Creato da casadecolmeia il 17/08/2010
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VOTO E TOPA

Post n°10 pubblicato il 25 Settembre 2010 da casadecolmeia
 

MAGGIO 1987 - ANCORA ELEZIONI ANTICIPATE...

IL VERNACOLIERE TITOLA:

VERNA

L'articolo inizia così:

Appena saputo dell'elezioni anticipate, la gente s'è messa subito a fa' festa. Chi s'affacciava alla finestra a urlà " O budiuli, la dovete finì di rompecci 'oglioni !, chi telefanava a' pezzigrossi de' partiti e ni diceva dovete andà tutti 'n galera.....

continuava con le spiegazioni:

"Attenzione, attenzione! si mette a fa' 'r telegiornale...propio ora ci portano un foglio a righe 'ndove quarmente c'è scritto 'he per venire 'ncontro alle tante rieste di chi s'è rotto 'oglioni, 'r governo ha lanciato 'r Grande Concorso "Topa gratisse a chi vota"!  De', 'r boccone di traverzo! Topa gratisse a chi vota?!'Nfamato 'ane! dove? Come? Quando? Chie?...'ntanto la televisione seguitava: "Italiani correte numerosi all'urne! Fra tutti l'elettori saranno sorteggiate favolose pipate, eccezzionali tastate di 'ulo e tant'artri regali fatti a mano!

.....'r problema era di vince' la disaffezione elettorale...'r grande 'oncorso lanciato dar governo consiste 'n un degreto legge per mette' 'n onni scheda elettorale un bono numerato per sorteggià fra l'elettori le pipate e tutto 'r resto.

e così concludeva:

Ar fine d'un iscontentà nessuno, 'r governo ha assiurato che chi 'un vincerà nulla lo piglierà lo stesso ner culo 'ome sempre, e a chi cià le palle piene ni saranno votate a spese der Comune !

sarà così in eterno in questo nostro paese?

 

 
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Uomini di mare

Post n°9 pubblicato il 22 Settembre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Cantiamo, siamo allegri. Oggi il lavoro finisce. Un bicchiere di vino bianco a poppa per festeggiare tutti insieme.
Quattordici mesi, quasi sempre insieme. Una decina di nazionalità diverse, nomi assurdi, avventurosi, qualcuno impossibile da pronunciare, ma un'unica lingua: il mare!

E il mare, in questo pomeriggio di fine primavera, sorride in un tramonto di luce calda che avvolge e dilata l'orizzonte.
Li guardo: uomini veri, uomini vivi, uomini sereni, uomini rari, uomini che hanno coraggio e testa sulle spalle, uomini affidabili. In mare basta un'ora per capire quello che uno vale!
E un desiderio innato di raccontarsi, di far sbocciare un'amicizia che nasce appena una rollata più intensa ti spinge spalla contro spalla, che si sviluppa quando il vento all'improvviso cresce di forza e dividi insieme la prima mareggiata, che si vivifica e diventa salda quando l'onda percuote e fa vibrare lo scafo. Poi l'onda passa, si allontana...pochi attimi di calma e poi di nuovo la percossa, lo scafo che vibra salta rolla beccheggia, un moto istintivo per aggrapparsi a un appiglio, a un sostegno per rimettersi in precario equilibrio. Alla cappa per qualche ora per allentare la tensione dei corpi, abbagliati dalla gran luce spumeggiante delle bianche creste delle onde che corrono si inseguono si cercano si penetrano si scavalcano si divorano nell'inebriante folle gioco del mare.
Cantiamo in coro -canzoni senza parole, parole senza senso, senza tempo, senza terra - e quel canto nel cuore che pompa nelle vene la consapevolezza e la gioia di sentire la propria pienezza di uomo, la propria appartenenza a un mondo unito e senza bandiere.
Giù in cucina il cuoco, unico assente del gruppo, sta preparando una cena sublime. Ha pescato tutto il giorno per farci gustare piatti superbi della sua arte: e si cena in allegria, vino a fiumi, e ancora canti, e aneddoti, e racconti di donne, e ancora risate tra amici veri uniti dal mare, mentre fuori cala la notte.
Poi tutti in cuccetta per l'ultima traversata...sei-sette ore: è il ritorno! Il pensiero altrove, alla casa, agli amori, ai figli, alle donne da stritolare in un abbraccio atteso da mesi. Poi il porto, l'aereo, il volo verso la propria terra. Sarà un sonno ben dormito, appagante e liberatorio.

