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Messaggi del 06/05/2020
Post n°2879 pubblicato il 06 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Una sepoltura di massa racconta la devastazione seminata dalla Peste Nera Una fossa con 48 vittime della Peste Nera è stata scoperta nelle campagne inglesi: una sepoltura inusuale che testimonia la gravità della piaga. Quarantotto scheletri di uomini, donne e bambini: le vittime della Peste Nera in un villaggio delle campagne inglesi. | UNIVERSITY OF SHEFFIELD Un morbo talmente letale e diffuso da stravolgere le normali pratiche di sepoltura, persino nei contesti più legati alla tradizione: la Peste Nera, l'epidemia che attorno al 1350 si portò via un terzo della popolazione europea, fu anche questo, come confermato ora da un'interessante scoperta archeologica. Nel sito dell'ospedale monastico di Thornton Abbey, nella contea inglese del Lincolnshire, è stata trovata una fossa comune con 48 scheletri di uomini, donne e bambini: tutte vittime della Peste Nera, decedute nel XIV secolo.
MORTE E DISORDINE. Le testimonianze archeologiche dirette dei decessi causati dalla peste del Trecento sono estremamente rare perché, per quanto piegate, le comunità locali tentarono di seppellire i loro cari nelle modalità più tradizionali, nei cimiteri posizionati, come da tradizione, nei cortili parrocchiali. Finora, le uniche due fosse comuni con vittime della Peste Nera erano state ritrovate a Londra, dove le autorità locali furono costrette a ricorrere a tombe di massa per far fronte all'elevato numero di morti, in una città densamente abitata. Ecco perché la scoperta di una sepoltura di gruppo in un villaggio rurale poco popolato dà un'idea della pervasività della piaga, e di come fosse arrivata a turbare anche le prassi più consolidate. UN ULTIMO SALUTO. Del ritrovamento compiuto nel 2013 dagli archeologi dell'Università di Sheffield (Regno Unito) parla un articolo appena pubblicato su Antiquity. L'analisi del DNA estratto dalla polpa dentale degli scheletri ha confermato la presenza del batterio Yersinia pestis, che raggiunse il Lincolnshire nella primavera del 1349. Accanto ai resti umani, in quel che rimane dell'edificio dell'ospedale, è stato trovato un ciondolo con la croce di Tau, un simbolo che veniva indossato da chi doveva guarire dal fuoco di Sant'Antonio, una malattia virale che si manifesta con vescicole sulla pelle. Nonostante le circostanze, i corpi furono deposti in modo ordinato, l'uno accanto all'altro avvolti in sudari, a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Nemmeno l'urgenza di seppelire impedì di dare ai defunti una sepoltura dignitosa. IN UN LUOGO REMOTO. Tra il 1346 e il 1353 la Peste Nera dimezzò la popolazione inglese. Per qualche motivo - forse per l'assenza del parroco o per il numero troppo elevato di morti - non fu possibile seppellire queste persone nel retro della chiesa del villaggio, e si dovette ricorrere al terreno dell'abbazia. La scoperta testimonia la forza dirompente con cui l'epidemia irruppe nella quiete di un tranquillo villaggio di campagna, che si trovò impreparato a gestirne le conseguenze. |
Post n°2878 pubblicato il 06 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Un paradosso della biodiversità spiegato con virus e batteri Studiando popolazioni di virus e batteri è stata trovata una risposta all'apparente contraddizione tra l'idea evolutiva dell'esclusione competitiva e una variabile ecologica nota come "uccidi il vincitore". Illustrazione scientifica: un virus batteriofago infetta un batterio iniettando in esso il suo DNA. | SHUTTERSTOCK Se più specie sono in competizione per le stesse risorse, potremmo supporre che solo la più adatta possa soprav- vivere, spingendo su una traiettoria evolutiva differente (o addirittura, in rari casi, all'estinzione) le specie direttamente concorrenti. Questa idea, chiamata esclusione competitiva (competitive exclusion), ha però un problema: nella realtà non funziona così bene. Quello che vediamo nel mondo, laddove ci aspetteremmo un predominio assoluto, è invece una grande biodiversità. Per risolvere quello che per la scienza è un paradosso, due ricercatori, Chi Xue e Nigel Goldenfeld, dell'Istituto di biologia genomica della Illinois University, hanno cercato di introdurre nel modello, che rappresenta un processo evolutivo, anche variabili ecologiche: in particolare, lo scenario definito uccidi il vincitore (Kill the Winner).
