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Messaggi del 18/06/2020

Notizie dalla preistoria.

Post n°3118 pubblicato il 18 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riortato dall'Internet

A caccia con arco e frecce in Europa già 40.000 anni fa

di Folco Claudi

Ricostruzione di un cacciatore dell'Uluzziano mentre usa arco

e freccia (S. Ricci) Una nuova analisi delle pietre scheggiate

scoperte nella Grotta del Cavallo, in Puglia, indica che probabilmente

sono punte di frecce, retrodatando quindi l'introduzione di armi da

lancio in Europa da parte degli esseri umani

Gli esseri umani vissuti in Europa tra 45.000 e 40.000 anni fa circa

cacciavano già con archi e frecce.

Lo rivela uno studio effettuati sui reperti della Grotta del Cavallo,

un importante sito archeologico sulla costa del Salento, da una collaborazione

italo-giapponese, di cui fanno parte l'Università di Siena e l'Università di

Bologna.

Si tratta di un'importante scoperta sulla tecnologia avanzata della cultura

Uluzziana, probabilmente la più antica di Homo sapiens in Europa, che

completa il quadro delle ipotesi sulla colonizzazione del continente da

parte dei nostri antenati e sull'estinzione dell'uomo di Neanderthal.

La ricerca si è concentrata su reperti già noti, 146 piccole lame in pietra

scheggiata a forma di mezzaluna, di cui era ancora sconosciuto l'utilizzo.

"In questo studio abbiamo associato alla solita analisi tipologica di queste

semilune un'analisi tecnico-funzionale dell'usura e delle fratture che

ricorrono frequentemente in questa particolare tipologia di strumento litico", 

ha spiegato a "Le Scienze" Stefano Benazzi, paleoantropologo dell'Università

di Bologna e coautore dell'articolo pubblicato su "Nature Ecology & Evolution".

"I nostri colleghi giapponesi hanno effettuato prove sperimentali, riproducendo

le semilune con lo stesso materiale e montandole su frecce o sui cosiddetti

propulsori, aste che servivano sostanzialmente a prolungare il braccio e a

lanciare così i proiettili con più forza", ha sottolineato il ricercatore.

Le semilune realizzate ex-novo sono poi state lanciate contro pelli animali, in

modo da simulare gli impatti tipici della caccia.

"il risultato è che i segni e le fratture da impatto sono molto simili a quelle

riscontrate nei reperti della Grotta del Cavallo", ha aggiunto Benazzi.

"La difficoltà a quel punto era capire se la tecnologia usata fosse effettivamente

quella del propulsore o dell'arco e della freccia: noi propendiamo per questa

seconda ipotesi, ma non possiamo escludere completamente il propulsore".

Punta a mezzaluna con frattura da impatto scoperta nella Grotta del Cavallo

(K. Sano)
Complessivamente, i dati retrodatano di 20.000-25.000 anni l'introduzione

di armi da lancio basate su dispositivi meccanici in Europa.

L'efficienza nella caccia derivata da questa innovazione ha probabilmente

dato a H. sapiens un vantaggio enorme, permettendogli di soppiantare 

H. neanderthalensis, con il quale aveva convissuto nelle stesse regioni europee

per circa 5000 anni.

 "C'è un grande dibattito su chi sia l'artefice dell'Uluzziano: nel 2011 il mio

gruppo ha pubblicato un articolo in cui si dimostra che resti umani associati a

questa cultura sono di H. sapiens, ma a livello internazionale qualcuno critica

questa conclusione", ha sottolineato Benazzi.

"Ora la scoperta di una tecnologia così innovativa, che sappiamo essere presente

in Africa già 15.000-20.000 anni prima, va a sostegno dell'ipotesi che si sia

verificata un'ondata di colonizzazione di H. sapiens arrivati in Europa dal continente

africano con una tecnologia sofisticata".

Lo sguardo a questo punto non può che ampliarsi a tutto il continente europeo.