Mi sento vivo, uomo, soddisfatto di me stesso. Ancora poche ore in questo tripudio di stelle seguendo la scia della luna. Non mi sdraio in cuccetta, resto qui a poppa, per gustarmi fino in fondo all'anima queste ultime ore, divorare l'aria fresca della notte per farne il pieno, impregnarmi di salsedine che penetri la pelle scura di sole e asciugata dal vento, riempire i polmoni dell'odore pulito e luminoso del mare.
E ormai so di essere uomo...si! sono un uomo vivo, un uomo di mare.

Mediterraneo Centrale, Settembre 1977

 
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Follia di mare

Post n°8 pubblicato il 14 Settembre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Stanotte sono drogato, ma la mia droga non si chiama eroina, la mia polvere non si chiama cocaina.                              
Stanotte mi ribello, stanotte mi rifiuto di dormire, stanotte non c'è misura, non c'è ordine, non c'è armonia: stanotte voglio esprimere la mia parte tenebrosa e dionisiaca, stanotte voglio riattizzare il fuoco che rode: per troppi anni avete saccheggiato il mio cuore, inaridito il mio spirito, imbavagliato il mio corpo. Stanotte sono fuori di me, stanotte sono ebbro, ubriaco di lucida follia.                
Stanotte ho esuberante bisogno di mare. Voglio il mare, il mio mare. Come particella d'acqua voglio lasciarmi da lui trascinare in un moto lagrangiano fino ad arrivare là, in quel punto anfidromico senza dimensioni, e là ancorare il mio corpo per gustare il fresco piacere del moto euleriano, osservare la terra dall'isola più bella del mondo, provare ancora il piacere di ulisse.                                   
                                                                          
Stanotte voglio rivivere ogni singola nave, ogni singolo porto, ogni singolo fatto che hanno accompagnato la mia vita.                         
Ogni nave...tanti nomi..impossibile ricordarli tutti..ma alcuni sono perennemente incisi dentro il mio cuore:  la prima barca della mia vita, bianca e blu, ballerina come poche, lì ho scoperto il mare, li ho trovato una boa gialla, lì trovato l'amore follesantopeccaminoso. Poi la superba nave coi suoi sottomarini, e giù lungo le dune dello stretto a toccare con mano la corrente che scorre impetuosa.                                 
La nave danese, la missione più lunga, l'incanto del blu profondo e l'esperienza di ondate superbe, la nave turca e la magia del Bosforo e del doppiostrato.   
E tante tante altre...non ricordo tutti i nomi, ma di ognuna ricordo il clima umano, le persone, la lingua, i volti mediterranei bruciati dal sole e le barbe bionde dei marinai del nordeuropa.                      
E i porti: poveri piccoli grandi solenni ognuno col proprio odore e col proprio vento.                     
                                                                          
Qui sono uno dei tanti tra la folla, là nell'isola sono IO, là sono me stesso, vero  bellissimo senza tempo come i semidei di Omero che popolano il Mediterraneo, là mi innamoro delle ninfe leggiadre che abitano la macchia che costeggia il mare, là incontro le muse creatrici figlie di Zeus che mi regalano il loro sorriso, là sento il canto ammaliante delle sirene che cantano note inesistenti percepibili a pochi.                                          
                                                                          
Io non voglio il vostro mare di cartolina, il vostro mare di merda. No. Quello ve lo lascio ai vostri rifiuti tossici, alla vostra spazzatura, ai vostri olii solari, alla vostra plastica, ai vostri liquami puzzolenti, ai vostri asciugamani fatti di petrolio distesi su sabbie fatte di cemento. No.       
                                                                                                
Il mio mare è silenzio che comunica con l'anima.                          
Il mio mare è meditazione che induce al raccoglimento.                    
Il mio mare è la zattera del primo uomo ardito che scopre la vela che cattura il vento.                                                     
Il mio mare è il pescatore in attesa di raccogliere molluschi sulla spiaggia che scopre stupefatto il legame eterno tra luna e mare.          
Il mio mare è colui che osserva il cielo e trova un perfetto sistema di riferimento per trovare la sua isola felice.                           
Il mio mare è l'uomo nudo che osserva la vena d'acqua più chiara che risale illogica la costa e scopre la rotazione della terra.         
                                                                          
