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GOOD DOG BAD DOG

Post n°23 pubblicato il 12 Maggio 2005 da catcherintherye001
Foto di catcherintherye001

GOOD DOG BAD DOG

 

Il ring, se cosi’ vogliamo chiamarlo, era un quadrato ricavato all’interno di quel capannone dismesso su nella 105 W, nel bel mezzo del distretto industriale. La gente si ritrovava li’ il venerdi’ sera, si sedeva sulle panche di legno e ferro ed assisteva ai combattimenti, scommetteva, beveva, insomma se la spassava.

Lui era entrato nel giro dei combattimenti clandestini da quando aveva lasciato la boxe professionistica un paio d’anni prima, sui trentotto, dopo una carriera di oltre quindici anni ed un quasi titolo nazionale, se non fosse stato per quell’uppercut che lo aveva steso proprio alla dodicesima, quando ormai sembrava finita e il match era nelle sue mani se fossero andati ai punti. Quante volte se lo era sognato quell’incontro ad Atlantic City e quell’uppercut che non aveva visto arrivare.

Era conosciuto come Bad Dog, che era il tatuaggio sul suo braccio destro, anche se su quello sinistro c’era tatuato Good Dog, ma buono o cattivo che fosse il suo destino era sempre stato quello: su di un ring, non avrebbe saputo fare altro.

Ad ogni modo in quei due anni era riuscito a boxare bene, era ancora forte abbastanza da buttare giù gente più giovane di lui anche di molti anni e per tutti quelli che stendeva veniva pagato subito ed in contanti, “some good cold cash” come diceva lui. E con quei soldi viveva, ci manteneva la sua Mustang GT Coupe del ’67, si concedeva qualche lusso ogni tanto, come quando con Mary J. erano andati al Bellagio di Las Vegas e si erano bruciati dei bei bigliettoni al Casino.

Ma quella era Las Vegas non Atlantic City. Lui a Las Vegas aveva disputato tre incontri e li aveva vinti tutti quanti, l’ultimo era stato nel ’92 quando la sua stella brillava ancora, dopo si era dovuto accontentare di piazze minori, di posti più piccoli: Lafayette, Albuquerque, cose del genere e di borse sempre più esigue.

C’è chi dice che gli incontri di boxe sono tutti truccati, ma come fai a vivere se non entri nel giro giusto. E lui si era dovuto adeguare ed aveva accettato, qualche volta, di finire al tappeto, ma poi  si era riempito le tasche con i loro soldi e non si era mai guardato indietro.

Quella sera era arrivato presto su al capannone e si era fermato a parlare con Sam Shepherd, uno degli organizzatori; c’era già un bel po’di gente e qualcuno lo aveva riconosciuto e lo aveva salutato, pacche sulle spalle e tutto il resto, come ai bei tempi, quindi era andato negli spogliatoi per prepararsi. Sam gli aveva detto che il suo avversario era un duro, più o meno della sua età, ma non gli aveva detto il nome. Di là già stavano combattendo, sentiva le urla di incitamento e la musica tra un round e l’altro, aprì la borsa e si vesti'.

Bussarono alla porta toccava a lui. Si sistemò i pantaloncini ed entrò nella sala. Sul ring c’era il suo avversario ad aspettarlo, lui salì ed iniziò a studiarlo, i tagli, le cicatrici e tutto il dolore che il tempo non può cancellare, si piegò velocemente sulla sinistra e lo colpì al volto.
 
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