"Un dato importante, evidenziato anche nell'articolo, è che altri contesti in Europa,

definiti di transizione tra i Neanderthal e H. sapiens, mostrano strumenti litici molto

simili", ha concluso Benazzi.

"Speriamo che dopo il nostro lavoro, i colleghi all'estero guardino con occhi

diversi gli strumenti litici che hanno a disposizione".

 
 
 

Il benessere dell'ambiente globale..

Post n°3117 pubblicato il 18 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Il lockdown che fa bene all'ambiente

Centrale elettrica a carbone in Germania

(©mauritius images/AGF) Nei giorni di rigorosa chiusura

di tutte le attività in gran parte del mondo, le emissioni

di anidride carbonica giornaliere sono calate del 17 per

cento, principalmente in Cina e negli Stati Uniti, riportando

il pianeta ai livelli del 2006.

Ma il vantaggio non durerà: misure di contenimento più

blande come quelle attuali non bastano a ridurre le emissioni

tanto da mitigare il riscaldamento globale

Una crisi sanitaria che non si vedeva da almeno 100 anni e

una crisi economica senza precedenti dal secondo dopoguerra.

L'emergenza COVID-19 dei primi mesi del 2020 ha avuto

effetti devastanti, ma almeno per un aspetto ha avuto un

risvolto positivo: il calo delle emissioni di anidride carbonica

in atmosfera. 

Un nuovo studio pubblicato su "Nature Climate Change" da

Corinne Le Quéré dell'Università dell'East Anglia, nel Regno

Unito, e colleghi ha quantificato la variazione nei giorni di

massimo rigore delle misure di quarantena nel mondo,

mostrando che si è trattato di un vero e  proprio crollo: 17

milioni di tonnellate in meno al giorno cioè 17 per cento

rispetto allo stesso periodo del 2019.

Per qualche settimana, il pianeta è tornato ai livelli del 2006

mentre al picco del confinamento, il calo percentuale delle

emissioni nei singoli paesi è stato in media del 26 per cento .

I dati disaggregati mostrano che le emissioni derivanti dai

trasporti di superficie, come i viaggi in auto, rappresentano

quasi la metà (43 per cento) della diminuzione delle emissioni

globali durante il picco del lockdowon del 7 aprile.

Un ulteriore 43 per cento del calo è dovuto alle emissioni

provenienti dall'industria e dalla produzione di energia elettrica.

L'aviazione è il settore economico più colpito dal blocco,

ma rappresenta solo il 3 per cento delle emissioni globali:

complessivamente, rende conto del 10 per cento della

diminuzione delle emissioni durante la pandemia.

Nel complesso, il maggiore consumo di energia negli edifici

residenziali dovuto alle molte persone che lavoravano in casa

ha compensato solo marginalmente il calo delle emissioni

di altri settori.

Dall'inizio della pandemia, si legge ancora nello studio, il

cambiamento totale stimato alla fine di aprile delle emissioni

arriva a più di un miliardo di tonnellate di anidride carbonica.

I cambiamenti  maggiori sono stati rilevati in Cina, dove è

iniziato il confinamento, con una diminuzione di 242 milioni

di tonnellate di anidride carbonica (MtCO2), seguita dagli

Stati Uniti (207 MtCO2), Europa (123 MtCO2) e  India

(98 MtCO2).

Purtroppo però i benefici non dureranno a lungo, avvertono

i ricercatori.

L'analisi mostra anche che le misure di contenimento basate

soltanto sui comportamenti collettivi non sono in grado di

determinare le profonde e durature riduzioni delle emissioni

di gas serra necessarie per mitigare i cambiamenti climatici.

"Queste drastiche riduzioni sono probabilmente temporanee,

in quanto non riflettono i cambiamenti strutturali nei sistemi

economici, di trasporto o energetici", ha spiegato Le Quéré.

"Esiste tuttavia l'opportunità di realizzare cambiamenti reali

e duraturi per poter affrontare crisi future, implementando

pacchetti di stimolo economico che aiutino anche a raggiungere

gli obiettivi climatici, specialmente per la mobilità, che

rappresenta la metà della diminuzione delle emissioni durante

il lockdown". (red)

 
 
 

Il riscaldamento globale che viene dagli oceani..

