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« COSA RISPONDE IL SINDACA...LA PENSIONE A DEL TURCO ... »

ALLA RICERCA DEL RIFORMISMO DI LETTA

Post n°114 pubblicato il 27 Marzo 2021 da claudionegro50
 


Il trionfo di Enrico Letta nel PD comincia a degradarsi in una processione tra i vicoli? Molti di quelli (quorum ego) che hanno condiviso la sua nomina come evento di svolta radicale, perfino palingenetico, nella vita del PD, trasaliscono quando sentono che, dopo l'incontro con Giuseppi (che pensavamo dovuto per ragioni di ovvia diplomazia e tattica), l'Enrico lo ha battezzato "l'incontro tra due ex che si sono buttati in una nuova affascinante avventura".

Rispetto al Letta primigenio, che si faceva garante dell'adesione del PD alla mission del governo Draghi, via via si manifesta qualcosa di più (o di diverso?). Naturalmente Letta ha il problema di governare un partito ridotto a pezzetti, privo di autoconsapevolezza e confuso sulla propria identità. E'ovvio che offra una sponda a tutti i pezzetti del Partito, indicando la prospettiva di una riunificazione attorno ad una prospettiva politica condivisa.

Fin qua l'ovvio. Ma Letta ha anche il problema di definire i confini politici e ideologici del PD. Ebbene, forse Enrico ha in mente, legittimamente, qualcosa di diverso da quello che i suoi primi sostenitori (quorum ego) pensavano quando festeggiavano il ritorno del PD da un'esperienza di Fronte Popolare dei Poveri alla casa del riformismo europeo e liberale.

Letta sta evidentemente preparando un Partito che non si libera della sua sinistra, ma che unifica tutte le sue tendenze per farne "la sinistra" dello schieramento politico; tutto sommato è nella tradizione storica delle socialdemocrazie europee, dove però la sinistra era a rimorchio dei riformisti. Da osservatore esterno è facile notare che agli entusiasmi euroriformisti dei primi giorni sono sopravvenute aperture ai malpancisti (specie protetta nel PD) inaspettate e non richieste, come il voto a 16 anni, ius soli, puzza sotto il naso per il condono. Delle riforme è diventata labile la traccia: non che sia necessario rievocarle tutti i giorni, ma qualcuno continua a pensare che siano queste e non altre le ragion d'essere del PD.

Comunque: immaginiamo un PD monolitico, che sviluppa, anche in vista di una elezione a carattere maggioritario una sua politica di alleanze. Quali alleanze? Finora Enrico ci ha indicato con una certa enfasi la Corte dei Miracoli di cui Giuseppi sta per incoronarsi sovrano. Siccome tra le molte cose condivisibili che ha pronunciato Enrico c'è la preferenza per un sistema elettorale di tipo maggioritario, è naturale che si ponga il problema di una politica di alleanze, e il M5S inevitabilmente, almeno nel medio-breve periodo ne farà parte. Meno naturale pare l'approccio vagamente distratto e forse un pochino annoiato con cui si rapporta, almeno per quanto appare in questi giorni, con la "destra" della sua coalizione elettorale. Forse Letta pensa che naturaliter i Calenda, Cottarelli, Bentivogli, Bonino, Renzi (chissà: i toscani tendono a portare rancore...) siano dalla sua parte. Il che dal punto di vista della cultura, dell'analisi della realtà, del "che fare" è molto probabilmente vero, ma non è sufficiente a dare per scontato che l'area riformista fuori dal PD debba sentirsi rappresentata da Letta e quindi disponibile a fargli da intendenza. Tanto più se Enrico tende a mettere tra parentesi Draghi e enfatizzare il futuro con Conte.

Cito due cose che a me, lettiano antemarcia, provocano molti dubbi.

