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Messaggi del 10/11/2020
Post n°3312 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Una nuova spiegazione per Tunguska Il disastro del 1908 nella regione di Tunguska fu provocato da un asteroide che attraversò una piccola porzione di atmosfera, senza impattare con la Terra. Un aggrovigliato monumento naturale ricorda l'evento, nella regione del fiume Tunguska, in Siberia. | Era il 30 giugno del 1908, quando nelle prime ore della mattina una spaventosa esplosione rase al suolo oltre 2.000 chilometri quadrati di foresta in una remota regione della Siberia orientale, lungo il fiume Tunguska - ed è ciò che oggi conosciamo come l'evento di Tunguska. L'area venne raggiunta solo una decina di anni dopo da un primo gruppo di scienziati, che rimasero esterrefatti dallo spettacolo della devastazione, così come tutti i team che studiarono il luogo. Quello che ancora oggi non si è ancora riusciti a capire è che cosa causò quell'esplosione: una cometa? Un asteroide? Il fatto è che non sono stati scoperti né un cratere né altri resti di un impatto. Chi sostiene che fu una cometa ad impattare con la Terra ritiene che l'esplosione fu il risultato dell'evaporazione improvvisa, e quindi esplosiva, del nucleo cometario, ma stando a recenti ricostruzioni l'oggetto attraversò almeno 700 chilometri di atmosfera prima dell'esplosione. Nessuna cometa avrebbe potuto resistere così a lungo: un oggetto di quel genere esploderebbe dopo non più di 300 chilometri. L'evento di Tunguska: zona 1 (rosso, 20 km circa di raggio), distruzione totale; zona 2 (arancio, 100 km circa di raggio), danni, incendi, animali morti; zona 3 (blu, 1.500 km), rombo dell'esplosione. | DENYS, VIA WIKIMEDIA / CC 3.0 L'IPOTESI DELL'ASTEROIDE. Chi invece sostiene che fu un asteroide, ipotizza che fosse così piccolo da esplodere attraversando l'atmosfera e che nessun frammento che fosse sufficientemente grande da produrre crateri arrivò fino a Terra. Accanto a questa, c'è un'ipotesi "correlata" che considera che un frammento abbastanza grande sia in realtà arrivato fino a terra e che l'impatto ci abbia lasciato in eredità un piccolo lago che si trova nell'area: nessuno ha però finora realizzato carotaggi o rilevamenti, all'interno dell'invaso, tali da permettere di affermare con certezza un tale svolgimento dei fatti. Insomma, qualunque cosa sia avvenuta a Tunguska, è accaduta nel cuore selvaggio e disabitato della Russia centrale, a migliaia di chilometri da qualunque villaggio: nessun testimone (si parla di tre morti), solo misteri e indizi da mettere insieme come tessere di un gigantesco puzzle. NUOVE IPOTESI. Un nuovo modello di quell'evento che potrebbe però risolvere definitivamente la questione: lo studio è di un team di ricercatori coordinati da Daniil Khrennikov, dell'università federale della Siberia, ed ha il vantaggio di non richiedere l'esistenza di una "cicatrice" sul terreno. Khrennikov e colleghi sostengono che l'esplosione fu causata da un asteroide che sfiorò la Terra con un angolo talmente piccolo che non attraversò l'atmosfera, ma "rimbalzò" su di essa per poi perdersi di nuovo nello spazio. «Crediamo che l'evento di Tunguska sia stato causato da un asteroide ferroso che ha appena attraversato lo strato più esterno dell'atmosfera terrestre», afferma Khrennikov: se l'ipotesi fosse corretta, la Terra sfuggì di un soffio a un disastro catastrofico. NESSUN CRATERE. Lo scenario si adatta bene ai fatti. L'esplosione deve essere stata causata da un meteorite di ferro delle dimensioni di uno stadio da calcio o poco più, che si scaldò molto rapidamente attraversando l'alta atmosfera. Fu l'onda d'urto ad abbattersi al suolo, e il materiale che evaporò quasi istantaneamente dall'asteroide in quel breve passaggio causò l'esplosione che bruciò gli alberi. Il ferro vaporizzato si condensò in polvere che, arrivata al suolo, lasciò tracce debolissime - ciò potrebbe anche spiegare la presenza di polveri anomale nell'alta atmosfera dell'Europa registrata dopo l'evento. Nessun cratere, perciò, ma poteva essere una catastrofe planetaria. Se Khrennikov e colleghi hanno ragione, quella mattina la Terra ebbe un incidente spaziale fortunato. Un impatto diretto con un asteroide con un diametro di circa 150 metri avrebbe devastato la Siberia, lasciando un cratere largo anche 3 chilometri: non sarebbe stata un'estinzione dei nuovi dinosauri, ma avrebbe avuto effetti drammatici sulla biosfera e gravissime ripercussioni sulla civiltà moderna. 