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Messaggi del 07/06/2020
Post n°3034 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il punto e virgola è oggi molto poco utilizzato. Rispetto alla virgola indica una pausa leggermente più lunga nella lettura e un distacco più netto tra le parti del discorso. In realtà essa ha una funzione sintattica molto importante in quanto è in grado di dare al lettore l'impressione visiva di una separazione nella forma e di chiarire il senso della frase quando sono presenti già tante virgole, come nelle enumerazioni molto lunghe o per punti. Consigliabile il suo utilizzo quando cambia il soggetto della frase e in presenza di avversative con valore forte. Giovanna beveva l'acqua; Carlo mangiava la pasta; la mamma cantava una canzone. Non voglio più rimanere; tuttavia, credo che tu mi voglia qui con te. Rossella Monaco. |
Post n°3033 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il punto (o punto fermo) indica generalmente una pausa forte all'interno del discorso, alla fine di una frase di senso compiuto. Se dichiara un cambio di argomento, è seguito dall'a capo. La sua nettezza rende il discorso più frammentario, sincopato. I periodi diventano brevi e la sintassi semplice, condizioni necessarie, ad esempio, per la scrittura sul web, per non affaticare la vista del lettore. La posizione di questo piccolo segno è in grado di dare una carica emotiva differente a un messaggio. Così la stessa frase può essere letta diversamente in base alla punteggiatura. Se scrivessimo Carlo è andato a casa. Non stava bene. l'intonazione della frase presenterebbe una fase ascendente fino a "andato" e una fase discendente fino al punto, per poi risalire e riscendere nella proposizione successiva. Se invece la frase fosse una sola: Carlo è andato a casa perché non stava bene. il picco di tonalità si avrebbe all'incirca tra "casa" e "perché", in corrispondenza della divisione del periodo, dove prima esisteva una pausa più netta. Possiamo quindi notare che a seconda dell'utilizzo del punto fermo si creano ritmi distinti all'interno del discorso e si è in grado di trattenere l'attenzione del lettore più o meno a lungo. Questo è vero soprattutto nei discorsi pronunciati ad alta voce, mentre per la pagina scritta il punto funge da marcatore. Può anche sottolineare una parola posta alla fine della frase e renderla più evidente. Negli ultimi anni il punto fermo ha assunto una funzione anomala. È diventata soprattutto una questione di stile, più che di semplice ortografia. Mio padre non si è interessato a me. Mai. Era sempre infelice. Anche io lo ero. Come possiamo vedere, "mai" è racchiuso dai due punti fermi e questo gli dona maggiore incisività. La frase è molto frammentata e ci dà l'idea di una sofferenza, quasi un singhiozzo. È una libertà stilistica abbondantemente utilizzata anche in letteratura per esprimere emozioni o semplicemente per definire le frasi senza troppi orpelli. Sono andata a letto e le stelle non c'erano più. Ho pulito per bene il vetro della finestra, ma niente da fare. Erano sparite. (Stefano Benni , Margherita Dolcevita, 2005). Il punto viene adoperato nelle abbreviazioni. dott. à dottor prof. à professore ("prof", senza punto, se si tratta di una parola accorciata, come ad esempio "auto" per "automobile") Dopo il punto va sempre la lettera maiuscola, tranne che si trovi al centro di parole contratte: dott.ssa à dottoressa f.lli à fratelli Se il punto fermo si trova dopo un'abbreviazione, non è necessario ripeterlo. ecc. Forse non sapete... Anche nelle sigle e negli acronimi troviamo il punto fermo. D.D.L. à disegno di legge Le sigle che possono essere lette con facilità, come se fossero parole intere (Rai, Coin, ecc.), non hanno bisogno del punto. Rossella Monaco |
Post n°3032 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet In alcuni libri in commercio troviamo però casi di abuso della consonante, addirittura con utilizzo arcaico della congiunzione "o". E molti sono gli addetti ai lavori che aggiungono la "d", anche se non è affatto necessaria. Un simile impiego rende la lettura pesante e poco piacevole oltre a dare spesso l'idea di un testo antiquato, altisonante e inutilmente ricercato. Può essere tollerabile nel linguaggio amministrativo e giuridico, ma negli ultimi anni è in corso un'abolizione del burocratese anche in questi settori, con esagerazione delle "d" eufoniche annessa. La regola più diffusa resta comunque l'utilizzo della "d" in raccordo di due vocali identiche, per testi scorrevoli e amabili da ascoltare e da leggere.