Il mare, ma povero. Il mare, ma aspro. Il mare, ma nervoso.         
Il mare terribile che solleva e trascina i moli, che abbatte strutture,  che invade terre a lui dall'uomo rubate.                                     
Il mare come lotta tra il soffio animoso del vento e l'onda che frange nella burrasca effervescente di sogni.                                    
Come puoi, uomo, gustare la calma che dilata l'infinito e tranquillizza il cuore se prima non hai sofferto sull'onda che scrolla la nave?         
Il mio mare è sofferenza creatrice di spiriti indomiti e solitari.        
il mio mare è capacità di meravigliarsi ancora nonostante l'età.          
il mio mare è l'anima che mette le ali e vola sopra orizzonti nascosti.   
il mio mare è l'infinito che sembra svanire nella lontananza assoluta e invece c'è altro mare, e poi ancora mare, e poi oceano vasto immenso incommensurabile infinito.                                 
Il mio mare è geloso di sè, non nasce e non muore e vince il tempo.                                     
Il mio mare non teme l'uomo.                        
Il mio mare parla e predice il futuro, e il futuro è l'acqua che manca, il futuro è lui: il mare.                                                 
                                                                          
Questo mio mare lo sentivo da solo..poi arrivasti TU.
E io ebbro di mare canto per te questa notte senza saper cantare, ti cedo con lacrime di gioia i miei sogni usati, scardino con forza il portone arrugginito dell'anima mia perchè tu possa vederne la tua luce ancora intatta, scrivo per te questa notte per mandare in risonanza il mio cuore.      
E da sempre e ancora e ancora ti tengo stretta per mano... qualcosa di ineluttabile accadde, e ora tocca a te sola aiutare il mio cammino sempre più lento.   

La bottiglia di assenzio è ormai vuota, la fata verde ha prodotto gli effetti che desideravo. Spengo la luce.

 

 

 

 
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La valse de ma vie

Post n°5 pubblicato il 07 Settembre 2010 da casadecolmeia
 
Foto di casadecolmeia

Au premier temp de la valse
Un maglione rosso, la barba trasandata, un cappellino nero da portuale, l'immancabile sigaretta in bocca. Me l'aspettavo così...uscì invece con un perfetto abito grigio da borghese. L'Olympia era gremita. Attaccò subito "Le soleil qui se lèves et caresse le toits...c'est Paris..eccola la Parigi più vera, ecco soprattutto lui, Jacques Brel.
In fondo all'ultima galleria, al posto dei poveracci, un ragazzino venuto da lontano impazziva di gioia. Laggiù sul palco c'era il suo idolo, e cominciava  il concerto con "Les prenoms de Paris", bellissima canzone che il ragazzino sapeva a memoria...poi Les bourgeois e via via tutte le sue più note. Poi una pausa per riprendere fiato. Applausi interminabili, il viso del ragazzino in fiamme.                                                    
Tornò sul palcoscenico con una camicia grigia e un foulard al collo...è il tempo delle canzoni più note. Ecco, ormai celeberrima, La valse a mille temps...e alla fine la valse-valzer- diventò vache-vacca tra gli  applausi dell'immenso teatro pieno di fumo. Seguirono Les biches e altre canzoni, finchè qualche nota di piano introdusse disperatamente Ne me quitte pas. La cantò con tale emozione che il pubblico si dimenticò di applaudire...ci furono attimi  di assoluto silenzio..poi il fragore degli applausi e poi ancora una magica fisarmonica accompagnò La chanson des vieux  amants, altra straordinaria poesia di struggente malinconica bellezza. 
Terminò con una canzone che ancora non conoscevo: tre semplici accordi di chitarra  e la sua voce roca e poetica che attacca  "Quand on n'a que l'amour"...quando non si possiede altro che l'amore, e fu amore duraturo per quella canzone che ancora oggi mi emoziona come allora.
Finì tardi, tardissimo...il ragazzino aveva il biglietto del treno Parigi-Digione-Bellegarde-La Clusaz terza classe in tasca. L'aveva preteso la cugina complice, sapendo bene che quel matto di cuginetto italiano che adorava sarebbe  stato capace di spendere i soldi del ritorno per andarsi a vedere qualcos'altro di Parigi. Vari chilometri a piedi per arrivare in stazione, salire sul primo treno per Digione e molte ore di sonno assicurato sui sedili di legno della terza classe. Poi il Digione-Bellegarde e il trenino, lentissimo, che saliva tra i colli:  Bellegarde-La Clusaz e poi una vecchia corriera. Quasi 12 ore di viaggio in totale.                                                      
Era la prima "fuga" a Parigi di un ragazzino per andare ad ascoltare un poeta chansonnier. Conoscevo già Parigi, c'ero già stato almeno quattro volte, viaggi che i miei straordinari genitori, che saranno sicuramente in paradiso solo per avermi sopportato, mi avevano permesso nonostante l'età poco più che infantile. Ma di questa "prima fuga" nessuno lo sa, salvo la cuginetta complice che aveva anche contribuito economicamente all'acquisto del biglietto.  
    brel2