13 OTTOBRE 2020 | LUIGI BIGNAMI |
Post n°3311 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La glicina: un altro elemento della vita nell'atmosfera di Venere La glicina è un amminoacido fondamentale per la vita, anche se la sua presenza nell'atmosfera di Venere non significa necessariamente anche presenza di vita. Venere (illustrazione): il pianeta infernale del Sistema Solare è un ricettacolo di vita? | YAROSLAV VAKULENKO Venere sta sorpassando Marte in fatto di interesse per la ricerca della vita extraterrestre. Tra gli scienziati, è ancora viva la sorpresa per la scoperta di fosfina, che sembra essere un'impronta sicura della presenza di vita tra le nubi del pianeta, che già arriva una nuova scoperta da un gruppo di ricercatori del Midnapore College del Bengala (India): il team, coordinato da Arijit Manna, sostiene di aver rilevato, alle medie latitudini di Venere, la presenza di un'altra molecola interessante per la vita, la glicina. La glicina è un amminoacido glucogenico, ossia un amminoacido che, nel nostro corpo, può essere convertito in glucosio tramite un processo metabolico, la gluconeogenesi. Lo studio ha permesso di individuare la glicina in prossimità dell'equatore di Venere, mentre sembra essere assente ai poli. UN MATTONE DELLA VITA. La glicina, pur essendo un composto organico, non è una molecola che indica con certezza la presenza di vita (come invece si sostiene per la fosfina), anche se è un composto importante per la sua formazione: è un mattone fondamentale per la vita, ma avere un mattone non significa avere necessaria- mente una casa. L'aver trovato la glicina potrebbe però aiutare a comprendere i meccanismi che nell'atmosfera di Venere portano alla formazione di molecole che stanno alla base della vita e capire come si è formata, se davvero esiste. Al momento sono state avanzate alcune ipotesi che possono spiegare la glicina su Venere, ma nessuna è esaustiva. La glicina venne già trovata al di fuori della Terra, sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ma è la prima volta che viene individuata nell'atmosfera di un altro pianeta. |
Post n°3310 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Ancora novità in arrivo dalla cometa su cui si appoggiò la sonda Philae Individuato finalmente il luogo del secondo impatto della sonda Philae sulla cometa Churyumov-Gerasimenko: ecco perché era così importante risolvere questo "mistero". Philae sulla cometa Churyumov-Gerasimenko. | NASA / ESA Il 12 novembre 2014 la sonda Philae della Nasa atterrò come previsto sulla superficie della cometa Churyumov- Gerasimenko, solo che - a causa di un difetto agli arpioni che l'avrebbero dovuta trattenere sulla superficie ghiacciata - dopo essere scesa nel punto di atterraggio iniziò a rimbalzare (e questo non era previsto). Dopo un primo salto Philae andò a impattare contro una parete della cometa e da lì rimbalzò ulteriormente fino a stabilizzarsi in un antro chiamato Abydos, dove venne scovata dalle fotocamere di Rosetta (la navicella madre da cui Philae si era staccato) soltanto 22 mesi più tardi e alcune settimane prima della conclusione della missione Rosetta. PERCHÉ È IMPORTANTE. Il luogo del secondo impatto della sonda era a tutt'oggi il "mistero finale" che Philae ci aveva lasciato e ora finalmente l'annuncio: è stato individuato: «Era importante trovare il sito», spiega Laurence O'Rourke dell'ESA, che ha ricoperto un ruolo guida nella ricerca di Philae, «perché i sensori della sonda indicavano che aveva scavato nella superficie, molto probabilmente espondendo ghiaccio "primitivo", vecchio di miliardi di anni». Ad aiutare O'Rourke nella sua missione non sono state tanto le fotografie (che comunque ci permettono, ora, di osservare bene com'è fatto il punto in questione, come si vede anche nel video qui sopra) quanto il braccio del magnetometro di Philae, ROMAP, strumento ideato per misurare il campo magnetico nell'ambiente locale della cometa. 