Questo precetto è seguito dalla maggior parte degli editori. Bisogna notare che in base alle diverse zone d'Italia la "d" eufonica viene utilizzata in maniera differente. Sopravvive in maggior misura, anche nel parlato, nelle regioni centrali e meridionali del nostro Paese. È poi anche una questione generazionale. In linea di massima, dai quarant'anni in su si tende a farne un maggiore utilizzo, mentre nel linguaggio giovanile è sempre meno considerata. Sono queste valutazioni generali, da prendere con le pinze. Solitamente è l'uso che fa la norma, così, per evitare di farne un caso di rilevanza nazionale, il comportamento più corretto da tenere sarebbe seguire la regola della "d" tra due vocali uguali, facendo attenzione però alla resa musicale nella lettura, per non rischiare di cadere nella situazione opposta: la cacofonia. Ed Edoardo non suona bene nonostante la "d" colleghi due vocali uguali. Ci sono poi dei casi in cui è necessario utilizzarla anche se le vocali da congiungere sono diverse, è il caso di ad esempio. Rossella Monaco |
Post n°3031 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La virgola è il segno di interpunzione più versatile. Proprio per questa sua duttilità permette licenze poetiche che spesso non seguono le principali regole ortografiche. Cercheremo di elencare di seguito le norme, per poi fornire esempi di trasgressione delle stesse da parte di scrittori di fama. Prima di tutto, tra soggetto e verbo non si mette mai la virgola perché separare due parti del discorso collegate logicamente non è corretto, la stessa cosa avviene tra verbo e complemento oggetto correlato. Carlo mangiava la pasta è una frase corretta mentre non è accettato Carlo, mangiava la pasta, a meno che non si intenda con "Carlo" un vocativo e con "pasta" il soggetto di "mangiava", ma sarebbe per lo meno fantascientifico. Né è corretto scrivere Carlo mangiava, la pasta. Eppure esistono delle eccezioni illustri. Alberto Moravia ebbe uno strano rapporto con la punteggiatura. Credeva fortemente nell'uso della virgola tra il soggetto e il verbo per sottolineare maggiormente la personalità dell'io, dargli maggiore carica emotiva, separare nettamente il personaggio principale dagli altri. Ma rimane una violazione consapevole e giustificata della grammatica, non una trasgressione fine a se stessa. Anche Calvino e Manzoni la adoperarono. Voi, mi fate del bene, a venir qui da me in questa casa. (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1842) Dalla regola precedente deriva l'avvertenza di non utilizzare la virgola nelle proposizioni soggettive e oggettive e nelle proposizioni interrogative indirette. Fare i compiti di inglese non vuol dire conoscere la lingua. Mi chiedo se tu stia scherzando. Se però lo scopo è quello di sottolineare alcune parti del discorso, dandogli maggiore enfasi, l'utilizzo della virgola è tollerato. È evidente, che tu pensi di avere ragione. È consigliabile non utilizzare la virgola prima di congiunzioni copulative e correlative che, come possiamo intuire dalla loro stessa denominazione, hanno la dichiarata funzione di collegare due parti del discorso. Carlo mangia la pasta e Giovanna beve un bicchiere di acqua. Non prendo né caffè né bevande fredde. Anche in questo caso è però possibile inserire la virgola se l'intento è enfatizzare la distanza tra due elementi più che metterli sullo stesso piano. Non ho voglia di uscire, e fa freddo. Bisogna poi fare molta attenzione alla funzione disambiguante della virgola. Essa è infatti in grado di dare un senso totalmente diverso a una stessa frase. Ascoltava sua mamma che cantava una canzone e scriveva una poesia è molto diverso da Ascoltava sua mamma che cantava una canzone, e scriveva una poesia. Nel primo caso è la mamma che canta una canzone e scrive allo stesso tempo, mentre nella seconda frase la mamma canta una canzone e nel frattempo il soggetto di "ascoltava" scrive una poesia. La disambiguazione è particolarmente utile per le proposizioni relative. I ragazzi che hanno giocato a carte hanno vinto tremila euro. Questa frase indica che solo i ragazzi che hanno giocato a carte hanno vinto tremila euro. I ragazzi, che hanno giocato a carte, hanno