre 200 abitanti in quattro di questi villaggi. Ha scoperto che sei persone, cioè quasi il 3 per cento , avevano anticorpi contro coronavirus simili a quello della SARS provenienti dai pipistrelli, anche se nessuna di loro aveva maneggiato animali selvatici o riferito sintomi analoghi alla SARS o ad altre forme di polmonite. Solo una persona aveva viaggiato fuori dallo Yunnan prima del campionamento, e tutti dicevano che nel loro villaggio si erano visti volare dei pipistrelli. Tre anni prima il team di Shi era stato chiamato per indagare sul profilo virale di una miniera nella contea montuosa di Mojiang, nello Yunnan - famosa per il suo tè fermentato Pu'er - dove sei minatori soffrivano di malattie simili alla polmonite (due sono morti). Dopo avere raccolto campioni nella grotta per un anno, i ricercatori hanno scoperto un variegato gruppo di coronavirus in sei specie di pipistrelli. In molti casi, più ceppi virali avevano infettato un solo animale, trasformandolo in una fabbrica volante di nuovi virus.
(© Xinhua/Photoshot/AGF)"La miniera puzzava in modo terribile", racconta Shi, che era entrata con i colleghi indossando maschera e tuta protettive. "La caverna era sporca di guano di pipistrello coperto da un fungo." Si è scoperto che era questo fungo il patogeno che aveva fatto ammalare i minatori, ma Shi dice che sarebbe stata solo questione di tempo prima che fossero contagiati, se la miniera non fosse stata chiusa prontamente. Di fronte alla crescita delle popolazioni umane che invadono sempre più gli habitat degli animali selvatici, ai cambiament i senza precedenti nell'uso dei suoli, al trasporto in tutto il mondo di selvaggina e bestiame nonché dei relativi prodotti e al netto incremento dei viaggi nazionali e internazionali, è quasi una certezza matematica che scoppino epidemie destinate a raggiungere proporzioni pandemiche. È questo pensiero che toglieva il sonno a Shi e a molti altri ricercatori, ben prima che quei campioni misteriosi arrivassero all'Istituto di virologia di Wuhan in quella drammatica sera dello scorso dicembre. Circa un anno fa, il team di Shi ha pubblicato due analisi approfondite dei coronavirus su "Viruses" e "Nature Reviews Microbiology". Basandosi sui dati dei suoi studi - molti dei quali pubblicati su prestigiose riviste accademiche - e di altri, Shi e colleghi avevano avvertito del rischio di future epidemie provocate dai coronavirus trasmessi dai pipistrelli. Corsa contro un patogeno mortaleSul treno di ritorno a Wuhan, il 30 dicembre dell'anno scorso, Shi e i colleghi hanno discusso su come fare a cominciare subito a testare i campioni dei pazienti. Nelle settimane seguenti - il periodo più intenso e stressante della sua vita - la Bat Woman cinese ha avuto la sensazione di combattere nel suo peggior incubo, anche se era ciò cui si stava preparando da sedici anni. Usando una tecnica detta reazione a catena della polimerasi, che è in grado di rilevare un virus amplificando il suo materiale genetico, il primo round di test ha mostrato che i campioni di cinque pazienti su sette contenevano sequenze genetiche note per essere presenti in tutti i coronavirus. Shi ha dato istruzioni al suo team di ripetere i test e contemporaneamente ha mandato i campioni a un altro laboratorio per sequenziare i genomi virali completi. Nel frattempo ha riesaminato freneticamente i documenti degli ultimi anni del suo laboratorio in cerca di eventuali errori nella gestione dei materiali sperimentali, soprattutto durante lo smaltimento. Quando sono arrivati i risultati, Shi ha tirato un sospiro di sollievo: nessuna delle sequenze corrispondeva a quelle dei virus campionati dal suo team nelle grotte dei pipistrelli. "Mi ha davvero tolto un peso", racconta. "Non dormivo da giorni." il nuovo virus era effettivamente la causa della malattia