Post n°3116 pubblicato il 18 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Se il riscaldamento globale arriva nelle profondità oceaniche

Vita marina oltre i 200 metri di profondità

(©Schmidt Ocean Institute) 

Nel prossimo futuro l'impatto ecologico del

riscaldamento globale sugli strati più profondi

degli oceani potrebbe essere pesante, mettendo

a rischio la biodiversità di quelle zone oceaniche.

Questo scenario, dovuto a una capacità di adatta-

mento limitata nel caso di variazioni di temperatura,

è stato finora largamente sottovalutato

Nei prossimi decenni, gli strati più profondi degli

oceani subiranno l'impatto del cambiamento climatico

in modo pesante, anche se le variazioni di temperatura

saranno meno intense rispetto a quelle della superficie

oceanica.

Lo rivela un'analisi basata su ben 11 modelli climatologici

 pubblicata su "Nature Climate Change" da un gruppo

internazionale di ricerca, guidato dall'Università del

Queensland, in Australia.

Quando si affronta il tema del riscaldamento del pianeta

in termini ecologici è importante valutare non tanto

le variazioni di temperatura delle diverse zone del globo,

quanto piuttosto la risposta attuata dalle specie nei propri

habitat.

Gli autori in questo caso hanno usato come parametro

d'indagine la climate velocity, che descrive con quale rapidità

e in quale direzione le specie cambiano il loro areale, cioè la

zona in cui esse vivono in modo stabile.

In particolare, hanno calcolato la climate velocity per il clima

contemporaneo, che ha caratterizzato il periodo compreso

tra il 1955 e il 2005, e per tre diversi scenari climatici definiti

dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) per

il periodo 2050-2100.

I ricercatori hanno scoperto che nella serie storica, le climate

velocity erano più elevate in profondità che in superficie.

L'effetto è particolarmente evidente oltre i 1000 metri di profondità,

con valori da due a quattro volte maggiori rispetto agli strati

superficiali, nonostante questi ultimi abbiano sperimentato il

riscaldamento maggiore.

Se si guarda al futuro, i modelli di previsione mostrano lo

stesso fenomeno.

Entro fine secolo le climate velocity degli strati mesopelagici,

compresi tra 200 e 1000 metri di profondità, saranno tra

quattro e 11 volte i valori superficiali, a seconda di quanto

sarà intenso il riscaldamento climatico dei prossimi decenni.

Questo dato è particolarmente importante perché riguarda

numerosissime specie di pesci di piccole dimensioni che

costituiscono il nutrimento di animali marini più grandi.

I ricercatori hanno poi valutato le regioni più critiche, in cui

cioè i massimi valori delle climate velocity si sovrappongono

agli hot-spot di biodiversità per circa 20.000 specie marine.

Hanno così scoperto che i problemi maggiori saranno alle

latitudini tropicali e subtropicali per gli strati superficiali e

intermedi, mentre saranno a ogni latitudine per gli strati

profondi, tranne che nelle regioni polari.

"I nostri risultati suggeriscono che la biodiversità delle

profondità marine sarà probabilmente più a rischio rispetto a

quella superficiale perché la biodiversità delle profondità è in

grado di adattarsi solo ad ambienti termicamente molto più

stabili", dice Jorge Garcia Molinos, ecologo dell'Università

dell'Hokkaido, che ha contribuito allo studio.

"L'accelerazione della climate velocity per l'oceano profondo

è costante in tutti i possibili scenari di concentrazione di gas

serra considerati.

Ciò fornisce una forte motivazione a considerare gli impatti

futuri del riscaldamento degli oceani sulla biodiversità degli

strati profondi, un tema che rimane sottovalutato in modo

preoccupante". (red)

 
 
 

Notizie da un asteroide..