vinto tremila euro. Mentre qui intendiamo che tutti i ragazzi hanno giocato a carte e hanno vinto tremila euro. Un'importante differenza di significato! La virgola è necessaria: dopo il vocativo (Giovanna, spegni la luce!); per gli incisi, a meno che siano talmente brevi da non interrompere il senso del discorso (Giovanna, come prima vi spiegavo, beveva un bicchiere d'acqua); per le apposizioni (Carlo, manager di Alitalia, ha vinto la terza competizione); nella corrispondenza per separare il luogo dalla data (Milano, 24 novembre 2011); nelle coordinate per asindeto (Scese dall'auto, guardò miss Italia, continuò verso l'ingresso, entrò nel portone); per sostituire un verbo già espresso o altre parti del discorso (La vita è bella; la luna, tonda; il cielo, scuro); dopo gli avverbi se intesi come intera proposizione (Sì, per me va bene). Preferibile l'utilizzo della virgola: tra due elementi ripetuti (Va bene, va bene, arrivo alle 9); negli elenchi di nomi e aggettivi (Nell'astuccio ci sono 2 penne, 4 matite, 2 gomme da cancellare, 5 pastelli, 1 temperino. Giovanna era brutta, antipatica, poco intelligente, maleducata); per separare i complementi indiretti e le proposizioni subordinate, particolarmente quando sono all'inizio della frase (Per me, stiamo sbagliando gioco. A Carlo, ho dato il mio astuccio. Per giocare a carte, bisogna sapere le regole). Per rispondere all'eterna domanda che attanaglia gli italiani "prima del ma ci vuole la virgola?", la regola più conosciuta vuole che il mavversativo utilizzato per coordinare due frasi sia preceduto da una virgola, si può invece evitarla quando ad essere unite sono due frasi brevi o due parole. In realtà non è sempre così, tutto dipende dalla funzione delle frasi e si può decidere se l'opposizione o uno dei due elementi coordinati debbano essere sottolineati dalla punteggiatura o meno. Rossella Monaco |
Post n°3030 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet I due punti hanno un ruolo molto importante nell'ortografia della lingua italiana. In maniera molto sintetica essi chiarificano ed espongono il senso di un'affermazione. Essi aprono come una tendina il discorso diretto: Carlo mi disse: "Sei sicuro di star bene?" chiariscono l'affermazione precedente: Volevo rimanere solo: ero triste. e naturalmente precedono un elenco: Ho preso quattro ombrelli: uno blu, uno rosso, due verdi. Non dimentichiamo, come potete notare sopra, che essi hanno anche la funzione di introdurre un esempio. Spesso possono sostituire le congiunzioni. Lo stabilimento era silenzioso: la domenica ci rimaneva solo il guardiano (Carlo Cassola, Ferrovia Locale, 1968) È sconsigliato l'utilizzo ripetuto dei due punti in una stessa frase, anche se innumerevoli sono i casi contrari a questo ammonimento in letteratura. Carlo Emilio Gadda li utilizzò, per esempio, per dare il senso di affaticamento, di difficoltà nella ricerca di un senso sempre ulteriore. Rossella Monaco |
Post n°3029 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dalll'Internet Il punto interrogativo è un segno di punteggiatura relativamente recente. Inizia la sua avventura circa nel X secolo, sostituendo la parola latina quaestio. Se notate bene la sua forma, esso apparirà come una "q" che sormonta una "o", un'abbreviazione diffusamente utilizzata dagli amanuensi. Storia a parte, il suo uso è abbastanza semplice e intuitivo: lo troviamo nelle domande, siano esse espressione di un dubbio o di una richiesta. Posso aprire la porta? Qual era il nome di Manzoni? Era giallo o nero? Esso può indicare anche sarcasmo e sospetto se racchiuso tra due parentesi tonde. Mi hanno detto che hai eseguito tutti i compiti alla perfezione (?) Negli incisi è possibile scegliere se utilizzare o meno il punto interrogativo. Mercoledì prossimo, chissà perché?, verranno i miei zii. Mercoledì prossimo, chissà perché, verranno i miei zii. Dopo il punto interrogativo va la lettera maiuscola se si tratta di uno stacco netto con la frase precedente o della risposta alla domanda. Se invece siamo di fronte a una successione è possibile utilizzare la lettera minuscola. Volete tornare indietro, ora? e farmi fare uno sproposito? (Manzoni, I promessi sposi, 