di quei pazienti: questa conclusione si basava sui risultati dell'analisi della reazione a catena della polimerasi, sul sequenziamento completo del genoma, sui test degli anticorpi nei campioni di sangue e sulla capacità del virus di contagiare cellule polmonari umane in una capsula di Petri. La sequenza genomica del virus - che ora si chiama ufficialmente SARS-CoV-2 essendo legato al patogeno della SARS - era identica al 96 per cento a quella di un coronavirus identificato dai ricercatori nei pipistrelli ferro di cavallo nello Yunnan, come hanno scritto in un articolo pubblicato il mese scorso su "Nature". "È evidente che, ancora una volta, il serbatoio naturale sono i pipistrelli", commenta Daszak, non coinvolto nello studio. Le sequenze genomiche dei ceppi virali dei pazienti sono in effetti molto simili tra loro, senza cambiamenti rilevanti dalla fine dello scorso dicembre, in base alle analisi di 326 sequenze virali pubblicate. "Questo fa pensare che i virus abbiano un antenato comune", commenta Baric. Inoltre i dati - aggiungono i ricercatori - indicano una sola introduzione negli esseri umani, seguita da una forte trasmissione intra-umana. Poiché il virus sembra piuttosto stabile e molte persone contagiate manifestano sintomi leggeri, gli scienziati sospettano che il patogeno fosse in circolazione già da settimane, o perfino mesi, quando i primi casi gravi hanno fatto suonare l'allarme. "Potrebbero esserci stati piccoli focolai, ma il virus si è spento" prima di seminare lo scompiglio, spiega Baric. "L'epidemia di Wuhan non è assolutamente frutto del caso." In altre parole, era quasi inevitabile. Secondo molti, i fiorenti mercati di selvaggina della regione - che vendono un'ampia gamma di animali come pipistrelli, zibetti, pangolini, tassi e coccodrilli - sono dei perfetti melting pot virali. È vero che gli esseri umani potrebbero avere contratto il virus mortale direttamente dai pipistrelli (secondo vari studi, compresi quelli di Shi e colleghi), ma studi in attesa di pubblicazione di team indipendenti hanno ipotizzato che i pangolini possano avere fatto da ospiti intermedi. Questi team hanno riferito di avere scoperto coronavirus simili al SARS-CoV-2 in pangolini sequestrati durante operazioni anticontrabbando nel sud della Cina. Il 24 febbraio la nazione ha annunciato un divieto permanente di consumare e vendere selvaggina, se non per scopi di ricerca, medici o espositivi: questo, secondo un rapporto del 2017 dell'Accademi cinese di ingegneria, annienterà un settore con un valore di 76 miliardi di dollari, provocando 14 milioni di disoccupati . Alcuni accolgono con favore l'iniziativa, ma altri, come Daszak, temono che senza un impegno per cambiare le credenze tradizionali della gente o dare mezzi di sussistenza alternativi, un divieto generale potrebbe spingere il business nella clandestinità. Rilevare le malattie potrebbe quindi diventare ancora più difficile. "Nel sud della Cina il consumo di selvaggina fa parte della tradizione culturale" da millenni, commenta Daszak . "Non cambierà da un giorno all'altro." - aggiunge Shi - "il commercio e il consumo di selvaggina è solo un aspetto del problema». Verso la fine del 2016, in quattro allevamenti di maiali nella contea di Qingyuan nel Guangdong - a un centinaio di chilometri dal punto di origine dell'epidemia di SARS - gli animali soffrivano di nausea acuta e diarrea, e ne sono morti quasi 25.000 . I veterinari locali, non riuscendo a rilevare patogeni conosciuti, avevano chiesto aiuto a Shi. Si è scoperto che la causa della malattia, detta SADS (sindrome suina da diarrea acuta), era un virus con una sequenza genomica uguale al 98 per cento a un coronavirus scoperto nei pipistrelli ferro di cavallo d i una caverna vicina. "È un motivo di forte preoccupazione", spiega Gregory Gray, epidemiologo