C'era una volta...
le fiabe sono solo dei ricordi d'infanzia o non sono piuttosto un codice da interpretare? Andiamo alla ricerca dei valori, dei miti, della storia profonda dell'umanità e dell'io che trasmettono.
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Alla base stessa della narrazione c'è un implicito patto fra il narratore e l'ascoltatore, quello della "sospensione dell'incredulità", come la definì il poeta inglese Samuel Coleridge:
"... venne accettato, che i miei cimenti dovevano indirizzarsi a persone e personaggi supernaturali, o almeno romantici, ed anche a trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una parvenza di verità sufficiente a procurare per queste ombre dell'immaginazione quella volontaria sospensione dell'incredulità momentanea, che costituisce la fede poetica".
Il lettore, l'ascoltatore, perciò, deve sapere che quella che gli viene raccontata è una storia immaginaria, ma non una menzogna.
Il narratore si comporta come se quello che dice sia vero e il lettore accetta il patto di finzione e si comporta come se quello che gli viene raccontato sia vero.
Siamo cioè disposti a credere che i lupi parlino, che i rospi si tramutino in principi, che le galline facciano uova d'oro, che un sonno duri 100 anni, che una zucca divenga una carrozza.
Ma, sempre secondo Coleridge:
"In ogni imitazione devono coesistere due elementi, e non solo coesistere, ma anche essere percepiti come coesistenti. Questi due elementi costitutivi sono somiglianza e dissomiglianza, o identità e differenza, e in tutte le autentiche creazioni artistiche deve esserci l’unione di questi elementi diversi".
Cioè, il fruitore non deve percepire soltanto la somiglianza tra narrazione e realtà, ma anche il suo opposto, deve cioè rimanere parzialmente cosciente della finzione.
Il lettore sceglie quindi volontariamente di essere ingannato dalla narrazione.
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Il dossier di questo numero è dedicato a "Fiabe di ieri e di oggi".
C'è anche un articolo di Regina Crimilde sulla figura della madre: UNA MADRE DA FAVOLA
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