Nigel Goldenfeld e Chi Xue all'istituto di biologia genomica Carle R. Woese: qui hanno applicato modelli matematici all'evoluzione di popolazioni di virus e batteri. | UNIVERSITY OF ILLINOIS AT URBANA-CHAMPAIGN ALTI E BASSI. Secondo questa idea, quando una specie aumenta a dismisura, prima che possa causare la scomparsa o la differenziazione delle specie che sfruttano le stesse risorse, diventa un bersaglio facile per i predatori - che possono banchettare sulla specie più abbondante, lasciando più "spazio ecologico" alle altre specie. I ricercatori Chi Xue e Nigel Goldenfeld hanno messo alla prova questa teoria analizzando con modelli matematici la lotta per la sopravvivenza. PREDE E PREDATORI. «Prendiamo ad esempio ceppi di batteri in competizione», illustra Goldenfeld, «ognuno dei quali è preda di un virus specifico: in questo scenario, non appena una particolare specie batterica inizia a dominare l'ecosistema, il virus che preda abitualmente quella specie avrà abbondanza di cibo e così prolifererà, abbattendo la popolazione di quel ceppo batterico. Dopo di ciò un'altra specie batterica potrebbe emergere come la più numerosa per un certo tempo, fino a quando la sua popolazione non sarà a sua volta decimata dal virus che la preda. [...] In questo modo le varie specie attraversano cicli di abbondanza.»
COME UN GAS. Per Goldenfeld, che ricopre anche il ruolo di direttore dell'istituto di astrobiologia della Nasa, questo meccanismo rende possibile la coesistenza di specie in competizione impedendo al vincitore di diventare "assoluto" e di sopraffare la concorrenza. La teoria dell'uccidi il vincitore era già ampiamente condivisa, ma non ancora trasposta accuratamente in linguaggio matematico.
Batteri sconosciuti all'esterno della ISS: da dove arrivano? | NASA Per metterla alla prova i ricercatori hanno creato un modello probabilistico che tiene conto della competizione fra diverse varianti della stessa specie e della possibilità che alcune di esse si estinguano. Lo schema è relativamente semplice: come i modelli termo- dinamici descrivono il comportamento dei gas basandosi sulle probabilità di collisioni di atomi e molecole, così questo modello descrive il comportamento di virus e batteri in base alle loro "collisioni" casuali. SOPRAVVIVENZA E COESISTENZA. Il modello di Xue e Goldenfeld illustra anche un'altra possibilità: se, secondo una teoria consolidata, le popolazioni dovrebbero dopo qualche tempo arrivare alla stabilità, i due ricercatori hanno scoperto che invece l'estinzione è un esito molto più frequente di quanto si pensi, perché le fluttuazioni delle popolazioni potrebbero portare il numero di queste a zero (e quindi alla scomparsa). Ma allo stesso tempo i ricercatori suggeriscono che l'evoluzione di sempre nuovi ceppi di prede, leggermente più adattati dei precedenti, porta alla "rincorsa" da parte dei predatori in quella che gli evoluzionisti chiamano "corsa agli armamenti". BATTERI EXTRATERRESTRI. Questa teoria e la sua rappresentazione matematica non sono utili solo alla biologia marina, spiega Goldenfeld, ma anche per la ricerca di vita su mondi extraterrestri: «La diversità degli ecosistemi, specialmente quelli microbici, è un fattore chiave per comprendere la probabilità che la vita possa emergere a livello planetario non solo per sopravvivere, ma anche per essere rilevabile». Secondo Goldenfeld l'ecologia microbica marina sarà di primaria importanza per l'astrobiologia, soprattutto alla luce delle scoperte di oceani d'acqua sotto la superficie dei satelliti Europa ed Encelado. «Comprendere i meccanismi fondamentali che guidano la biodiversità e caratterizzano gli ecosistemi terrestri, ci aiuterà a prevedere l'osservabilità della vita aliena su mondi che saranno alla portata delle nostre sonde nei prossimi decenni.» 10 GENNAIO 2018 |