1842) Il punto interrogativo è molto importante per l'intonazione della frase ed è fondamentale accorgersi della sua presenza nel testo per leggere correttamente. Gli spagnoli, avendo una lingua molto incentrata sul suono e la fonetica, inseriscono il punto di domanda capovolto all'inizio della frase interrogativa, oltre che alla fine, per indicare un mutamento di impostazione della voce sin dal principio, a scanso di equivoci. Lo stesso accade per il punto esclamativo. La regola è stata introdotta in Spagna solo in epoca recente, nella metà del Settecento. Prima di allora i cugini spagnoli seguivano lo stesso precetto della lingua italiana, avendo come base comune il latino. |
Post n°3028 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il punto esclamativo, come capiamo dal nome, segue le frasi esclamative e spesso anche le interiezioni. Ahi! Mi hai fatto male! Come con il punto interrogativo, dopo l'esclamazione è possibile scegliere se utilizzare la lettera maiuscola. Se le due frasi hanno stretta correlazione tra di loro ci si avvale della lettera minuscola. Come sono contenta di vederti! e come mi sei mancata! È possibile, a volte, trovare il punto interrogativo e quello esclamativo insieme per esprimere una forte sorpresa. Cosa ci fai tu qui?! Talvolta troviamo invece due o più punti interrogativi o esclamativi per enfatizzare il dubbio o l'espressione. È questo un uso assai diffuso che prende vita dal fumetto, dove la necessità di caratterizzare il personaggio passa attraverso onomatopeiche e segni grafici forti. Con la messaggistica istantanea ha poi trovato la sua consacrazione. Dal mondo a strisce dei balloon arriva anche il poco conosciuto punto esclarrogativo. Una sorta di incrocio tra punto di domanda e punto esclamativo, esso esprime né più né meno la stessa funzione dei due segni accostati e ha il valore ritmico di un punto fermo. Che cosa dici‽ È raro trovare questo segno "pop" nato negli anni Sessanta del Novecento, alcuni caratteri di Word lo comprendono e bisogna ammettere che è una soluzione molto originale, almeno dal punto di vista visivo. Ma a livello ortografico sembra cambiare poco o niente rispetto ai segni già esistenti, per cui siamo pronti a scommettere che non si diffonderà così facilmente. Nella maggior parte dei testi, siano essi romanzi, saggi o scritti di praticità quotidiana, è bene non abusare di questi segni perché hanno un impatto molto forte sia a livello visivo sia nella lettura e potrebbero facilmente stancare o confondere il lettore. Rossella Monaco |
Post n°3027 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet I puntini di sospensione sono i più difficili da trattare, non perché essi prevedano più regole rispetto agli altri segni, anzi. Piuttosto si tratta dell'uso che gli italiani fanno di questi tre puntini "salvavita", un uso sproporzionato all'espressività e diffusamente errato. Beppe Severgnini li ha definiti la rappresentazione grafica di una generazione sospesa (politicamente, culturalmente, sessualmente) e sintomo della tecnologia odierna. Prima di tutto bisogna stabilire che i punti sospensivi sono solamente tre, non uno in meno, non uno di più, mentre abbondano nei blog, negli sms e persino nei temi scolastici dei giovani adolescenti, file ininterrotte di puntini, come se la quantità fosse sinonimo di enfasi. Bisogna poi ricordare che dopo i tre puntini non va mai la lettera maiuscola a meno che si concluda il periodo. Terza cosa importante: dopo (e non prima!) i tre punti bisogna sempre lasciare uno spazio, tranne quando sono seguiti dal punto esclamativo. Questi piccoli segni grafici indicano l'interruzione di un discorso che scema, anche visivamente, in essi. La pausa può indicare diversi concetti: titubanza, dubbio, insinuazione, paura, evasione, inganno, affanno. " (...) Or dunque lei..." E qui mi chinai e a bassa voce, con molta serietà, confidai al signor notaro l'atto che intendevo fare e che qui, per ora, non posso riferire, perché - gli dissi: "Deve restare tra me e lei, signor notaro (...)". (Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, 1926) Quando si parla di sospensione si può intendere anche suspense, attesa di un accostamento