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Discussione sulla democrazia, cittadinanza e partecipazione

 

 

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No, cara Europa no, così non va!

Post n°93 pubblicato il 22 Febbraio 2016 da mcalise
 

Forse gli ultimi avvenimenti dovrebbero ulteriormente sollecitare una riflessione su una Europa a più velocità.

Un accordo sembra aver chiuso la vicenda Brexit. La cautela è necessaria, infatti esso diverrà effettivo solo se i britannici confermeranno la permanenza nella Unione Europea nel referendum previsto per il 23 giugno.

È prevalente la convinzione che l’uscita del Regno Unito sarebbe un danno per tutti. Per la UE la perdita di un partner, peraltro economicamente e politicamente rilevante, sarebbe un grave precedente. D’altra parte l’economia britannica vedrebbe penalizzate le sue esportazioni e vivrebbe un lungo periodo di incertezza, sgradita ai mercati finanziari, dovendo sostituire gli accordi europei con tanti singoli trattati bilaterali.

La soluzione concordata si può così riassumere: il Regno Unito si svincola dalla partecipazione a un’Unione “sempre più stretta”, dalla moneta unica e dal dovere di estendere i benefici del welfare ai migranti per i prossimi sette anni.

Questa vicenda, comunque si concluda, sferra un colpo al processo di unificazione europea che ha già avuto numerose battute di arresto ma che, finora, nessuno aveva apertamente accantonato. Lo ha fatto il Regno Unito ottenendo di poter avere un rapporto personalizzato che rinnega principi fondamentali come l’obiettivo di una integrazione sempre più stretta e l’idea stessa di cittadinanza europea. Ma se l’uscita del Regno Unito dalla UE sarebbe un precedente grave lo è altrettanto l’idea di un Europa “à la carte” dove qualsiasi membro, specialmente se influente, possa mettere in discussione i trattati ed i principi su cui si fondano.

L’ideale di un’Europa unita si è piuttosto appannato e tuttavia rappresenta, oggi più che mai, un traguardo necessario.

I padri fondatori Schuman, Adenauer, De Gasperi, quando le tremende ferite della seconda guerra mondiale erano ancora visibili, l’hanno voluta come area di pace e di benessere. Oggi lo scenario è cambiato e a quelle motivazioni se ne aggiungono nuove. Quando l’Europa unita ha fatto i primi passi, negli anni ’50, gli abitanti della terra erano 2,5 miliardi, oggi sono triplicati; paesi, un tempo emergenti, sono divenuti potenze mondiali, peraltro, molto competitive a livello economico. Non più di 3-4 paesi, da soli, possono operare in questo scenario, in un pianeta divenuto stretto sia per l’incremento demografico sia per la tecnologia che ha reso le comunicazioni istantanee. Per i paesi della vecchia Europa l’unione è una necessità e, per essere efficace, deve essere non solo economica ma anche politica.

Ma quest’idea non è sufficientemente sentita e bisogna interrogarsi sul perché. Forse è stato consentito l’ingresso di alcuni Paesi senza che avessero condiviso, fino in fondo, i principi dell’Unione. Come se l’allargamento fosse stato, di per se, un obiettivo. È ovvio vedere le opportunità economiche che l’Unione offre, ma esse non possono rappresentare l’unica motivazione. Penso, ad esempio, all’Ungheria che, unilateralmente, ha innalzato barriere per bloccare il flusso d’immigranti che, peraltro ,certo non aspiravano a stabilirsi in quel paese.

Forse occorre ripensare al processo di unificazione. Potrebbe essere utile un Europa a più velocità, che non escluda nessuno ma che abbia un nucleo (sei paesi?) che proceda nel percorso di maggiore integrazione, chi vuole potrà aderirvi anche momenti successivi. Insomma quella che è stata anche definita l’Europa dei due cerchi concentrici.

Forse è l’unica strada, realisticamente, percorribile per scongiurare un lento e progressivo logoramento dell’Unione e dei valori sui quali è nata.

Non sarà semplice, speriamo che ci siano leaders capaci di superare l’odierno impasse. Purtroppo, all’orizzonte, non si intravedono novelli Schuman, Adenauer, De Gasperi.

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