Post n°2877 pubblicato il 06 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La COVID-19 potrebbe raddoppiare il numero di persone che soffrono la fame La denuncia del World Food Program: lockdown e crisi economica da COVID-19 rischiano di raddoppiare la popolazione colpita da insicurezza alimentare. La COVID-19 e le misure di lockdown stanno impattando più drammaticamente su chi conta su un salario giornaliero per portare cibo in tavola. | SHUTTERSTOCK Alcuni dei Paesi più poveri del mondo potrebbero trovarsi a decidere tra salvare vite umane o tutelare mezzi di sostenta- mento: tra salvare i loro cittadini dal coronavirus o portarli a morire di fame. È l'allarme lanciato col Global Report on Food Crises 2020, il rapporto del World Food Program delle Nazioni Unite ch e illustra le drammatiche conseguenze del lockdown sulle nazioni già alle prese con la malnutrizione. Il numero di persone senza cibo a sufficienza o senza cibo sicuro nei Paesi a medio e basso reddito potrebbe raddop- piare entro la fine del 2020, passando dai 135 milioni del 2019 a 265 milioni. APPESI A UN FILO. Le misure di lockdown e distanziamento sociale hanno influenzato la produzione agricola in tutto il mondo, e nei Paesi più strettamente dipendenti dai raccolti o dalle importa- zioni di cibo minacciano la sicurezza alimentare e i principi per una corretta nutrizione. La maggior parte delle nazioni più duramente colpite è in Africa, dove la possibilità di sfamarsi è già minata da conflitti, cambiamenti climatici e incertezze economiche. Anche prima della COVID-19, Paesi come lo Yemen e gli Stati dell'Africa orientale erano già stati duramente colpiti dall'invasione di locuste che aveva decimato i raccolti. Lo stress extra portato dal coronavirus potrebbe spingere aree già politicamente instabili sull'orlo di una guerra civile. L'ORA DELLA SOLIDARIETÀ. Se non si consegneranno prontamente aiuti umanitari nelle aree più in difficoltà l'epidemia potrebbe avere conseguenze catastrofiche su esistenze già appese a instabili equilibri economico-sociali. Secondo le Nazioni Unite, soltanto un quarto dei 2 miliardi di dollari necessari a rispondere all'emergenza COVID nei Paesi più in difficoltà sarebbe già stato donato, e questo, proprio nel momento in cui servirebbe investire di più: la crisi del trasporto aereo commerciale ha costretto il World Food Programme a investire in modo massiccio in servizi autonomi di logistica e consegna degli aiuti, mobilitando anche solo per questo scopo ingenti risorse. 25 APRILE 2020 | ELISABETTA INTINI |
Post n°2876 pubblicato il 06 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet SOS lemuri: potrebbero essere estinti nel giro di 20 anni Un primatologo dell'Università di Antananarivo lancia l'allarme: nel giro di 20 anni i lemuri potrebbero scomparire per colpa dell'uomo. Per salvarli basterebbero 8 milioni di euro. Fa bene ad avere lo sguardo spaurito: il lemure tra 20 anni potrebbe essere estinto (© Frans Lanting/Corbis) | È inziato il conto alla rovescia per i lemuri del Madagascar: nel giro di 20 anni questi simpatici primati potrebbero essere completamente estinti. A lanciare l'allarme è Jonah Ratsimbazafy, primatologo dell'Università di Antananarivo (Madagascar) che accusa senza mezzi termini la crisi economica, l'instabilità politica e la povertà del suo paese: "Fino a quando il Madagascar sarà così povero non potremo certo pensare di salvare i lemuri" ha dichiarato qualche giorno fa ai media. è l'unico luogo al mondo dove vivono lemuri allo stato selvatico. Questi animali appartengono a 105 specie diverse, 93 delle quali sono già sulla lista delle specie a rischio. La loro concentrazione in una zona del pianeta così piccola non favorisce certo loro sopravvivenza. Vittime della caccia e del bracconaggio, i lemuri sono messi a rischio anche dalla progresssiva distruzione del loro habitat: ogni anno in Madagascar oltre 200.000 ettari di foresta vengono dati alle fiamme. "A