Au deuxième temp de la valse
Ma Parigi era anche Hemingway, Festa Mobile. Quel libro mi aprì la mente su vari significati del vivere, mi fece vedere le strade e i vicoli e i bistrots e i caffè e le brasseries con altri occhi...imparai a frequentare i bouquinistes per il puro piacere di accarezzare libri antichi che le mie tasche sempre vuote non potevano che sognare, imparai a sedermi ai tavolini di piccoli   caffè davanti alle Tuileries bevendo una "grenadine" fresca e rossa, e scrivendo le mie sensazioni su pezzi di carta scimmiottando Hem, e osservare la carezza del sole sui tetti che scivola via lentamente nella festa del tramonto.  Hem aveva avuto la sua Parigi ed io volevo la mia. E ora capisco che tutto ciò era cultura. Mi immedesimavo nella vita parisienne, ma quella povera degli operai col basco e la salopette blu e la camicia a quadri. Poi, più grande cominciai a bere vino e a fumare Gauloise perchè allora ritenevo che a Parigi si "devono" fumare le micidiali Gauloise! Di giorno frequentavo assiduamente musei e librerie, la sera i bistrot del quartiere latino. Con tre franchi ci passavi la serata e c'era sempre musica dal vivo, era facile conoscere gente, parlare ed ascoltare una lingua che era ormai mia. E  anche questo era cultura. Imparavo a star solo con me stesso, a  lasciar scorrere il presente lontano dalle gabbie che l'Italia di allora imponeva...no, a Parigi non c'erano gabbie! Respiravo cultura e non solo. Incameravo senza accorgermene la capacità di "vivere il mondo", di sbrigarmi in tutte le situazioni, di usare il buon senso e l'attenzione sempre vigile dove serviva, di lasciarmi andare ad emozioni via via  crescenti.                                                              
Osservare i passanti con la flute sottobraccio, sbirciare ragazzine di città, le per me "famose" parisiennes, col cuore in tumulto, senza mai aver visto il sesso di una donna, leggere le Figaro sul tavolino del caffè, leggere i classici francesi in lingua originale prestati dalla biblioteca, parlare...o meglio cercare di parlare la loro lingua senza accenti italiani, andare nei loro cinema e scoprire, con immensa gioia, la Brigitte Bardot dei miei sogni che, con la sua vocina di un sexy conturbante, eccitava i miei sensi ancora assopiti. E anche questo, credo, era cultura.
La mia prima volta non poteva che essere a Parigi. La conobbi su un campo di tennis di periferia, era bionda, bella, lunghe gambe sode che il gonnellino bianco evidenziava. Le chiesi, beneducato, se mi faceva il favore di scambiare quattro palle con me. Ci scambiammo ben altro nello spogliatoio deserto e, nonostante tutto sia stato  troppo rapido, capii quanto importante e irrinunciabile era per me la donna.
Mi fissò un rendez-vous per il giorno dopo...non venne, uscì dalla mia vita rapidamente, come rapidamente ci era entrata.

