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NO all'ampliamento della base a Vicenza!
Il premier da Bucarest fa sapere che non si opporrà: non è un «problema politico», tutt’al più di «natura urbanistica e territoriale».
Franco Giordano rilancia il referendum: «Si devono pronunciare i cittadini». Ieri sera fiaccolata e presidio davanti all’aeroporto Dal Molin
Non si opporrà a che venga ampliata la base Usa di Vicenza, fa sapere Prodi. E lo manda a dire da Bucarest. Curiosa ironia della geopolitica che una decisione così grave per l’ex Mitico Nordest italiano venga annunciata proprio dal luogo in cui quel Nordest ha delocalizzato il suo modello di fabbrica diffusa dopo aver desertificato il proprio territorio. Esulta la destra ma soprattutto la locale confindustria che ha barattato con l’ambasciatore Usa i cantieri del Dal Molin in cambio dell’abolizione del dazio per l’import-export di oro da Vicenza. Affari grossi ma anche politica, e tanta, dietro quello che suona come un via libera di Palazzo Chigi al progetto tanto avversato dai residenti - secondo un autorevole recente sondaggio almeno il 70% di no - e dal popolo della pace che ora si appresta a fare quello che in Valsusa hanno fatto le genti No Tav. Mentre “Liberazione” va in stampa una fiaccolata, da Porta Castello, ha raggiunto i cancelli del settore civile dell’aeroporto Dal Molin dove funzionerà un presidio come quello montato a Venaus.
Bucarest, così vicina a Vicenza, sembra lontana anni luce da Caserta dove la maggioranza sembrava aver trovato un modus vivendi. E strana giornata quella di ieri: iniziata proprio con Prodi che in mattinata dava per imminente una risposta all’ultimatum dell’ambasciatore Usa a Roma che era volato di recente a Vicenza. Però il presidente del Consiglio aveva premesso che non gli pareva il caso di darla dalla Romania. Nel tardo pomeriggio il colpo di scena: «Sto per comunicare all’ambasciatore Usa che il mio governo non si opporrà alla decisione presa dal governo precedente e dal comune di Vicenza». E l’impegno di Palazzo Chigi di tener conto del parere della comunità locale sembra assolto, nelle parole di Prodi, sulla delibera di Giunta che spianava la strada alla nuova base dello Zio Sam. Parlare di ampliamento di quella esistente, quasi interamente sotto il comando Nato, è fuorviante. Quello che sta per varare la finanziaria di Washington è un progetto da 300 milioni di dollari in favore di quella che è la seconda industria cittadina. Prodi spiega di «non avere ragioni per opporsi» perché non sarebbe affare del governo. Non ci sarebbe un «problema politico» ma tutt’al più di «natura urbanistica e territoriale». Se voleva essere l’accantonamento di un problema appare fin dai primi lanci d’agenzia come la madre di tutti i problemi. Per gli osservatori è uno spiazzamento della sinistra radicale, per i comitati popolari è un tradimento del programma elettorale laddove prometteva la ridiscussione di basi e servitù militari nel Paese.
Durissima la prima reazione di Rifondazione e verdi, di Pdci, sinistra ds e Fiom. «Siamo contrari, noi siamo con il popolo della pace e vogliamo che sulla questione si pronuncino i cittadini», ripete Franco Giordano, segretario del Prc riprendendo la parola d’ordine del referendum sostenuta nelle ore precedenti anche da Piero Fassino. E chi aveva chiesto lumi al presidente della Camera, Fausto Bertinotti, s’era sentito dire che era una domanda nemmeno da porre a un pacifista.
Olol Jackson, figlio di un militare Usa ma dirigente regionale dei Verdi è tra i primi vicentini ad arrivare in Piazza Castello da dove partirà la fiaccolata che porterà diecimila persone (ultimo aggiornamento alle 21) alla tensostruttura di fronte al Dal Molin. Appena saputo della sortita di Prodi, Jackson s’è autosospeso dal Sole che ride: «Non tollero che il mio partito appoggi un governo che decide di costruire una nuova base sulla testa dei cittadini». Intorno a lui un sacco di persone uscite di casa col certificato elettorale. Domattina sciopereranno gli studenti di tutta la città.
Il caso ha voluto che le parole del presidente Prodi si siano sovrapposte con perfetta sincronia a quelle del comitato centrale della Fiom che, all’unanimità, s’è schierato con la gente di Vicenza contro un progetto di supporto alla guerra permanente e contro il ricatto occupazionale degli Usa. Niente giri di parole nemmeno per Giorgio Cremaschi: «E’ una rottura di fondo con i movimenti. Prodi cede di fronte alle pressioni poteri forti, crolla ogni qual volta parta il “Corriere della Sera”. Un film che rivedremo spesso: dalle pensioni alla Tav». «L’Italia è una colonia dove gli Usa fanno e disfano!», sbotta Tiziana Valpiana, deputata veronese del Prc che stamattina alle 11 incontrerà il sottosegretario Letta assieme ai suoi colleghi veneti: «Non si tratta così un territorio e la sua popolazione». «Se la decisione non spetta al governo centrale non c’è altra strada che un referendum popolare che dia voce alla popolazione», insiste il capogruppo al Senato del Prc, Giovanni Russo Spena, in buona compagnia dei suoi colleghi verdi, Cento e Bonelli, di Cesare Salvi, del ministro Ferrero: «Il ricorso alla democrazia è la strada maestra». Al radicale Capezzone, pasdaran di ogni referendum, stavolta sembra surreale che si pronuncino i cittadini e, surrealmente, per la prima volta in vita sua (assieme ai surrealisti della gioventù di Forza Italia) si schiera, dice lui, dalla parte dei 700 lavoratori, unici supporter della base, oggi a Roma.
A Vicenza, intanto, sotto Palazzo Trissino, sede del consiglio comunale, il cacerolazo si trasforma in rogo delle tessere elettorali. «La fiaccolata che doveva chiedere coraggio al governo s’è trasformata in una fiaccolata di sdegno», spiega a “Liberazione”, Cinzia Bottene, dell’assemblea permanente contro il Dal Molin. Antiamericanismo? «No - risponde - è solo buon senso. La mobilitazione continua. La porteremo in tutta Italia». A Roma, i gruppi parlamentari del Prc si riuniscono per fare il punto. «E’ uno schiaffo, quello di Prodi, al movimento pacifista e a buona parte della sua maggioranza - considerano Franco Turigliatto e Salvatore Cannavò, parlamentari della Sinistra critica del Prc - una decisione che svincola i parlamentari pacifisti sui temi della politica estera a partire dall’Afghanistan». «Così si concede parte del territorio italiano ai nordamericani che lo utilizzeranno per proseguire la guerra permanente», avverte Claudio Grassi, senatore Prc e portavoce di Essere comunisti.
Washington gongola, Berlusconi pure, Casini si gasa incontrando Rudolph Giuliani, Spogli, l’ambasciatore, ringrazia, dice che la nuova base migliorerà la vita. «Ma se da lì potrebbe partire un attacco all’Iran che potrebbe rispondere con una rappresaglia su Vicenza!», ribatte la senatrice Prc Lidia Menapace. Galan passa e chiude: «Tutto è bene quel che finisce bene». Ne è sicuro governatore?
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