Nel suo discorso d'investitura Enrico ha citato tutto il pantheon del cattolicesimo sociale, nessun altro. Chi è consapevole dello scorrere della Storia può cogliere e magari anche apprezzare l'orgogliosa rivendicazione della affermazione dell'eredità del Partito Popolare su quella togliattian-berlingueriana. Ma oggi il riformismo non è più neanche quello di Turati e Olof Palme. Fermo restando il diritto di ciascuno alla propria eredità culturale, dal Segretario del PD ("Non un nuovo segretario, ma un nuovo Partito!") mi attenderei l'indicazione di un riformismo liberal democratico, pragmatico e pluralista. Poi ognuno potrebbe trovarci dentro i propri padri nobili. Magari pochi la pensano come me, ma avevamo desiderato di non morire democristiani!

Un mezzo passo falso, ma potenzialmente ricco di successivi problemi, è quello della dichiarazione che "non siamo il Partito delle ZTL". Giusto: siamo bensì il Partito di..?

Appunto: acquisito che al Nord gli operai e i piccoli imprenditori, commercianti, ecc. votano la Lega, che al Sud i bisognosi di assistenza votano la Meloni, l'elettorato "certo" del PD è costituito essenzialmente dai pubblici dipendenti e dai pensionati. C'è però un qualcosa in più, che fa sì che per esempio nella Lombardia governata da quasi trent'anni dal centro destra le città maggiori (Brescia, Bergamo, Varese, la stessa Milano) votino a sinistra. Non si tratterà, oibò, del famigerato fattore ZTL? Credo di sì, ma ZTL non allude a una cerchia di upper class: ZTL (che poi risiedono dappertutto, preferibilmente vicino ai loro simili) sono coloro, in gran parte giovani, che vogliono poter accedere ad opportunità più che a protezioni, che cercano innovazione e non la subordinano alla sicurezza, che son disposti a mettersi in gioco, che chiedono di essere messi in condizione di intraprendere sulla propria professionalità o sui propri progetti. Sono coloro che forniscono servizi alle imprese, sono il ceto medio professionale che fornisce know how e soluzioni al sistema sia privato che pubblico. Tutta gente che fattura il proprio lavoro e, legittimamente, non gradisce di essere qualificata di rentier o di evasore fiscale by appointment.

Non è la classe operaia? Ahimè, ciò che ne resta è del tutto disinteressata al ruolo palingenetico che le Scritture la attribuivano, e si divide, anche in base all'età, tra la difesa ad oltranza delle tutele (in primis la pensione) e la voglia di partecipare ai processi di innovazione e crescere in professionalità e retribuzione. Io credo che a questo pezzo di classe operaia il PD dovrebbe parlare con proposte ed opere, e non dovrebbe avere bisogno del Sindacato per fare da interprete.

E gli "ultimi"? Moltissimi dicono di interessarsene, a colpi di assistenza. Che nell'immediato è inevitabile, ma alla lunga diventa un una rendita e un business elettorale. Il che del resto è un lascito delle politiche democristian-consociative della Prima Repubblica, forse l'unico sopravvissuto e abbracciato con entusiasmo dai parvenues. Sarebbe opportuno dire che per il PD il problema degli ultimi si risolve con l'istruzione, la formazione, le politiche per l'occupazione, e che l'assistenza ha senso se è mirata, non se è un diritto al reddito generalizzato.

Dice: ma questo che vai tratteggiando è una politica liberaldemocratica; poco a che fare con l'orizzonte culturale di un Partito che sembra ammiccare (forse al di là delle intenzioni soggettive) alla creazione di un soggetto politico finora mitico: il Compromesso Storico Realizzato. Non esageriamo col liberal democratico, ma un poco è vero: contavo che, al netto delle indiscutibili esigenze tattiche, il compagno Letta portasse nel PD il riformismo laico, empirico, liberale nelle istituzioni e socialdemocratico (in mancanza di una definizione più attuale) nella società. Diamo tempo (un po'...) a Letta: magari torna a focalizzare la propria politica sulle riforme e non su Conte.

Altrimenti? Prenderemo atto che il riformismo liberal democratico in Italia non si chiama Letta ma Draghi..?

 

 

 
 
 
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