Creato da: tonidiblu il 14/08/2006
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Amore e discorsi amorosi

Post n°4 pubblicato il 28 Agosto 2006 da tonidiblu

Una citazione di Roland Barthes, nel Blog di Mi_ni_ma, a proposito dell’impossibilità di dissertare sull’amore mi ha portato alle seguenti riflessioni (un po’ acide, lo ammetto).

 

Ci sono due ragioni, a mio avviso, se sfugge a R. Barthes la possibilità di dissertare sull’amore (non sui discorsi amorosi). La prima è la sua impostazione di filosofo francese, interessato più al linguaggio, e alle strutture formali del discorso, che al suo contenuto. Non c’è bisogno di sottolineare l’importanza che il linguaggio ha in ogni attività umana e come esso penetri in ogni dove determinando nei minimi dettagli anche ciò che saremmo propensi a definire “naturale”, dalla sessualità, all’alimentazione, all’amicizia. L’antropologia culturale moderna ha evidenziato i caratteri culturali e linguistici dell’esistenza umana. Non è difficile comprendere in questo senso l’affermazione che: “Più che parlare una lingua, siamo parlati dalla lingua”. Tuttavia il linguaggio ha un limite essenziale: non è mai l’oggetto che denota. E’ come l’elegante e vistoso astuccio che lascia immaginare l’anello (forse di brillanti) che contiene, ma non è certamente l’anello. L’amore è appunto come l’anello e per poterne godere la bellezza bisogna aprire l’astuccio (lo scrigno), disfacendo così la confezione (il linguaggio). In molti l’hanno fatto, prima e dopo Barthes.

La seconda ragione è che Barthes è un maschio (per di più francese), come tutti i maschi (me compreso), poco avvezzo a cogliere al di là delle parole di un discorso quei significati, che niente hanno a che fare col discorso manifesto, ma che sono segni di un codice che solo una creatura femminile riesce sempre a comprendere e i maschi, quando sono veramente innamorati. Le più belle pagine d’amore sono state scritte da una donna: Santa Teresa d’Avila, che sul tema ha ampiamente dissertato dopo averne profondamente vissuto.

 

(Non sopporto la saccenteria in genere, quella di certi filosofi francesi men che meno. Chissà, magari la causa della mia idiosincrasia è originata dall’episodio Zidane-Materazzi).

 
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AMORE

Post n°3 pubblicato il 26 Agosto 2006 da tonidiblu

L’immagine che ho dell’amore, è racchiusa nei versi di una poesia che recita:

 

TU E IO

 

Felice il momento quando sediamo, io e te, nel palazzo,

due figure, due forme, ma un’anima sola, tu e io.

L’acqua di vita darà immortale gioia al Verziere e al canto degli uccelli,

quando insieme incederemo nel giardino, tu e io!

Le stelle del firmamento scenderanno a guardarci

E la nostra splendida Luna mostreremo loro, tu e io!

Tu e io senza più tu né io ci uniremo nell’estasi,

lieti e felici e liberi dalle vane parole, tu e io!

E gli uccelli celesti s’addolciranno di zucchero il becco

nel luogo ove noi così di gioia rideremo, tu e io!

Ma ben strano è che io e te stretti in un solo nido

Siamo in questo momento, uno in Iraq e uno in Khorasan, tu e io!

In una forma su questa terra, e, pure, in altro disegno,

nel paradiso eterno di dolcissima gioia, tu e io!

(Rumi, Jalal ad-Din, Poesie mistiche, Milano, BUR, VIII ed., 2001, p. 138)

 

L’autore dei versi è Rumi, un mistico persiano dell’XI sec., iniziatore dell’ordine Sufi dei Mevlevi, i dervisci rotanti citati anche in una canzone di Battiato.