Post n°3115 pubblicato il 18 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

L'asteroide 52768 in rotta verso la

Terra, l'esperto: "Un meteorite così

può causare la fine dell'umanità"

Enorme Asteroide in rotta verso la Terra, l'esperto: "Oggetti vicini ad 1 chilometro e più grandi possono causare danni su scala globale. Possono innescare terremoti, tsunami e altri effetti secondari oltre l'immediata area di impatto"

A cura di Beatrice Raso 4 Marzo 2020 13:52

Un asteroide in grado di mettere fine alla civiltà umana si

avvicinerà alla Terra nel mese di aprile 2020.

Il Dott. Bruce Betts del gruppo internazionale di astronomi

ha dichiarato: "Piccoli asteroidi, di pochi metri, colpiscono

frequentemente e bruciano nell'atmosfera e fanno pochi

danni. Gli asteroidi di dimensioni simili a quello di Chelyabinsk,

circa 20 metri, che ha colpito nel 2013, creano onde d'urto

che mandano in frantumi le finestre e provocano feriti.

Gli asteroidi di dimensioni simili a quello di Tunguska, circa

40 metri, che ha colpito la Siberia nel 1908, potrebbero

distruggere completamente una città o creare uno tsunami.

Gli asteroidi più grandi che colpiscono in media meno spesso

potrebbero causare una distruzione regionale.

Gli asteroidi ancora più grandi che colpiscono ancora meno

frequentemente potrebbero causare una catastrofe globale".

 

" Il potenziale distruttivo delle rocce spaziali così grandi

è stato sottolineato anche in un report del 2018 pubblicato

dall'US National Science and Technology Council.

La National Near-Earth Object Preparedness Strategy riporta:

"Oggetti vicini ad 1 chilometro e più grandi possono causare

danni su scala globale.

Possono innescare terremoti, tsunami e altri effetti secondari

che si estendono oltre l'immediata area di impatto".

Per fare un confronto, si ritiene che l'asteroide che ha ucciso

i dinosauri fosse ampio circa 10km.

 

La NASA stima che l'asteroide 1998 OR2 abbia un diametro

compreso tra 1,5 e 4,1km.

La roccia spaziale è stata rilevata mentre volava intorno al

sole nel 1987 e la NASA ha confermato la sua orbita il

30 giugno del 1987. Gli astronomi lo classificano come un

oggetto near-Earth "potenzialmente pericoloso".

Secondo la NASA, nel suo punto più vicino, la roccia spaziale

si avvicinerà alla Terra a circa 6,2 milioni di chilometri il 29

aprile, circa 16 volte la distanza tra la Terra e la Luna.

 

Betts afferma: "Ci sono alcuni asteroidi che attualmente sono

noti per avere una bassa probabilità di colpire la Terra in decine

o centinaia di anni.

Per esempio, una delle probabilità più alte attualmente è un

asteroide di circa 37m di diametro chiamato 2000 SG344 che

ha una probabilità di impatto di 1 su 1100 nel 2071.

Ma queste sono sempre basate su osservazioni di asteroidi che

hanno delle incertezze".

 
 
 

Saluti dalle Pulsar......

Post n°3114 pubblicato il 18 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: Wikipedia

Pulsar

Immagine ai raggi X della Pulsar delle Vele.

Una pulsar, nome che stava originariamente per

 sorgente radio pulsante, è una stella di neutroni.

Nelle prime fasi della sua formazione, in cui ruota

molto velocemente, la sua radiazione elettromagnetica

 in coni ristretti è osservata come impulsi emessi ad

intervalli estremamente regolari.

Nel caso di pulsar ordinarie, la loro massa è comparabile

a quella del Sole, ma è compressa in un raggio di una

decina di chilometri, quindi la loro densità è enorme.

Il fascio di onde radio emesso dalla stella è causato

dall'azione combinata del campo magnetico e della

 rotazione.

Le pulsar si formano quando una stella esplode come

 supernova II, mentre le sue regioni interne collassano

in una stella di neutroni congelando ed ingigantendo il

campo magnetico originario.

La velocità di rotazione alla superficie di una pulsar è variabile

e dipende dal numero di rotazioni al secondo sul proprio asse

e dal suo raggio.