insolito. La donna a me non piaceva intera ma... a pezzi! (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923) Nei dialoghi l'interruzione può essere provocata dall'interlocutore: "Ti dicevo che Mary..." "Non mi interessa". potenzialmente continuare, a sostituire la parola "eccetera". Ho comprato alcune cose: un profumo, un orologio, due sciarpe, una gonna... Servono anche ad accennare una parola che non si può o non si vuole pronunciare per intero. Infine, i tre puntini, se racchiusi tra due parentesi quadre [...] o tonde (...), indicano una parte mancante rispetto all'originale nelle citazioni (vedi l'esempio di Pirandello sopra riportato). Rossella Monaco |
Post n°3026 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonti: articolo riportato dall'Internet Le parentesi nella grammatica italiana sono essenzialmente di tre tipi: le tonde, le quadre e le graffe, anche se quest'ultime sono rarissimamente utilizzate nel testo a sostituzione delle prime due. La parola "parentesi" deriva dal latino parenthӗsi(m) che vuol dire "inserimento, interposizione". Le parentesi tonde hanno diverse funzioni:
Carla (come ti dicevo) è molto socievole. Carla Fracci (20 agosto 1936) è molto socievole. Carla ti cercherò. (Ho il tuo indirizzo sull'agenda). Non è un addio. Carla (amica di Sonia) è molto socievole. Quel ramo del lago di Como... (A.Manzoni) Come abbiamo già visto, possono racchiudere i puntini sospensivi nel caso indichino una mancanza all'interno della citazione rispetto all'originale. Anche le parentesi quadre svolgono questa funzione insieme a molte altre prevalentemente metalinguistiche, cioè a commento del testo. Le parentesi quadre: Precisano informazioni ulteriori sul testo da parte dell'autore o dell'editore, soprattutto nella saggistica, date di nascita e di morte, collocazioni editoriali ecc.; Indicano l'esatta pronuncia di una parola, specialmente nei dizionari; Nei testi molto antichi racchiudono parole mancanti nel manoscritto originale, a volte in campo filologico al posto delle quadre vengono utilizzate le parentesi angolate. caramel ['kӕrәmel] La regina di Scozia [Maria Stuart ]è il simbolo del cattolicesimo. Prima della parentesi d'apertura va sempre uno spazio bianco, così come dopo la parentesi di chiusura. Rossella Monaco |
Post n°3025 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonti: articolo riportato dall'Internet Le virgolette possono essere basse «» (caporali o all'italiana), alte " " (all'inglese), oppure singole ' ' (apici). I caporali prendono la denominazione "all'italiana" perché sono i più utilizzati nella nostra lingua, mentre nei testi in inglese è meglio utilizzare il secondo tipo . In Germania le virgolette sono come le nostre, ma al contrario: »puntano « la parola. A prescindere dal Paese è bene ricordare che nonostante molti si ingarbuglino nell'utilizzo di queste tre varianti, in realtà non esistono regole precise. Le norme dipendono dalle case editrici che di volta in volta scelgono la soluzione da adottare, per cui anche in Italia potremmo trovare le virgolette all'inglese, per introdurre il discorso diretto. In generale possiamo dire che le virgolette possono avere la funzione di: aprire un discorso diretto (Maria disse: «Mi passi lo zucchero?»); riportare una citazione letterale (Coelho ha affermato: «A questo mondo nulla accade per caso»); delimitare un termine inteso in senso ironico o distaccato o una traduzione di un termine già in lingua originale (Maria mi ha detto che siete "fidanzati" - Il verbo essere in inglese si traduce "to be"); racchiudere il nome di riviste, quotidiani o il nome proprio di mezzi di trasporto, titoli di libri o programmi (Ho acquistato "la Repubblica" - Il "Titanic" è p artito nel 1912); mettere in rilievo voci dialettali o neologismi, termini gergali o stranieri non di uso quotidiano, anche se spesso è possibile utilizzare il corsivo (Queste verdure si chiamano 'friarielli'). La punteggiatura va sempre all'esterno delle virgolette a meno che non si tratti di un periodo concluso (vedi il caso del punto di domanda). Carlo mi chiese: «Sei sicuro?» Nel caso di inclusioni di virgolette all'interno di altri virgolettati la gerarchia vuole che i caporali siano seguiti dalle virgolette alte e successivamente dagli apici. Carlo scrisse: «Maria guardò l'uscio, poi urlò: "Aiuto! Gli 'amici' voglion farmi del male"». Rossella Monaco |