questo ritmo, nel giro di 20, 25 anni non ci sarà più nessuna foresta" spiega l'accademico. giorno, i lemuri sono cacciati anche per la loro carne. Facili da colpire e tutto sommato socievoli, questi animali sono la pietanza prediletta dei boscaioli e dei cercatori d'oro, che spesso si addentrano nel fitto della jungla senza provviste sufficienti. E i ranger non hanno risorse per fermarli. contadini: il suolo di questo paese è infatti estremamente povero e gli agricoltori sono costretti a spostare ogni anno le loro coltivazioni lasciandosi dietro il deserto . E i lemuri ne fanno le spese. Un amore di lemureVAI ALLA GALLERY (N FOTO) Più polli, più lemuri Diversi gruppi locali si sono coalizzati per cercare di trovare gli 8 milioni di euro necessari a far partire un progetto di conservazione di questi primati. Obiettivo degli attivisti è quello di mettere nelle mani delle popolazioni locali fonti di sostentamento alternative, come piante di legumi, allevamenti di polli, maiali e pesce, così che non siano più costrette a vivere a spese della foresta. "Ma gli indigeni non pensano a lungo termine ed è difficile cambiare la loro mentalità". Le stesse guide che attendono i turisti all'ingresso della Riserva Naturale di Ranomafana, una specie di santuario dei lemuri, oggi sono quasi completamente disoccupate e per sbarcare il lunario non disdegnano attività come il piccolo contrabbando e il bracconaggio. A spese dei simpatici primati che dovrebbero proteggere. |
Post n°2875 pubblicato il 06 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Fatti bella: stasera si va a vedere i gladiatori Anche duemila anni fa presentarsi al circo o alle terme mostrando sul viso i segni dell'età o di una notte di bagordi era considerato inopportuno. Per fortuna c'erano cosmetici e belletti... Il reperto e, nel riquadro piccolo, la crema rifatta con gli stessi ingredienti (foto © Nature). | Anche duemila anni fa presentarsi in pubblico, al circo o alle terme, mostrando sul viso i segni dell'età o di una notte di bagordi era considerato quantomeno inopportuno. E anche a quel tempo, per correggere gli inestetismi della pelle, le ricche matrone romane facevano ricorso ai cosmetici. Un reperto databile attorno al 200 avanti Cristo ha permesso di ricostruire una storia della vanità di un'epoca dove i lussi certo non abbondavano. Il ritrovamento (avvenuto nei dintorni di Londra nel 2004) di un vasetto contenente una crema a base di grasso animale, ossido di stagno e amido, in uno stato di conservazione eccezionale, ha permesso ai ricercatori dell'Università di Bristol che l'hanno analizzata, di riprodurla per verificarne gli effetti. Una volta spalmata, renderebbe la pelle liscia e asciutta al pari di una moderna crema antirughe. Ti voglio pallida. Il grasso animale, probabilmente ricavato da carcasse di pecore o mucche, veniva mescolato con l'amido per attenuarne fino a ottenere un composto simile alle nostre creme per le mani e l'aggiunta di ossido di stagno rendeva infine il prodotto bianco e traslucido. Applicata sul volto, la crema conferiva alla carnagione un colore chiaro e biancastro, particolarmente di moda tra le ricche signore dell'epoca. Gli studiosi sono concordi nell'affermare che si tratta di un prodotto decisamente complesso per quei tempi: alcune sue componenti, per esempio l'amido, sono ancora oggi utilizzate nella moderna industria cosmetica.
La letteratura di quel periodo conferma che il make-up e la cura dell'aspetto fisico fossero particolarmente in voga tra le donne in età avanzata appartenenti alle classi sociali più ricche. Il ritrovamento sottolinea come la civiltà romana avesse conoscenze di chimica avanzate: le proprietà degli elementi erano note e la realizzazione di un prodotto di questo tipo ha probabilmente richiesto anni di osservazioni e deduzioni. 22 GIUGNO 2012 |
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