Si potrebbe allora obiettare che il “Tu” a cui si riferisce Rumi sia “Dio”. Giusta obiezione! Ma un amore che non sia per “la divinità dell’amato” è vero amore?  No! E’ reciproco sostegno, complicità, affettività, solidarietà, sessualità e/o altre cose ancora, tutte legittime e necessarie a soddisfare i bisogni umani, ma nessuna di esse, né singolarmente né insieme può essere definita Amore.

A mio avviso, ma esiste un’ampia letteratura in merito, l’Amore si dà solo tra gli Dei, ossia tra quegli esseri divini che siamo, sempre, e che possiamo riconoscere di essere, quando apriamo gli occhi del cuore.

 

 

 

 

 

 

 
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felicità e creatività

Post n°2 pubblicato il 18 Agosto 2006 da tonidiblu

Ho letto sul blog di “Mi_ni_ma” una breve ed efficace sintesi del pessimismo leopardiano che, in ultima istanza, attribuisce alla ragione sia la causa dell’infelicità umana, sia la sua possibile soluzione.

In quanto causa dell’infelicità umana, la ragione è colpevole di distruggere l’illusione con la scoperta del vero.

In quanto soluzione dell’infelicità, invece, essa è il bene che gli uomini hanno, per porsi eroicamente di fronte al vero e, unendosi fra loro in solidarietà fraterna, conservare nella sventura la propria dignità e addirittura vincere o lenire il dolore.

Che cos’è la felicità? Non in assoluto o in generale ma “che cos’è per me in questo momento?”

Un’altra blogger, “freddissima”, ha scritto delle righe stupende su di un suo momento di felicità vissuto nell’infanzia, Messaggio 103, “… lei [la madre] era distesa su una sdraio ed io sopra di lei come fosse un caldo piumino sul quale scaricare le tensioni e riposarsi tranquillamente…”.

Quanto alle verità, non c’è dubbio che le verità delle ragione siano potenzialmente distruttive, ma quando? Soltanto quando le verità sono accompagnate dell’odio, dalla disperazione, dalla mancanza di fede (nella vita, nei sogni o nell’amore), quando le verità sono fine a se stesse, assolute e senza orizzonti.

“Gli uomini non possono volare” è una verità biologica, che costringerebbe l’uomo “a terra” per sempre, per fortuna Leonardo da Vinci e altri, dopo di lui, non si sono limitati a prenderne atto. Dinanzi a questa banale verità scientifica, Leonardo non si è posto eroicamente ma creativamente, si è chiesto come l’uomo avrebbe potuto volare, pur con i suoi limiti… il resto lo sappiamo, ma

per questo oggi l’uomo può volare

 

 

 

 

 

 
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Promesse d'amore(lettera di Emilia al suo nobile amante)

Post n°1 pubblicato il 14 Agosto 2006 da tonidiblu
Foto di tonidiblu

Allora sappi che proprio così è scritto:

che io potrò riconoscerti e tu potrai riconoscermi

solo in questo mondo e per gradi.

Dopo che tu avrai addomesticato la rosa carnivora

che mi ha morso le labbra e mi divora i sensi

E trasformato in oro lo sperone del falco

che mi ha ghermito la schiena e ferito il cuore

E raccolta in una matassa di seta la tela del ragno

che mi stringe le ali

E legato alla mia cintura il drago

che ci imprigiona le menti

…solo allora potrò riconoscerti.

E anche tu potrai riconoscermi

quando ti restituirò l’arco, che fu di Ulisse,

e che da allora ho custodito solo per te;

e ti darò la mia mano

attraverso la quale mi condurrai attraverso gli affanni quotidiani

e io ti seguirò oltre i confini dell’illusione

fino al giardino dei nostri antenati,

dove ci nutriremo dei frutti che sono essenza della Terra

e ci inebrieremo con il Vino, sangue del Cielo e degli Amanti.

E dopo che ci saremo fatti dono delle nostre anime,

ci ameremo fino a fare di esse un’unica freccia fiammeggiante

che lanceremo oltre il tempo e i cicli degli Infiniti Mondi.

 

Ecco l’alba del mio sogno, in questo mondo e per gradi

 

 
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