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Elezioni regionali 2015. Dilemma di un elettore campano di area progressista.

Post n°77 pubblicato il 15 Maggio 2015 da mcalise
 

Sono divenuto, mio malgrado, un “senzatetto” della politica; da sempre mi sono riconosciuto nella sinistra riformista, oggi progressista, ho naturalmente aderito al partito che oggi rappresenta quest’area politica in modo esclusivo. Parlo ,ovviamente, del Partito Democratico.

In verità l’avvento di Matteo Renzi, prima alla Segreteria poi al Governo, qualche problema me lo ha posto. Tuttavia c’è stata, da parte mia, un’apertura di credito, poiché ritenevo necessaria, in poche parole, una ventata nuova, un’accelerazione dell’azione di governo.

Poi ho visto l’affermarsi di una direzione molto personalistica, una politica degli annunci seguita dalla necessità di “fare per fare” come se si dovesse riempire un carniere di riforme badando meno alla qualità di ciascuna. Pare che l’obiettivo sia il partito della nazione, una formazione pigliatutto, che è cosa diversa dal rivendicare, giustamente, un ruolo nazionale.

Mi sembra che la tanto esaltata “rottamazione”, concetto che non ho mai apprezzato, abbia prodotto due soli risultati: emarginare la sinistra interna del partito e accelerare le spinte centrifughe nello stesso.

All’interno il confronto tra maggioranza e minoranza è scaduto a duello fra ottimisti/gufi o acceleratori/frenatori. Credo che certi atteggiamenti, da ambo le parti, abbiano inutilmente inasprito un confronto che poteva e doveva essere più produttivo.

Inoltre Renzi, o perché fortemente concentrato nel perseguimento degli obiettivi di governo o perché ha ritenuto accettabili queste spinte centrifughe, purché garantissero significativi pacchetto di voti, ha trascurato l’organizzazione politica del partito.

Alla periferia, specialmente al Sud, comandano i notabili locali che tali sono in quanto riescono a mobilitare pacchetti di voti. Quindi i Circoli non più luoghi di aggregazione e discussione, centri di informazione ed educazione, terminali per intercettare umori ed esigenze dei cittadini, ma comitati elettorali al servizio, appunto, dei notabili locali. La situazione è ben illustrata dal Prof. Pieri Ignazi nel suo articolo “Nel PD la vera scissione è fra centro e periferia” (L’Espresso 30-4-2015).

La situazione in Campania è nota. La qualità della dirigenza del PD campano è testimoniata anche dalla gestione delle primarie che, solo alla fine di una avvilente farsa, hanno visto la vittoria di De Luca. Famoso per la prontezza con cui salta sul carro del vincitore (l’ultimo repentino cambio lo ha visto passare dai bersaniani ai renziani), per una interpretazione molto personale e utilitaristica del concetto di legalità e per essere alfiere di una gestione del potere personalistica e muscolare, non a caso è soprannominato “o’sceriffo”.  Non piace a molti. Procede, come tanti, a suon di slogans come “Mai più ultimi”. Ma perché siamo ultimi? Lui, intanto, ha governato (e di fatto governa ancora) da decenni Salerno che è capoluogo di una provincia che, nella classifica 2014 del “Il Sole 24 ore” risulta al 93mo posto su 107. Non ultimi quindi ma certamente in una posizione non lusinghiera di cui De Luca non sembra avvertire alcuna responsabilità.

Il formarsi di una strana coppia De Luca/De Mita a molti è risulta indigesta. Ancora di più sembra intollerabile che nelle liste De Luca abbia accettato tanti impresentabili; Renzi è stato costretto ad ammettere “Su alcune liste collegate si può discutere, alcuni candidati, personalmente, non li voterei neanche se costretto”. Ma lo smarcarsi da certe scelte non cancella la responsabilità politica del Segretario PD. All’interno del partito sono numerose le reazioni indignate e preoccupate da certe presenze; come, ad esempio, quella della senatrice del Pd Rosaria Capacchione. Posizione illuminante giacché, come giornalista del Mattino, ha raccontato l’ascesa dei Casalesi e la loro penetrazione nel potere e nell’economia italiana; ora vive sotto scorta.

A questo punto io povero elettore, ex-simpatizzante, ex-iscritto abbandonato a se stesso, cosa devo fare? Chi devo votare? Per costume consolidato sento il dovere di non disertare le urne e, soprattutto, di non rifugiarmi nella sterile apartiticità o peggio, nell’antipolitica. Non escludo apriori l’ipotesi di votare per un partito diverso ma non vedo alternative soddisfacenti; cambiare per cambiare, solo per protesta non mi garba. Sono uno sfrattato, un “senzatetto” della politica e mi occorre una pausa di riflessione; non sarà facile riaccasarmi. Per ora non mi resta che rifugiarmi nella scheda bianca o meglio nell’annullo della scheda. Come? La fantasia, la frustrazione suggerirebbe un ampia scelta di frasi pittoresche. Preferisco accantonarle a favore di un “Io ci sono!”. Una testimonianza e, insieme, un’espressione di flebile speranza che la qualità della nostra fragile democrazia, fra l’indifferenza dei più, non peggiori ulteriormente.

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