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REGGIE

Post n°33 pubblicato il 03 Agosto 2005 da catcherintherye001
Foto di catcherintherye001

REGGIE

 

Dicono che al giorno d’oggi la buona creanza sia sparita e che non esiste più quel senso di appartenenza, quel senso di comunità che ti faceva scambiare quattro chiacchere in metropolitana con il tuo vicino quando il tragitto da coprire era abbastanza lungo da permettertelo.

Beh a me è successo proprio il contrario giusto l’altro giorno, mentre stavo andando da una parte di Brooklin all’altra, con una piccola deviazione a Manhattan. Ero seduto al mio posto in metropolitana quando ho iniziato a parlare del più e del meno con questo tizio di nome Reggie. Abbiamo cominciato a conversare di treni ed orari, per poi andare più sul personale, ovvero da dove veniamo, e lui era molto sorpreso del fatto che conoscessi la sua citta’ giù in North Carolina, dove avevo peraltro vissuto per qualche tempo e a  dimostrazione del fatto che lui fosse di quelle parti mi ha pure fatto vedere la sua patente di guida. A mia volta invece sono rimasto stupito che conoscesse cosi’ bene Raleigh dove sono nato. E insomma quando abbiamo appurato che, in fondo, c’era un qualcosa in comune, se cosi’ vogliamo dire e che le nostre strade si erano in un certo qual modo intrecciate, la conversazione si è fatta più interessante.

Reggie era piccolo di statura e di corporatura esile, con una faccia ossuta e spigolosa, potevo vedergli la forma del cranio sotto la sua pelle bianca e gli occhi erano grandi, scuri, vividi e gentili. Nel bel mezzo del frastuono del treno che sferragliava tra una stazione e l’altra, Reggie mi ha raccontato di questo terribile incidente d’auto che aveva avuto nel ’95.

A seguito dell’incidente perse la memoria per otto mesi. Ancora si ricordava di come in ospedale ogni mattina gli chiedevano “Come ti chiami ? Che giorno è oggi ? Come si chiama il Presidente ?” e che lui rispondeva “Voi tutti lo sapete, io non lo so, non mi ricordo”. In quel periodo all’ospedale aveva perso anche la memoria di breve termine, tanto è vero che non riusciva nemmero a ricordare quanto gli fosse successo il giorno prima o addirittura cosa aveva mangiato a colazione la mattina. Gli chiesi se perdere la memoria fosse stata una esperienza triste o spaventosa ma Reggie mi rispose di no, anche se i suoi amici e soprattutto la sua famiglia ne erano stati profondamente turbati. Sua madre tento’ per un po’ di fargli ritornare la memoria mostrandogli album su album fotografici della famiglia e anche portandolo nei posti dove era cresciuto ma per lui era tutto, come dire, non familiare e nessun ricordo sembrava affiorare. Alla fine visto che i membri della sua famiglia erano come perfetti sconosciuti per lui e che questo non lo faceva affatto sentire a suo agio, Reggie decise di tornare a New York a vivere nel suo appartamento, da solo.

La sua memoria alla fine torno’ una sera, mentre si stava preparando la cena e torno’ tutta in una volta sola, fu come se un masso di seicento libbre lo avesse colpito lasciandolo a terra con la testa che scoppiava. Per due giorni rimase chiuso in casa con una emicrania lancinante e con una serie di ”nuovi” ricordi a cui doversi abituare.

I dettagli dell’incidente invece riaffiorarono in maniera differente, poco alla volta, in sogno. Era sulla New Jersey Turnpike quando un’auto lo urto’ facendolo a sua volta andare a sbattere contro una terza macchina.

Quando la mia fermata stava per arrivare, per un istante ho considerato l’ipotesi di rimanere sul treno per sentire finire il suo racconto ma invece iniziai a fare dei cenni a Reggie che dovevo scendere alla fermata successiva senza interromperlo.

Abbiamo passato gli ultimi trenta secondi in formalità quali scambiarci i nomi, stringerci la mano e dirci qualcosa del tipo quanto sarebbe stato interessante incontrarci nuovamente.

Lo stavamo pensando sinceramente tutti e due, ma non succederà, di sicuro.
 
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