Nel caso di pulsar con emissioni a frequenze del kHz, la velocità

superficiale può arrivare ad essere una frazione significativa

della velocità della luce, a velocità di 70.000 km/s.

Storia

Chart Showing Radio Signal of First Identified Pulsar.jpg

Le pulsar furono scoperte da Jocelyn Bell sotto la direzione

di Antony Hewish nel 1967, mentre stavano usando un array

radio per studiare la scintillazione delle quasar.

Trovarono invece un segnale molto regolare, consistente di

un impulso di radiazione ogni pochi secondi.

L'origine terrestre del segnale fu esclusa, perché il tempo che

l'oggetto impiegava ad apparire era in sincronia con il giorno

siderale invece che con il giorno solare e la potenza emessa

era di ordini di grandezza superiore a quella producibile

artificialmente.

La scoperta fu premiata con un Nobel nel 1974 che fu però

assegnato scorrettamente al solo Hewish.

Bell riceverà 44 anni dopo lo Special Breakthrough Prize con

un premio in denaro di 3 milioni di dollari.

Il nome originale dell'oggetto fu "LGM" (Little Green Men,

 piccoli omini verdi) perché qualcuno scherzò sul fatto che,

essendo così regolari, potessero essere segnali trasmessi

da una qualche forma di vita extraterrestre.

Dopo molte speculazioni, una spiegazione più prosaica fu

trovata in una stella di neutroni, un oggetto fino ad allora

solo ipotizzato.

Negli anni 1970-1980, fu scoperta una nuova categoria di

pulsar: le pulsar superveloci, o pulsar millisecondo che,

come indica il loro nome, hanno un periodo di pochi

 millisecondi invece che di secondi o più e risultano essere

molto antiche, frutto di un processo evolutivo lungo.

Nel 2004 viene individuata la prima "pulsar doppia" ovvero

due stelle pulsar che orbitano una attorno all'altra, in un 

sistema binario.

La scoperta è opera di un gruppo di ricercatori internazionali,

a cui partecipano anche italiani. In quest'ultimo caso, la

grandissima precisione degli impulsi ha permesso agli astronomi

di calcolare la perdita di energia orbitale del sistema, si

pensa dovuta all'emissione di onde gravitazionali.

L'esatto ammontare di questa perdita di energia è in buon

accordo con le equazioni della Relatività generale di Einstein.

TeoriaFile:Pulsar anim.ogvAnimazione di una Pulsar

 

Il modello di pulsar generalmente accettato, e raramente

messo in discussione, è quello del rotatore obliquo.

Spiega le osservazioni con un fascio di radiazioni che punta

nella nostra direzione una volta per ogni rotazione della

stella di neutroni.

L'origine del fascio rotante è legato al disallineamento tra

l'asse di rotazione e l'asse del campo magnetico della pulsar,

analogamente a quanto si osserva sulla Terra.

Il fascio è emesso dai poli magnetici della pulsar, che

possono essere separati dai poli di rotazione di un angolo

anche ampio.

Questo angolo rende il comportamento dei fasci simile a

quello di un faro.

La sorgente di energia dei fasci è l'energia rotazionale della

stella di neutroni, la quale rallenta lentamente la propria

rotazione per alimentare i fasci.

Le pulsar millisecondo sono state probabilmente accelerate

dal momento angolare posseduto da materia esterna caduta

su di esse, proveniente da una vicina stella compagna in un

 sistema binario mediante il meccanismo del trasferimento di

massa.

Anche le pulsar millisecondo, però, rallentano costantemente

la propria rotazione.

L'osservazione di glitch è di interesse per lo studio dello stato

della materia nelle stelle di neutroni.

Un glitch è un improvviso aumento della velocità di rotazione

(che viene osservato come un'improvvisa riduzione dell'intervallo

tra gli impulsi).

Per lungo tempo si è creduto che tali glitch derivassero

da "stellemoti" dovuti ad aggiustamenti della crosta superficiale

della stella di neutroni.