Post n°3024 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Le Maiuscole Ecco un'altra questione ortografica di massima importanza: l'utilizzo delle maiuscole e delle minuscole. Oggi siamo sempre più distratti e confusi dall'uso che la lingua inglese riserva a queste regole, per questo motivo bisogna fare attenzione alle proporzioni del testo, renderlo corretto e piacevole da fruire, restituirgli un po' di "italianità" a meno che ragioni stilistiche non chiedano di avvicinarsi maggiormente all'uso di altre lingue straniere. E anche la diffusione di internet con il prevalente uso del minuscolo può confondere. La lettera maiuscola viene sempre utilizzata nei seguenti casi:
È però importante sottolineare come la scelta tra maiuscolo e minuscolo non sia sempre così chiara e precisa. Fatta eccezione per i nomi propri di persona e di luogo che vanno sempre con la lettera maiuscola, i nomi di cosa acquistano la lettera maiuscola solo in determinati contesti e in base a una valutazione personale. Nomi come stato, ottocento, borsa e tanti altri possono essere scritti in entrambi i modi a seconda che designino un concetto comune, generale o vengano personalizzati o ancora indichino qualcosa di specifico.
Stessa cosa avviene per la parola Paese. Qualcuno potrebbe obiettare che questi nomi si possono trovare anche con la lettera minuscola, ed è vero. Questo uso deriva dalla volontà di non enfatizzare l'istituzione, di non porre troppa riverenza nei suoi confronti o ancora dalla necessità di alleggerire esteticamente un testo altrimenti ricco di lettere maiuscole. Le ragioni sono tante e vanno esplicitate in base al contesto.
qualvolta sorga un fraintendimento di significato o di funzione, per esempio con la parola italiano, che può essere aggettivo o sostantivo. Nel caso si intenda italiano come sostantivo, lingua nazionale o singolo rappresentante del nostro popolo, è consigliabile ma non obbligatorio l'utilizzo della lettera maiuscola, nel caso in cui italiano sia accostato a un nome come aggettivo (Il popolo italiano) è opportuno l'uso della lettera minuscola. Lo stesso avviene con tutte le nazionalità. E ancora casi simili sono rappresentati dalla parole chiesa, camera, che se intese come istituzioni vanno in maiuscolo, se intese come edificio vanno in minuscolo. E ancora molti altri (facoltà, tesoro, unità, arma, autorità ecc...).
utilizzare la lettera maiuscola solo se il contesto è quello scientifico astronomico, se ci riferiamo cioè agli astri, mentre per gli usi comuni di terra, sole, luna bisogna utilizzare la lettera minuscola, a meno che vengano personificati.
di fronte a nomi comuni di cosa, nella seconda proposizione Sole è nome proprio dell'astro e nel terzo caso assistiamo a una personificazione degli elementi che diventano nomi propri. Come in parte abbiamo visto con le parole stato e paese esistono casi in cui le maiuscole assumono un senso di devozione, sono maiuscole reverenziali, il cui uso è assolutamente discrezionale. Si tratta di parole intere come papa, presidente, re, ministro... oppure di maiuscole presenti all'interno di alcuni termini a sottolineare i pronomi personali intesi in senso formale (Vorrei augurarLe un buon Natale). Per i nomi attinenti la religione e le festività vanno applicate regole precise: la parola Dio, e altri nomi religiosi indicanti santi, feste e ricorrenze richiedono la lettera maiuscola. La lettera minuscola si adopera solamente quando si tratta di divinità pagane, che tollerano anche genere e numero diverso dal maschile singolare (dio, dea, dei, dee). I nomi geografici (fiume, monte, torrente, mare...) se accompagnati dal nome proprio vanno in minuscolo, se accompagnati da un aggettivo si scrivono con la lettera maiuscola (Monte Bianco, fiume Tevere). Ci sono però dei casi in cui l'aggettivo può stare anche da solo come con Atlantico, Mediterraneo e altri nomi di bacini idrografici importanti, per questi è consentito scrivere i nomi geografici sia con la lettera maiuscola che con