4 SALTI SULLA COMETA. Analizzando i dati trasmessi dal magnetometro, infatti, il ricercatore è riuscito a localizzare il punto dove Philae impattò (per ben 4 volte nel medesimo punto) e a stimare la durata delle sue "evoluzioni" sulla cometa. L'area è stata soprannominata "Cima del teschio", perché la forma del suolo e delle rocce ricordano nell'aspetto il cranio di uno scheletro. La ricerca ha permesso anche di capire qual è la consistenza della polvere ghiacciata presente in quel punto della cometa. Sottolinea O'Rourke: «Abbiamo scoperto che quel misto di polvere ghiacciata è straordinariamente soffice, più morbida della schiuma di un cappuccino o della spuma che si può trovare in un bagnoschiuma o sulla cresta delle onde in riva al mare». Lo studio, infine, ha permesso di determinare una stima della porosità dei massi di quell'area: gli scienziati hanno calcolato che tra i granelli di polvere e ghiaccio c'è il vuoto per il 75%, un dato in linea con il valore misurato precedentemente per l'intera cometa in uno studio separato. |
Post n°3309 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Esopianeti: K2-141b, il pianeta dove piovono rocce È il primo tentativo di spiegare il meteo e l'atmosfera di un lontano pianeta roccioso, per metà talmente caldo da avere oceani di lava fusa e piogge al silicio. Esopianeti: K2-141b (illustrazione). Ecco come potrebbe apparire da vicino la faccia di K2-141b perennemente esposta al suo sole: un'atmosfera infuocata di silicio e venti inimmaginabili. | SAKKMESTERKE / Mentre la scoperta di nuovi pianeti al di là del Sistema Solare è ormai routine, portare alla luce qualcosa di più e di nuovo su ciò che può avvenire su di un esopianeta non è notizia di tutti i giorni. Nel 2018 venne scoperto il pianeta K2-141b, a circa 200 anni luce da noi, grazie al telescopio spaziale Hubble e a un gruppo di astronomi guidati da Luca Malavolta (INAF di Padova). Un pianeta roccioso, simile alla Terra per dimensioni e composizione, ma che a differenza della Terra ruota molto vicino alla sua stella madre (una nana arancione con temperatura superficiale di circa 4500 °C e una massa del 70 per cento di quella del Sole), tanto vicino che per compiere un'orbita impiega meno di 7 ore. Un mondo con venti a 5.000 km l'ora è stato immaginato per la prima volta da J.G. Ballard nel 1961, con Il vento dal nulla (The Wind From Nowhere): un vento spazza la Terra a velocità crescente, fino a diventare irresistibile per qualunque struttura. Nella foto, l'illustrazione dell'edizione italiana (Urania Mondadori, agosto 1962). | URANIA MONDADORI CONDIZIONI INFERNALI. La vicinanza fa sì che il pianeta sia in blocco gravitazionale e mostri sempre la stessa faccia alla stella, un po' come succede tra la Luna e la Terra. Circa due terzi della sua superficie sono costantemente esposti alla stella: il lato notturno registra temperature inferiori a -200 °C, mentre il lato illuminato arriva a 3.000 °C, temperatura sufficiente a fondere le rocce e a vaporizzarle, creando in alcune aree un'atmosfera rocciosa. La temperatura fa pensare che in superficie vi siano oceani di lava fusa, che dai calcoli presentati in uno studio avrebbero fino a 100 chilometri di profondità, e venti indescrivibili, che potrebbero raggiungere anche i 5.000 chilometri all'ora - come suggeriscono l'effetto Doppler e l'analisi spettroscopica. Il vapore di lava a un certo punto condensa e ricade al suolo come pioggia, ma di rocce - monossido di silicio e biossido di silicio - che i venti trasportano anche sul lato oscuro del pianeta. Spiega Giang Nguyen (York University, Canada), che questa ricerca «è un primo passo per riuscire a studiare il meteo, e persino fare previsioni meteo per esopianeti come K2-141b; in questo modo mettiamo alla prova i nostri modelli su condizioni che potranno però essere confermate solamente dai telescopi di nuova generazione che verranno lanciati nei prossimi anni, primo tra tutti il James |