Oggi esistono anche modelli alternativi, che spiegano i glitch

come improvvisi fenomeni di superconduttività dell'interno

della stella.

La causa esatta dei glitch non è al momento conosciuta.

Nel 2003, le osservazioni della pulsar della Nebulosa del Granchio

 ha rivelato "sotto-impulsi", sovrapposti al segnale principale,

con una durata di pochi nanosecondi.

Si pensa che impulsi così stretti possano essere emessi da

regioni della superficie della pulsar con un diametro massimo

di 60 centimetri, rendendo queste regioni le più piccole strutture

mai misurate all'esterno del Sistema Solare.

Importanza

La scoperta delle pulsar ha confermato l'esistenza di stati della

materia prima solo ipotizzati, appunto la stella di neutroni, e

impossibile da riprodurre in laboratorio a causa delle alte

energie necessarie, gravitazionali e non.

Questo tipo di oggetto è l'unico in cui è possibile osservare il

comportamento della materia a densità nucleari, anche se solo

indirettamente.

Inoltre, le pulsar millisecondo hanno consentito un nuovo test

della relatività generale in condizioni di forti campi gravitazionali.

Grazie alle pulsar, è stata possibile la scoperta del primo pianeta

extrasolare, e successivamente di altri 10.

Sono in corso studi per verificare la fattibilità di utilizzare le pulsar

millisecondo per determinare con precisione la posizione di un

oggetto che si muove a migliaia di chilometri all'ora nello spazio

profondo ed utilizzarle in futuro per missioni spaziali robotiche.

 
 
 

Notizie dallo spazio...

Post n°3113 pubblicato il 18 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Spazio, baby pulsar da record:

ha appena 240 anni

Un team internazionale di astronomi, che annovera tra gli

altri diversi ricercatori Inaf, ha spiato la più giovane delle

pulsar scoperte fin'ora

A cura di Monia Sangermano 17 Giugno 2020 21:54

Osservazioni nei raggi X dallo spazio e nelle onde radio

dal Sardinia Radio Telescope dell'Inaf hanno rivelato la

più giovane pulsar che sia mai stata individuata, che è

anche una magnetar per l'eccezionale campo magnetico

di cui è dotata.

I risultati delle osservazioni di follow-up, condotte da

un team internazionale di astronomi che annovera tra

gli altri diversi ricercatori Inaf, sono pubblicati su

Astrophysical Journal Letters

Un team internazionale di astronomi, che annovera tra

gli altri diversi ricercatori Inaf, ha spiato la più giovane

delle pulsar scoperte fin'ora.

Il suo nome è Swift J1818.0-1607 - dal nome dell'osservatorio

spaziale Swift della Nasa che l'ha individuata a marzo del 2020

- e con i suoi 240 anni di età stimati è la più giovane "trottola

spaziale" conosciuta tra le tremila note nella nostra galassia.

Le pulsar sono tra gli oggetti più esotici che si conoscano.

Sono stelle di neutroni molto dense ed estremamente magnetiz-

zate.

Ciò che rimane di stelle massicce che terminano la loro vita

attraverso violente esplosioni di supernova.

Tra queste c'è una categoria a sé che prende il nome di magnetar,

dalla contrazione di magnetic-star, che come suggerisce il nome

sono stelle di neutroni con un campo magnetico incredibilmente

intenso.

Queste sorgenti alternano periodi di quiescenza a periodi di intensa

attività, durante i quali emettono enormi quantità di radiazione X

sotto forma di outburst - eventi che comportano un aumentano di

luminosità sino a migliaia di volte - per poi ritornare gradualmente

allo stato iniziale, su scale temporali che vanno da alcuni millisecondi

ad anni.

Ebbene, Swift J1818.0-1607, oltre che giovanissima, è supermagnetica

e irrequieta: insomma, è anch'essa una magnetar a tutti gli effetti.

La campagna osservativa condotta in banda X da XMM-Newton

dell'Esa, Swift e NuSTAR della Nasa e nel radio dal Sardinia Radio

Telescope dell'Inaf ha ora catturato questi outburst emessi da

Swift J1818.0-1607, la cui analisi, oltre a confermarne la scoperta,

fornisce ulteriori importanti informazioni.