la minuscola (oceano Atlantico oppure Oceano Atlantico). I nomi piazza, via, corso ecc... seguiti dal nome proprio possono essere scritti sia con la lettera maiuscola che con la minuscola a seconda della convenzione. Facendo riferimento al dizionario Signorelli, sarebbe più corretto scriverli con la maiuscola. Lo stesso avviene con i nomi che indicano edifici seguiti dal nome proprio come teatro, palazzo e altri. Sono diventati parte della denominazione ed è bene indicarli con la lettera maiuscola. Sulla carta stampata e nella pubblica amministrazione è invece diffuso l'uso della minuscola. Restano valide entrambe le alternative. Stagioni, mesi, giorni in passato si scrivevano con la lettera maiuscola, invece oggi si sta diffondendo sempre di più l'uso della lettera minuscola, forse anche per una questione di leggerezza formale. L'importante è conciliare sempre la norma ortografica con ragionevolezza e attenzione all'estetica del testo. Rossella Monaco |
Post n°3023 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Elisione L'elisione è la caduta della vocale finale atona seguita da un'altra parola che inizia per vocale. Al posto della vocale caduta si utilizza l'apostrofo. Anche l'elisione, come la D eufonica, è un accorgimento di tipo sonoro. Lo scopo è dare musicalità e scorrevolezza alla lettura. L'elisione è da praticarsi obbligatoriamente con gli articoli determinativi lo e la e le relative preposizioni articolate, con l'articolo indeterminativo una, l'aggettivo dimostrativo maschile quello, l'aggettivo qualificativo maschile bello, con ci davanti al verbo essere (c'è) e con santa e santo seguiti dal nome proprio iniziante per vocale. Anche in altri casi è consigliato ma non obbligatorio l'utilizzo dell'elisione: Quando la preposizione semplice di è seguita da una parola che comincia per vocale, soprattutto quando si tratta di una i (D'inverno...) Con la preposizione semplice da seguita da vocale (Da/D'allora...) Con come se seguito dal verbo essere (Com'è/Come è grande tuo figlio!) Con gli aggettivi dimostrativi questo, questa, quella Con l'aggettivo qualificativo bella al femminile (Bella/Bell'amica che sei!) Con le particelle pronominali mi, ti, si, vi, ne (Ti amo/T'amo - Ce n'è ancora molto!) Con i pronomi personali lo e la (L'ho vista ieri - La enuncio con attenzione) Con l'aggettivo qualificativo grande (Questo è stato un grande/grand'anno) In alcune formule fisse come senz'altro, mezz'ora, a quattr'occhi, d'ora in poi... È importante fare un buon uso dell'elisione in questi casi perché essa è capace di cambiare ritmo alla frase e comunicare stati d'animo e atmosfere differenti, nonché, con la sua presenza, è in grado di generare a volte ambiguità in chi legge, come nel caso dell'articolo determinativo lo e del pronome personale lo. L'aspetto può indicare, ad esempio, l'esteriorità se inteso come sostantivo e può significare "io lo aspetto" se recepito come voce verbale. Se non è possibile disambiguare dalla frase è opportuno non praticare l'elisione. Davanti a i semiconsonantica non avviene mai l'elisione così come non avviene mai davanti a consonante. Rossella Monaco |
Post n°3022 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il Troncamento Il troncamento (o apocope) è la caduta di una vocale o di una sillaba atona di una parola sia se seguita da vocale sia se seguita da consonante. Al posto della vocale caduta in genere non va l'apostrofo, come invece accade per l'elisione. Il troncamento è obbligatorio: Con l'articolo indeterminativo uno e i suoi derivati (ciascuno, ognuno, alcuno...). Nel caso in cui la parola che segue inizi per s impura, x, z, gn, ps, pn, sc non si pratica, stessa cosa con i, y e j seguite da vocale Nell'espressione qualcun altro Con santo se seguito da consonante (san Francesco) Con quale davanti al verbo essere (Qual è) Con buono, quello e bello davanti a consonante, anche in questo caso se la parola che segue inizia per s impura, x, z, gn, ps, pn, sc non si pratica (Buon anno!), stessa cosa con i, y e j seguite da vocale Con i nomi signore, dottore, professore, frate, suora e altri indicanti status o professione se seguiti dal nome proprio (suor Maria, fra Costantino, professor