delle malattie infettive alla Duke University. I maiali e gli esseri umani hanno un sistema immunitario molto simile, e perciò per i virus è facile passare da una specie all'altra. Inoltre un team della Zhejiang University, a Hangzhou, ha scoperto che il virus della SADS era in grado di contagiare in una capsula di Petri le cellule di molti organismi tra cui roditori, polli, primati non umani ed esseri umani. Date le dimensioni dell'allevamento di maiali in molti paesi, tra cui Cina e Stati Uniti - continua Gray - la ricerca di nuovi coronavirus nei maiali dovrebbe avere la massima priorità. Anche se l'epidemia di Wuhan è la sesta negli ultimi 26 anni a essere provocata da virus trasmessi dai pipistrelli - le altre cinque sono Hendra nel 1994, Nipah nel 1998, SARS nel 2002, MERS (sindrome respiratoria mediorientale) nel 2012 ed Ebola nel 2014 - "il problema non sono gli animali [di per sé]", spiega Wang. Anzi, i pipistrelli aiutano a favorire la biodiversità e la salute dei loro ecosistemi nutrendosi di insetti e impollinando le piante. "Il problema - continua - nasce quando veniamo in contatto con loro." |
Post n°2643 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Prevenire le epidemie future (parte 2) A oltre due mesi dall'inizio dell'epidemia - e sette settimane dopo che il governo cinese ha imposto restrizioni ai trasporti in tutta la città di Wuhan, una metropoli con 11 milioni di abitanti - la vita sembra quasi normale, commenta Shi r idendo. "Forse ci stiamo abituando. Sicuramente il peggio è passato." I dipendenti dell'istituto hanno un pass speciale per viaggiare da casa al laboratorio, ma non possono andare altrove. Per oltre un mese, durante le lunghe ore in laboratorio hanno dovuto accontentarsi di pasti precotti perché la mensa dell'istituto era chiusa. I ricercatori hanno scoperto che il nuovo coronavirus entra nelle cellule polmonari umane usando un ricettore detto enzima convertitore dell'angiotensina 2 (ACE2). Da allora gli scienziati stanno selezionando farmaci in grado di bloccarlo. E come altri gruppi di ricerca, si stanno affrettando a sviluppare vaccini e testare candidati promettenti. Nel lungo periodo, il team punta a sviluppare vaccini e farmaci ad ampio spettro contro i coronavirus ritenuti rischiosi per gli esseri umani. "L'epidemia di Wuhan è un campanello d'allarme", avverte Shi.
Molti scienziati sostengono che il mondo non debba limitarsi a reagire ai patogeni mortali quando si presentano. "Il progresso migliore è la prevenzione", commenta Daszak. Dato che il 70 per cento delle malattie infettive trasmesse dagli animali proviene dalla selvaggina - aggiunge - "il punto di partenza dovrebbe essere trovare tutti quei virus negli animali selvatici a livello globale e sviluppare test diagnostici migliori". Sostanzialmente, si tratterebbe di continuare il lavoro di ricercatori come Daszak e Shi, ma su scala molto più ampia. Questi impegni dovrebbero concentrarsi sui gruppi virali ad alto rischio in alcuni mammiferi esposti alle infezioni da coronavirus come pipistrelli, roditori, tassi, zibetti, pangolini e primati non umani, commenta Daszak. E aggiunge che in questa battaglia contro i virus dovrebbero essere in prima fila i paesi in via di sviluppo che si trovano nelle zone tropicali con la maggiore varietà di animali selvatici. Malattie emergenti in un mondo che cambia Negli ultimi decenni, Daszak e i suoi colleghi hanno analizzato circa 500 malattie infettive umane del secolo scorso. Hanno scoperto che, tendenzialmente, i nuovi patogeni sono comparsi in luoghi dove una popolazione ad alta densità aveva modificato il paesaggio: costruendo strade e miniere, tagliando le foreste e intensificando l'agricoltura. "La Cina non è l'unico luogo a rischio", osserva, aggiungendo che sono a forte rischio anche altre