Tra i risultati di queste osservazioni di follow-up, riportati nell'articolo

appena pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, c'è, come

detto in apertura, la stima della sua età: 240 anni, praticamente

un battito di ciglia nella storia evolutiva di qualsiasi stella.

«Swift J1818.0-1607 si trova a circa 15 mila anni luce di distanza,

all'interno della Via Lattea», ricorda Paolo Esposito, ricercatore

presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori (IUSS) di Pavia,

associato Inaf e primo autore dello studio.

«Individuare qualcosadi così giovane, subito dopo che si è formata

nell'Universo, è estremamente eccitante.

Le persone sulla Terra sarebbero state in grado di vedere

l'esplosione di supernova che ha formato questa piccola magnetar

circa 240 anni fa, proprio nel mezzo delle rivoluzioni americana

e francese».

Ma Swift J1818.0-1607 ha anche altre peculiarità.

Tra le magnetar, è quella con la rotazione più rapida che si

conosca, nonostante contenga la massa di due soli racchiusa in

una sfera di 25 chilometri di diametro: la velocità riportata nello

studio è di un giro ogni 1,36 secondi.

E poi, a differenza della maggior parte di questi oggetti, che

sono osservabili solo in banda X, Swift J1818.0-1607 è anche

una delle pochissime magnetar a mostrare un'emissione radio.

Emissione catturata in questo caso dal radio-telescopio targato

Inaf Sardinia Radio Telescope (Srt).

«Swift J1818.0-1607 è una di appena 5 - forse 6 - magnetar

che mostrano anche pulsazioni nella banda radio» sottolinea

Marta Burgay, ricercatrice all'Inaf di Cagliari e co-autrice

dello studio.

«Perché questo accada e come l'emissione radio sia legata a

quella a più alte energie, sono domande ancora aperte: ogni

nuova osservazione della compresenza dei due fenomeni ci

fornisce quindi un prezioso indizio per cercare di comporre i

pezzi di questo curioso puzzle.

Le osservazioni di Srt risalgono al 19 marzo: nonostante il

lockdown il telescopio è rimasto infatti parzialmente operativo,

laddove le osservazioni non richiedessero la presenza di più di

un astronomo al telescopio e non ci fosse necessità di particolari

interventi tecnici.

Abbiamo registrato, in particolare, una serie di impulsi molto

più brillanti della media, una fenomenologia simile a quella

dei cosiddetti 'giant pulses' che si registrano in alcune pulsar

giovani, come ad esempio quella nella Nebulosa del Granchio».

Quanto al suo campo magnetico, invece, il valore sarebbe di

7 ×1014 Gauss, 70 milioni di miliardi di volte più intenso di

quello della Terra.

«Le magnetar sono oggetti affascinanti.

Questa, date le sue caratteristiche estreme, sembra essere

particolarmente intrigante» aggiunge Nanda Rea, ricercatrice

all'Istituto di Scienze dello spazio di Barcellona (Csic, Ieec)

e principal investigator delle osservazioni.

«Il fatto che possa essere osservata sia nel radio che nell'X è

un indizio utile per risolvere il dibattito scientifico in corso

sulla loro natura di un tipo specifico di residuo stellare: le pulsar».

Le magnetar non sono generalmente considerate comuni

nell'Universo - ad oggi gli astronomi ne hanno rilevato solo

trenta, trentuno con questa.

Tuttavia, i ricercatori che studiano l'emissione X di questi

oggetti sospettato da tempo che esse possano essere in

realtà molto più comuni di quanto suggerisca questa visione.

Queste osservazioni supportano l'idea che queste particolari

stelle di neutroni potrebbero invece formare una frazione

sostanziale delle pulsar trovate nella Via Lattea.

«In realtà le magnetar non sono rare» spiega Luigi Stella,

ricercatore Inaf a Roma, anch'egli nel team che ha studiato

Swift J1818.0-1607.