Bellis...). In questo caso il troncamento si può fare anche se segue una s impura (dottor Scavolini) È invece facoltativo nei seguenti casi: Con l'aggettivo grande se seguito da consonante (Hai un gran cappello!) Con tale e quale (Quale/Qual personaggio interpreti?). Si preferisce comunque l'uso di tale e quale senza troncamento tranne in casi particolare come la qual cosa oppure con il verbo essere (vedi sopra). Attenzione! Esistono dei troncamenti che vengono segnalati con l'apostrofo, segno che di norma contraddistingue l'elisione. Sono solo delle eccezioni per cui non fatevi confondere. È il caso di: po' per "poco"; mo' per "modo"; be' nel senso di "bene"; sta', va', di', fa', da' rispettivamente imperativi di stare, andare, dire, fare, dare; alcune forme arcaiche come ne' per "nei" oppure de' in luogo della preposizione articolata "dei". Un trucco per non avere dubbi su troncamento ed elisione consiste nell'anteporre la parola troncata a un'altra che inizia per consonante. Se l'abbinamento è corretto vuol dire che si tratta di un troncamento altrimenti va messo l'apostrofo perché si tratta di elisione. Es. Abbiamo scritto: Un'alzatina. Siamo però in dubbio se mettere o meno l'apostrofo, basta prendere un', privarlo dell'apostrofo, scegliere una parola dello stesso genere, in questo caso femminile, ma iniziante per consonante come "lacca" e anteporgli l'articolo. Un lacca non è corretto per cui si tratta effettivamente di elisione con l'apostrofo! È la stessa regola per cui scriviamo qual è e non qual'è, perché si può dire per esempio qual principio. Ma la questione non è finita qui. Siccome l'ortografia è più che altro una convenzione, la disputa sulla grafia corretta di qual è è ancora aperta, anche se le principali grammatiche indicano come corretto il troncamento, molti articoli di giornale e persino le opere di alcuni scrittori come Tommaso Landolfi e Bonaventura Tecchi includono qual'è con l'apostrofo, a volte per scelta a volte per distrazione. Consigliamo per le ragioni sopracitate di utilizzare qual è. Rossella Monaco |
Post n°3021 pubblicato il 07 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte articolo riportato dall'Internet Gli accenti Gli accenti sono la prima fonte di confusione per chiunque si accinga a scrivere e spesso anche nella pronuncia delle parole. Gli errori si sprecano, ma in realtà le regole degli accenti in italiano non sono molte. In italiano abbiamo sillabe atone (senz'accento) e sillabe toniche (accentate). A livello grafico l'accento può essere grave, con pronuncia aperta (come quello del verbo essere "è") oppure acuto, con pronuncia chiusa (come quello di "perché"). cade sull'ultima sillaba mentre all'interno della parola generalmente non viene segnalato, a meno che non serva a evitare un fraintendimento di significato (es. ancora come avverbio e àncora come nome ed elemento di un'imbarcazione). accentati sull'ultima sillaba), su alcuni monosillabi che possono generare ambiguità nel significato (vedi sotto), su monosillabi che comprendono dei dittonghi (due vocali insieme) tranne in alcuni casi particolari, e, di regola, su alcune parole specifiche (vedi sotto). grave (beltà, più, così, verrò, ecc.). che l'accento è acuto con:
Cerchiamo, comunque, di sciogliere i principali dubbi con la lista di parole che segue. Notate la differenza tra accenti acuti e accenti gravi, troncamenti e assenza di qualsiasi segno grafico. Sé quando seguito da stesso o medesimo può avere o non avere l'accento (se stesso o sé stesso). Si consiglia comunque di metterlo al plurale (sé stessi, sé stesse) per evitare di confondersi con il congiuntivo di stare. di dare, sta per "dai"). dire, sta per "dici"). essere è scorretto. Ché (causale, sta per "poiché") diverso da che (congiunzione o pronome). l'accento (dò) anche se è preferibile senza, perché non può esserci fraintendimento con la nota musicale do. senza confondere gli imperativi fa' e va'. persona singolare verbo stare, sta per "stai"). parola e che c'è una grande differenza tra accento acuto, grave e apostrofo. E se avete qualche dubbio, consultate il dizionario. Rossella Monaco |
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