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Ieri sera ho visto il film di Carlo Verdone, trasmesso da canale5, Ma che colpa abbiamo noi, sembrerà una sciocchezza quello che dico, ma penso che Verdone abbia introiettato molto gli insegnamenti del maestro Sordi, certo i tempi cambiano, ma i vizi quelli non poi così tanto, solo aumentano le persone stressate e i nevrotici, come quelli "raccontati" nel film...Non sto a raccontarvi tutto il film, che parla di un gruppo di 7 persone, "esaurite" (ma io non sono meno di loro) e che riempiono le loro giornate di surrogati di vita, sono intrappolati in situazioni di soggezione a parenti vari o amanti o realtà virtuali, ma quando finalmente lasciano alle ortiche la prassi della terapia di gruppo "autogestita" alla quale continuano a sottoporsi (sedute impossibili, dato il sovrapporsi di voci), dopo la morte della loro psicoanalista ottantenne, e si riuniscono in un agriturismo, passando finalmente una giornata senza crisi isteriche in compagnia e capendo che non si può guarire dalla "malattia", allora sì che prendono coraggio e riescono a lasciarsi andare alla "vita".In particolare mi sono immedesimata nella studentessa universitaria che ad ogni crisi fagocita tutto il contenuto del frigorifero, che insegue il sogno di incontrare Morpheus, un "cavaliere" col quale scambia e-mail ma che sembra postipare i loro incontri.Fin qui, ok, ci sono, mi calza a pennello...Non si accorge che il ragazzo del suo gruppo di terapia, al quale confida i suoi problemi, è innamorato di lei...Ad un certo punto Morpheus le scrive che ha incontrato una splendida ragazza nella realtà e che non frequenterà più il canale virtuale...Fate uno più uno...non vi racconto il finale, tanto è prevedibile...ci arrivate da soli...Il punto è che anch'io dovrei smettere di aspettare Morpheus vari e idealizzati che circolano qua su, nell'altro mondo, smetterla di concentrarmi sulla mia nevrosi ed aver un minimo di spirito di iniziativa...Sorridere alla vita un pochino, porre fine ad ogni tele-dipndenza ed internet-dipendenza e uscire dal guscio...da sola...Quando passerò dal "dovrei" al "farò" sarò meno bozzolo e più farfalla...
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VERSI
Io sono solo
Il fiume è grande e canta
Chi c'è di là?
Pesto gramigne bruciacchiate.
Tutte le ore sono uguali
Per chi cammina
Senza perché
Presso l'acqua che canta.
Non una barca
Solca i flutti grigi
Che come giganti placati
Passano davanti ai miei occhi
Cantando.
Nessuno.
(Attilio Bertolucci)
A volte sulla sponda della vita
preso da un infinito scoramento
mi seggo; e dove vado mi domando,
perché cammino. E penso la mia morte
e mi vedo già steso nella bara
troppo stretta fantoccio inanimato...
Quant'albe nasceranno ancora al mondo
dopo di noi!
Di ciò che abbiam sofferto
di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore
non rimarrà il più piccolo ricordo.
Le generazioni passan come
onde di fiume...
Una mortale pesantezza il cuore
m'opprime.
Inerte vorrei esser fatto
come qualche antichissima rovina
e guardare succedersi le ore,
e gli uomini mutare i passi, i cieli
all'alba colorirsi, scolorirsi
a sera.
(Camillo Sbarbaro)
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
(Vincenzo Cardarelli)
MIE POESIE NEL BLOG
Ti ho cercato nelle onde del pensiero,
al tramonto nell'abbraccio
tra la nube grigio-perla e il rosso rubino.
ti ho cercato nelle grotte del bisogno
come verdura assetata
di liquido evanescente.
Come il Bernini
nell'aureola di Santa Teresa cattura
un riverbero di luce divina.
Tu, raggio di sole...
Io, candore di luna...
Malia
Difficile in un antro di dolore,
tra porzioni d’ansia e un tamburellare,
saggiare l’extratemporale,
coglierne di sbieco l’espressione
mentre aspira chino nervosamente.
Discutibile, mastica parole sincopate,
tra una boccata e un’altra,
tra un passo e un altro.
Si abbina allo sguardo maliardo
quell’occhio stampato sul braccio.
È un quasar, mistero insolubile
O un buco nero che attira
il mio fluido vitale,
confonde l’orientamento
D’intralcio l’orario rompe l’incanto,
di scatto poi col ticchettio
copre il mio battito.
Non che il mio turno non ci divida;
ma è la distanza tra noi la deriva.