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Messaggi del 14/05/2021
Post n°3401 pubblicato il 14 Maggio 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: libere risorse dell'Internet Scoperte orme fossili di grandi rettili sulle alpi occidentali Ipotetica ricostruzione dell'organismo che ha lasciato le impronte attribuite alla nuova icnospecie Isochirotherium gardettensis ©Fabio Manucci Uno studio appena pubblicato a firma di geologi e paleontologi delle Università di Torino, Roma Sapienza, Genova, Zurigo e del MUSE - Museo delle Scienze di Trento, ha istituito un tipo di impronta fossile nuova per la scienza, denominata Isochirotherium gardettensis, in riferimento all'Altopiano della Gardetta nell'Alta Val Maira in cui è stata scoperta. Un'inattesa scoperta paleontologica, appena pubblicata sulla rivista internazionale PeerJ da un team multidisciplinare di ricercatori italiani e svizzeri, descrive una serie di orme fossili impresse da grandi rettili vagamente simili a coccodrilli nel passato più profondo delle Alpi occidentali, circa 250 milioni di anni fa. Le impronte sono state scopertea circa 2200 metri di quota nella zona dell'Altopiano della Gardetta nell'Alta Val Maira (Provincia di Cuneo, Comune di Canosio) in seguito al lavoro di tesi del geologo dronerese Enrico Collo.
di Genova e nel 2009 con Heinz Furrer dell'Università di Zurigo, identificarono nelle rocce della zona alcune tracce di calpestio lasciate da grandi rettili, originariamente lasciate fra i fondali fangosi ondulati di una antica linea di costa marina in prossimità di un delta fluviale. del MUSE - Museo delle Scienze di Trento, dell'Istituto e Museo di Paleontologia dell'Università di Zurigo e delle Università di Torino, Roma Sapienza e Genova, in accordo con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria Asti e Cuneo, le descrive in parte come orme fossili dell'icnogenere Chirotherium e istituisce inoltre un tipo di impronta fossile nuova per la scienza, denominata Isochirotherium gardettensis in riferimento all'altopiano in cui è stata scoperta. nella roccia, spostare un ciuffo erboso e realizzare immediatamente che si trattava di un'impronta lunga oltre trenta centimetri: un vero tuffo nel tempo profondo, con il privilegio di poter appoggiare per primo la mano nella stessa cavità dove in centinaia di milioni di anni se n'era appoggiata soltanto un'altra; mi è venuto spontaneo rievocare subito l'immagine dell'animale che lasciò, inconsapevolmente, un segno duraturo nel fango morbido e bagnato, ma destinato a divenire roccia e innalzarsi per formare parte della solida ossatura delle Alpi" ha dichiarato il paleontologo Edoardo Martinetto del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Torino, primo scopritore delle nuove tracce. Scienze di Trento, esperto di orme fossili e primo autore del lavoro, si tratta di un ritrovamento unico in Europa: "Le orme sono eccezionalmente preservate e con una morfologia talmente peculiare da averci consentito la definizione di una nuova icnospecie che abbiamo deciso di dedicare all'Altopiano della Gardetta". Il paleontologo Massimo Bernardi del MUSE sottolinea che questi ritrovamenti testimoniano la presenza di rettili di grandi dimensioni in un luogo e un tempo geologico che si riteneva caratterizzato da condizioni ambientali inospitali. Le rocce che preservano le impronte della Gardetta, formatesi pochi milioni di anni dopo la più severa estinzione di massa della storia della vita, l'estinzione permotriassica, dimostrano che quest'area non era totalmente inospitale alla vita come proposto in precedenza. dell'organismo che ha lasciato le impronte che abbiamo attribuito a Isochirotherium gardettensis, ma, considerando la forma e la grandezza delle impronte, e altri caratteri anatomici ricavabili dallo studio della pista, si tratta verosimilmente di un rettile arcosauriforme di notevoli dimensioni, almeno 4 metri" ha rimarcato il paleontologo Marco Romano della Sapienza Università di Roma. prima scoperta, con l'amico Enrico Collo nel 2008, il piacere intellettuale della prima campagna di rilievi con Enrico e Heinz Furrer nel 2009 e poi la grande soddisfazione scientifica avuta nel lavorare con una così prestigiosa squadra di ricercatori, il tutto nella consapevolezza che questa rilevante novità scientifica si colloca in un territorio di spettacolare bellezza, accrescendone il già grandissimo valore" ha ricordato il Prof. Michele Piazza dell'Università di Genova. il contributo organizzativo ed economico dell'Associazione