«Si stima anzi che una percentuale molto alta di stelle di

neutroni nasca come magnetar; secondo un studio recente

la metà circa, se non di più.

Il fatto è che la loro vita è molto breve rispetto a quella delle

altre classi di stelle di neutroni che conosciamo, quindi è più

difficile trovarle.

Stiamo imparando davvero molto dai dati più recenti»

continua Stella «soprattutto da quelli combinati tra i raggi x

e gamma e la banda radio.

Diversi indizi ci portano sempre più a pensare che i rapidissimi

fast radio bursts che provengono da distanze cosmologiche

siano prodotti da queste magnetar con caratteristiche estreme.

Questi oggetti potrebbero dunque svolgere un ruolo chiave

nel guidare tutta una serie di eventi transitori che vediamo

nell'Universo.

«La teoria prevede che in virtù della combinazione di campo

magnetico e rotazione estremamente elevati - aggiunge Stella

- le magnetar neonate possano dissipare la maggior parte della

loro enorme energia rotazionale in tempi brevissimi, da decine

di secondi a settimane, così da produrre, o quantomeno da

energizzare, alcune delle più potenti esplosioni cosmiche

che conosciamo, quali i gamma-ray bursts brevi e lunghi o

le supernovae superluminose.

Le magnetar appena nate potrebbero anche generare un

forte segnale di onde gravitazionali, grazie alla deformazione

del profilo della stella provocato dal loro campo magnetico,

oltreché alla loro rapidissima rotazione.

Tutti questi modelli sono molto promettenti, ma non ne abbiamo

ancora conferma dalle osservazioni»

Swift J1818.0-1607 è una particolare magnetar appartenente

a un piccolo e diversificato gruppo di giovani stelle di neutroni

con proprietà a cavallo tra quelle di pulsar rotazionalmente e

magneticamente alimentate, concludono i ricercatori.

Osservazioni future consentiranno una migliore stima dell'età

possibile misurando la velocità di rotazione in quiescenza.

Per saperne di più:

Leggi su Astrophysical Journal Letters l'articolo "A very

young radio-loud magnetar" di P. Esposito, N. Rea,

A. Borghese, F. Coti Zelati, D. Viganò, G. L. Israel,

A. Tiengo, A. Ridolfi, A. Possenti, M. Burgay, D. Götz,

F. Pintore, L. Stella, C. Dehman, M. Ronchi, S. Campana,

A. Garcia-Garcia, V. Graber, S. Mereghetti, R. Perna,

G. A. Rodríguez Castillo, R. Turolla e S. Zane

 
 
 

Altre riflessioni di Blogteca.

Post n°3112 pubblicato il 18 Giugno 2020 da blogtecaolivelli

Buongiorno,

oggi è il secondo giorno di grande impegno per i

maturandi e le commissioni per i tradizionali esami

di stato che tutti volevano cambiare da anni ed è

accaduto a causa del Covid 19 ed il conseguente

lockdown che ha relegato tutti in casa per causa

di forza maggiore con grande danno e gioia degli

studenti, niente da dire, potere della pandemia che,

sembra stia regredendo, anche se i bollettini della

Protezione civile sono tutt'altro che incoraggianti e

sembrano voler preparare ad una seconda ondata

dietro la porta.

E probabilmente ne avremo tutti ancora per un anno,

se non c'è qualcosa di peggio a prepararsi...non per

gufare e fare gli iettatori ma è solo una riflessione

piuttosto realistica, a quanto dicono gli esperti virologi

di fama...

Così, a causa dell'emergenza covid che finisce il 31

luglio 2020, una data ancora lontana, blogteca continua

il suo servizio di informazione  per la collettività

scolastica, con tutte le paturnie che tanta brava

gente si fa venire, per motivi vari ma la cosa non

tange nessuno.

Alla larga dalle insinuazioni e dalle polemiche inutili

e fatue.

Il presente blog continua la sua opera di informazione

sui più disparati argomenti..

Tanti auguri ai maturandi dell'Olivelli...

 
 
 

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