grandi economie emergenti, come India, Nigeria e Brasile. Una volta mappati i potenziali patogeni - spiega Gray - gli scienziati e le autorità sanitarie possono verificare periodicamente eventuali infezioni analizzando campioni di sangue e tamponi prelevati dal bestiame, dagli animali selvatici allevati e venduti, nonché da popolazioni umane ad alto rischio come allevatori, minatori e chi vive vicino ai pipistrelli, oppure caccia o maneggia animali selvatici. Questo metodo, detto "One Health", punta a integrare la gestione della salute di animali selvatici, bestiame e persone. "Solo allora riusciremo a fermare un focolaio prima che si trasformi in un'epidemia", spiega, aggiungendo che questo metodo potrebbe potenzialmente risparmiare le centinaia di miliardi di dollari che può costare una simile epidemia. Tornata a Wuhan, la Bat Woman cinese ha deciso di lasciare la prima linea delle spedizioni di caccia ai virus. "Ma la missione deve andare avanti", spiega Shi, che continuerà a dirigere programmi di ricerca. "Quello che abbiamo scoperto è solo la punta dell'iceberg. " Il team di Daszak ha stimato che nei pipistrelli in tutto il mondo esistano ben 5000 ceppi di coronavirus che aspettano di essere scoperti. Shi sta allestendo un progetto nazionale per campionare sistematicamente i virus nelle caverne dei pipistrelli, in modo molto più ampio e intenso rispetto ai precedenti tentativi del suo team. "I coronavirus trasmessi dai pipistrelli provocheranno altre epidemie", dice preoccupata con un tono di certezza. "Dobbiamo trovarli prima che ci trovino loro." pubblicato su "Scientific American" l'11 marzo 2020. Traduzione di Lorenzo Lilli, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2642 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
28 novembre 2019 Il peso dei fattori demografici nell'estinzione dei Neanderthal Ricostruzione del volto dell'uomo di Neanderthal in mostra al Museo di storia naturale di Washington D.C. (© B. Christopher /AGF) Popolazioni poco numerose, accoppiamenti tra membri dello stesso gruppo e fluttuazioni di natalità, mortalità e fertilità sarebbero stati fattori sufficienti a causare la scomparsa dei nostri antichi cugini L'uomo di Neaderthal si è estinto circa 40.000 anni fa, più o meno nello stesso periodo in cui gli esseri umani moderni hanno iniziato a migrare verso il Medio Oriente e l'Europa . Questa coincidenza temporale ha fatto ipotizzare che la competizione con Homo sapiens abbia avuto un ruolo cruciale nel determinare la scomparsa dei nostri antichi cugini. Vaesen, del Politecnico di Eindhoven, e colleghi ora ridimensiona questa ipotesi. Ha infatti concluso che la dimensione limitata delle popolazioni, l'endogamia (cioè l'accoppiamento tra membri dello stesso gruppo) e fluttuazioni demografiche casuali sarebbero state sufficienti a causare il processo di estinzione dei Neanderthal. di crescita e decrescita di popolazioni di diverse dimensioni, da 50 a 5000 individui, utilizzando come parametri i dati disponibili sulle popolazioni di cacciatori-raccoglitori attuali. In questo contesto, hanno poi indagato l'influenza sul rischio di estinzione entro 10.000 anni di diversi fattori. e la densità di una popolazione possa talvolta aumentare i tassi di fecondità e di sopravvivenza e contempla un rischio di collasso delle piccole popolazioni. Gli altri fattori considerati sono stati l'endogamia e le fluttuazioni demografiche casuali dovute a variazioni dei tassi di natalità, mortalità e fertilità. causa improbabile dell'estinzione, a meno che non si tratti di popolazioni con un numero estremamente ridotto di membri. Invece, nelle popolazioni fino a mille individui, un calo del 25 per cento nel numero di nascite nell'arco di un determinato anno, causato da una diminuzione del tasso di fecondità dovuto all'effetto