Culturale "Escarton" che ha sostenuto il progetto a partire dal 2016 e che, grazie al Presidente Giovanni Raggi, ha rappresentato l'intermediario fra il mondo della ricerca e quello delle istituzioni locali rappresentate dai Sindaci dei comuni di Canosio e Marmora, nonché dall'Unione Montana Valle Maira. grazie all'estensione dell'area di ricerca e alla raccolta di ulteriori informazioni sulla associazione di rettili triassici che hanno lasciato tracce nella zona ma soprattutto grazie alla diffusione dei risultati delle ricerche geo-paleontologiche mediante la creazione di un Geo- Paleo park, comprendente un centro visitatori e un giardino geologico didattico-divulgativo. "La nostra prossima sfida", sottolinea il coordinatore del progetto Massimo Delfino del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Torino, "è trovare la copertura finanziaria che garantisca una raccolta accurata ed esaustiva delle informazioni di importanza scientifica, la conservazione a lungo termine del patrimonio paleontologico della Gardetta e la sua valorizzazione in un'ottica di promozione culturale e turistica delle caratteristiche naturali della Val Maira". di questo comunicato stampa, che è stato pubblicato integralmente e senza variazioni) |
Post n°3400 pubblicato il 14 Maggio 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: libere risorse Internet 17 febbraio 2021Comunicato stampa Il patrimonio genetico unico dei Greci di Calabria rivela la loro antichissima origine Vista dal paese di Bova, in provincia di Reggio Calabria, al centro dell'area grecofona della Bovesia (Foto: Donata Luiselli) Un'analisi genetica delle popolazioni dell'Aspromonte che ancora oggi parlano il greco calabro ha permesso di ricostruirne la ricca storia di migrazioni e scambi culturali: sono gli ultimi rappresentanti di un'area di influenza greca anticamente molto più ampia. Lo studio pubblicato su Scientific Reports Secoli di isolamento geografico e culturale hanno portato le popolazioni che abitano le aree montuose dell'Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, e che ancora oggi parlano il greco calabro, ad evolvere un patrimonio genetico unico, che si differenzia da quello delle altre popolazioni del sud Italia. Lo riporta, in un articolo pubblicato su Scientific Reports, un gruppo di studiosi dell'Università di Bologna, che ha analizzato il DNA degli abitanti di queste comunità, ricostruendo così i processi migratori e demografici che si sono stratificati nella regione nel corso dei millenni. del progetto ERC AdG LanGeLin (Language and Gene Lineages), abbiamo ricostruito l'eredità genetica delle ultime comunità ellenofone esistenti ancora oggi nella regione", spiega la professoressa Donata Luiselli, che ha coordinato lo studio. "Il territorio corrispondente all'attuale Calabria è sempre stato un importante crocevia di popoli e di culture, e la ricchezza del patrimonio genetico e culturale delle comunità che abitano sulle montagne dell'Aspromonte ne è una perfetta testimonianza". Il greco calabro (o grecanico) è una varietà unica di greco che viene ancora oggi parlata in una piccola regione della provincia di Reggio Calabria nota come Bovesia, sul versante ionico dell'Aspromonte. Ma da dove arrivi e quando sia nata questa tradizione linguistica è un tema su cui restano molti interrogativi. Un'ipotesi la farisalire all'Alto Medioevo, portata dai discendenti dell'espansione bizantina. Un'altra ipotesi si spinge invece molto più indietro nel tempo, fino all'epoca della Magna Grecia. Più di recente è però emersa la possibilità che entrambi questi scenari siano corretti e che questa tradizione proseguita nel corso dei secoli possa aver ricevuto contributi dal greco di diversi periodi, rafforzata via via da diverse ondate migratorie. Possibilità che ora possono essere interpretate anche alla luce dell'analisi del patrimonio genetico degli abitanti della Bovesia. "Dalla nostra analisi sono emersi strati genetici molto più antichi di quanto si potesse immaginare, e legami di lunga durata con il Mediterraneo orientale, risalenti fino al Neolitico e all'Età del Bronzo, che hanno caratterizzato la storia genetica di tutta l'Italia meridionale", spiega la ricercatrice Stefania Sarno, prima autrice dello studio. "In seguito, poi, si sono susseguitemolteplici migrazioni, tra cui quelle di persone di lingua greca durante l'era classica, in Magna Grecia, e quelle in epoca bizantina, che hanno verosimilmente mantenuto e in alcuni casi rinforzato scambi genetici e culturali".