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Au troisième temp de la valse   
Passarono gli anni, ma Parigi era sempre la mia città. Appena potevo ci tornavo, magari per un breve fine settimana. E fu in uno di questi brevi soggiorni - era il 1973, lo ricordo bene - che trovai da un bouquiniste sul Lungosenna un LP usato: il titolo era "Jacques Brel en Public, Theatre de l'Olympia, Octobre 1961". Lo comprai immediatamente: era la registrazione originale, live, del concerto, applausi compresi.

E fu emozionante rendersi conto che tra quegli applausi c'era anche il mio. Lo conservo come una reliquia, lì, nel posto d'onore tra i mie innumerevoli dischi di vinile. Ormai strausato, pieno di graffi e di polvere del tempo, che mi ostino periodicamente a ripulire con delicatezza, è parte integrante della mia vita, perchè ci si affeziona alle persone, agli animali, alla casa, ma ci si affeziona anche alle cose, simboli del vivere quotidiano.
 

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Une valse à mille temps
Ed eccomi di nuovo a Parigi. Oggi è facile arrivarci, poco più di un'ora di volo, il métro, due passi con la sacca sulla spalla. Ecco la piccola pensione, identica...no, una novità c'è: nuovi proprietari, gente asettica e con la puzza sotto il naso; arredamento modernissimo un po' cafoneggiante. Manca il calore, la simpatia della vecchia proprietaria, mancheranno le strepitose colazioni mattutine che Madame mi posava sul letto, spesso intrattenendomi con i pettegolezzi parisiennes mentre il profumo dei croissants saturava la camera.
In un clima non certo settembrino percorro le piccole vie a me care che salgono verso Montmartre, ricche di sapori e di vita, per gustarmi il panorama. Scendo poi verso i lunghi boulevards e, quasi inconsciamente, i miei passi mi portano nel Bd des Capucine...eccolo lì l'Olympia, ormai restaurato e assurto a monumento nazionale. Ho però l'impressione che l'ingresso sia stato spostato rispetto a quella sera...boh, forse mi sbaglio...del resto son passati... 49 anni!
Per un attimo, un millesimo di secondo, perdo l'equilibrio. Ma mi rendo subito conto che non ho nulla da rimpiangere, che sono un uomo fortunato a cui la vita ha dato più di quello che ha tolto, ho amato e sono stato amato con intensità e passione. Parigi è stata un nido che a poco a poco mi ha fatto crescere, poi mi ha aperto il mondo, infine mi ha spalancato il mare.

Cammino fino a tardi, ormai è buio e il freddo tiene i parigini in casa. La città si riempie di luci e di traffico, ma, salvo qualche turista, non si incontrano pedoni. Stasera voglio musica, voglio colori, voglio sapori, voglio gente. Un piccolo locale da cui esce musica, un vociare di gente allegra e rumorosa. Entro: è un locale ungherese pieno di vecchie acqueforti e di atmosfera. Molta gente di ogni razza, una gran confusione, una babele di lingue. Una cameriera dal seno abbondante e che mostra con generosità mi porta un superbo piatto di pollo alla parika contornato da peperoni vedri gialli e rossi, che gusto con voluttà mentre due musicisti non certo giovani, accordeon e violino, si danno molto da fare per rallegrare la serata.
E mi dico che anche questa è Parigi, cosmopolita e multietnica, accogliente e razzista, superba e bonaria, elegante e stracciona, culturale e scostante. Ma se la conosci te ne innamori... e ti accorgi che ognuno, se vuole, può trovare a Parigi ciò che cerca.

Perchè aveva ragione Hem: si finisce sempre col tornarci a Parigi. E ognuno di noi, credo, possiede una "sua parigi" in cui rifugiarsi e dove, soprattutto, ritrovare se stesso.
 
Parigi, Settembre 2010

 
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Al di là del conosciuto

Post n°4 pubblicato il 26 Agosto 2010 da casadecolmeia
 

Una foglia verde è impossibile

secondo tutte le leggi della fisica....

ma ciò non le impedisce di esistere


Cito, a memoria, questa frase di Jacques Bergier che trovo assolutamente straordinaria...rappresenta, da anni e anni, la mia filosofia di vita. Basta rifletterci un po' sopra...e ti si spalanca l'universo

 
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