Allee - un fenomeno comune osservato nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori attuali - è risultato sufficiente a causare l'estinzione. In concomitanza con le fluttuazioni demografiche, gli effetti Allee e l'endogamia avrebbero potuto causare, in 10.000 anni, l'estinzione di popolazioni di Neanderthal di tutte le dimensioni previste. epidemie, o fattori legati alla competizione per le risorse abbiano avuto un ruolo nell'effettiva scomparsa dei Neanderthal, il nostro studio suggerisce che qualsiasi spiegazione plausibile della loro estinzione debba anche incorporare i fattori demografici come variabili chiave", concludono i ricercatori. (red) |
Post n°2641 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 10 gennaio 2020 Una nuova cronologia delle migrazioni di Homo erectus Cranio quasi completo di H. erectus ritrovato nel sito di Sangiran (©Hisao Baba/National Museum of Nature and Science) Una nuova datazione indica che i primi H. erectus migrarono dall'Asia centrale verso il Sudest asiatico e Giava quasi 300.000 anni più tardi di quanto indicato negli attuali modelli paleoantropologici, riscrivendo la cronologia di una tappa fondamentale dell'evoluzione dei nostri antenati Homo erectus, la prima specie umana a mantenere stabilmente la stazione eretta, visse sull'isola di Giava, in Indonesia, per un arco temporale certo molto ampio, ma probabilmente più vicino a noi di quanto ritenuto finora. A pochi giorni dalla descrizione dell'ultimo H. erectus vissuto a Giava, scomparso non prima di 117.000- 108.000 anni fa, arriva ora la notizia che il più antico risale a 1,3-1,5 milioni di anni fa. Ciò implica che i primi esseri umani completamente bipedi migrarono dall'Asia centrale verso il Sudest asiatico e Giava quasi 300.000 anni più tardi di quanto indicano gli attuali modelli paleoantropologici. rivista "Science" da Shuji Matsu'ra del Museo nazionale di natura e scienza di Tsukuba, in Giappone, e colleghi di una collaborazione internazionale, che hanno condotto nuove analisi dei resti fossili trovati nel sito archeologico di Sangiran, dichiarato Patrimonio mondiale dell'Unesco. gli scavi sull'isola indonesiana. I primi resti fossili di questa specie umana, furono infatti stati scoperti nel 1891 nel sito di Trinil, nella parte orientale dell'isola, dal paleontologo olandese Eugène Dubois, tanto che l'ominide fu battezzato inizialmente Uomo di Giava. a essere stato teatro, pochi anni dopo, della scoperta del primo scheletro completo di H. erectus, seguito da un'abbondante messe di reperti, i più antichi fossili umani del Sudest asiatico.
più di 100 esemplari di almeno tre diverse specie di ominidi. Per questo il sito è considerato come uno dei più importanti per comprendere l'evoluzione dei nostri primi antenati e la loro lenta espansione in tutto il mondo. di Bernard WoodDecenni di ricerche, tuttavia, non hanno consentito finora di definire una cronologia del sito, che rimane incerta e controversa, in particolare per i tempi della prima apparizione di H . erectus nella regione: le date attualmente accettate sono difficili da conciliare con altri giacimenti fossiliferi dell'Asia. Una comprensione accurata della cronologia del Sangiran è dunque cruciale per comprendere le prime migrazioni e i primi insediamenti umani nel continente. datazione all'uranio/piombo per determinare l'età degli zirconi di provenienza vulcanica trovati sopra, sotto e all'interno, degli strati geologici in cui erano compresi i resti fossili. Mentre le stime precedenti avevano stimato l'arrivo di ominidi nel sito già 1,7 milioni di anni fa, i risultati di Matsu'ura e colleghi suggeriscono una data molto più recente: probabilmente di 1,3 milioni di anni fa, ma non prima di 1,5 miliioni di anni fa. (red) |
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