Per arrivare a ricostruire questa complessa storia di migrazioni e intrecci culturali, gli studiosi hanno analizzato il genoma di un campione di individui provenienti dalle aree dell'Aspromonte che conservano e parlano il greco calabro, mettendolo a confronto con quello di altre popolazioni provenienti dalla stessa area geografica ma che hanno da tempo abbandonato questa tradizione linguistica. Gli stessi dati genetici sono stati poi confrontati anche con altre popolazioni dell'Italia meridionale e con genomi antichi e moderni di popolazioni europee e del bacino del Mediterraneo. amplificato dalle differenze culturali nei gruppi che ancora oggi parlano il greco calabro, ha permesso non solo di conservare un'unica varietà linguistica, ma anche di evolvere un peculiare patrimonio genetico", spiega la ricercatrice Cristina Giuliani, che ha co-coordinato il lavoro. "Segnali di isolamento e deriva geneticarispetto alle altre popolazioni del sud Italia risultano infatti più elevati nelle comunità dell'Aspromonte che sorgono nei luoghi geograficamente più isolati e che conservano ancora oggi un certo numero di abitanti che parlano il greco calabro". |
Post n°3399 pubblicato il 14 Maggio 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: Notizie Scientifiche Ricerca per: Qualcosa sta distruggendo l'ammasso stellare a noi più vicino, forse è materia oscura
L'ammasso stellare Iadi visto dal telescopio spaziale Gaia. Sono visibili delle "code" di stelle che si estendono dall'ammasso centrale (credito: ESA/Gaia/DPAC, CC BY-SA 3.0 IGO; riconoscimento: S. Jordan/T. Sagrista) L'ammasso stellare più vicino a noi, quello delle Iadi, situato ad una distanza di 153 anni luce ed osservabile abbastanza facilmente dall'emisfero settentrionale, è in corso di distruzione a causa dell'influenza gravitazionale di quella che al momento, non è ancora riconosciuta con precisione ma che sembra avere una struttura ma abbastanza massiccia. Secondo i ricercatori potrebbe essere un sub-alone di materia oscura, nubi di particelle, a noi invisibili, considerabili come "reliquie" della formazione della stessa via Lattea. Questi aloni sono sparsi un po'in tutta la galassia e formano una sorta di sottostruttura invisibile che però ha una sua influenza gravitazionale. La scoperta è stata effettuata dalla ricercatrice Tereza Jerabkova ed altri colleghi dell'Agenzia Spaziale Europea che hanno usato i dati del telescopio spaziale Gaia, come rileva un comunicato apparso sul sito della stessa agenzia. L'influenza gravitazionale di questo alone, infatti, spinge le stelle spostandole prima ai bordi dell'ammasso stesso e poi fuori dall'ammasso, letteralmente spazzate via. Questo processo, tra l'altro, sta formando due lunghe code di stelle, conosciute come "code di marea", mai osservate in un ammasso stellare così vicino, in questo caso lunghe migliaia di anni luce. Eseguendo simulazioni al computer, la ricercatrice ha scoperto che una delle due code di marea sembra mancare del numero di stelle che ci si aspetterebbe: "Deve esserci stata una stretta interazione con questo ammasso davvero enorme, e le Iadi sono state distrutte", spiega la ricercatrice secondo la quale a causare la coda di marea deve essersi scontrata con un sub-alone di materia oscura con una massa di 10 milioni di soli. Il risultato? Le stelle che vanno incontro a questa collisione vengono letteralmente distrutte dall'enorme forza gravitazionale. |
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