Post n°3308 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet C'è acqua sulla Luna, e non solo ai poli Sembra che l'acqua sia presente un po' ovunque dove non arriva mai la luce del Sole: due studi, tra i quali uno della NASA, portano alla stessa conclusione. L'acqua sulla Luna potrebbe essere più abbondante e accessibile di quanto si pensasse: una buona notizia per i piani di colonizzazione e sfruttamento del nostro satellite. L'astrofisico Paul Hayne (Università del Colorado, Boulder) e il suo gruppo di lavoro hanno utilizzato le immagini della fotocamera e le misurazioni della temperatura prese dalla sonda in orbita lunare Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA per mappare le regioni fredde e permanentemente in ombra sulla Luna, che si ritiene siano i luoghi dove, con maggiore probabilità perché mai esposti alla luce del Sole, è conservato del ghiaccio. I risultati sono pubblicati su Nature. NON SOLO AI POLI. Sebbene le prove della presenza di acqua sulla Luna siano molte, si è finora pensato che il ghiaccio d'acqua si trovasse in trappole fredde limitate a crateri molto profondi e larghi chilometri. Il nuovo studio ha invece messo in luce che ci sono anche trappole fredde di piccole e piccolissime dimensioni: micro-aree che misurano da pochi millimetri al metro, permanentemente in ombra, che potrebbero contenere ghiaccio più facile da raggiungere. Complessivamente, i ricercatori stimano che le trappole fredde occupino circa 40.000 chilometri quadrati, ossia circa lo 0,1 per cento della superficie lunare. «Stiamo vedendo miliardi di queste trappole fredde su scale che non avremmo immaginato», commenta Hayne: «il ghiaccio è più a portata di mano di quanto si pensava. È una scoperta rivoluzionaria per l'esplorazione umana della Luna!». LA CONFERMA DA SOFIA. Uno studio separato, anticipato dalla NASA con molta enfasi (com'è evidente dal video in alto), ha confermato la presenza di ghiaccio d'acqua (H2O) piuttosto che di semplice idrossile (OH), che precedenti osservazioni non erano state in grado di distinguere. Casey Honniball (NASA Goddard Space Flight Center) e i suoi colleghi hanno utilizzato il telescopio SOFIA dell'agenzia spaziale - che è montato su un aereo per realizzare osservazioni a quote elevatissime, dove l'assorbimento della luce infrarossa da parte dell'atmosfera terrestre è molto ridotto - per individuare una firma spettrale ben chiara dell'acqua presente sulla Luna. La scienziata afferma che i dati sonocoerenti con la presenza di molecole d'acqua incorporate nelle rocce in notevoli quantità. «L'acqua è fondamentale per noi, ma è molto costosa da lanciare nello spazio», commenta: «trovare acqua sulla Luna sparsa in questo modo può significare che potremo utilizzare quella che c'è lassù, invece di portarla con noi.» UN PO' DI SCETTICISMO. «Non è ancora chiaro quanto sia stabile l'acqua in quella forma, se per lunghi o brevi periodi», è il commento di William Bottke (Southwest Research Institute, Colorado), che non ritiene le molecole d'acqua un indizio di abbondanza di acqua in forma utile a noi. In più, «gli astronauti potrebbero avere grandi difficoltà ad estrarre quell'acqua», afferma: «perché al momento nessuno può escludere che per riempire d'acqua anche una singola bottiglia occorra macinare migliaia di chili di roccia». 26 OTTOBRE 2020 | LUIGI BIGNAMI |
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