Creato da eliapirone1 il 18/07/2010

COCCI DI VETRO

di Elia Pirone

 

 

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37° piano

Post n°4 pubblicato il 18 Luglio 2010 da eliapirone1
 

Se qualcuno lo avesse interrogato sull’argomento, John avrebbe iniziato un lungo discorso sulla mediocrità nella quale si trovava immersa, senza possibilità di salvezza, la città in cui viveva. Non richiesto, avrebbe poi divagato accusando perentoriamente la maggior parte delle cose mondane di quel morbo che lui chiamava, di volta in volta, banalità, omologazione, asservimento e, come era ovvio, mediocrità. Il mondo di John era infatti un mondo mediocre; tuttavia lui, pur essendone all’interno, non era minimamente toccato da tutto quel lerciume. Prova ne era che John, pur riflettendo spesso sulla cosa (aveva elaborato, se non un sistema filosofico, almeno un dettagliato Dizionario del Tedio), non ne aveva mai parlato con gli Altri. E come avrebbe potuto farlo, si chiedeva entusiasta e sprezzante, se gli Altri erano i germogli della tanto odiata pianta della mediocrità? Non avrebbero capito. La loro vita sarebbe rimasta un pallido specchio della loro anima deserta. Avrebbero ottenuto come unico effetto quello di far alzare verso un cielo grondante smog gli occhi di John, che, rassegnato, avrebbe scosso il capo in segno di elitaria disperazione. John non aveva moglie né figli. Non aveva veri amici, che sarebbero venuti tutti inevitabilmente dal volgo. Faceva un lavoro neanche a dirlo insulso, come aveva modo di dire, più e più volte, durante i suoi frequenti soliloqui Come se non bastasse, non c’erano neanche troppi sbocchi in una metropoli come quella in cui abitava. Anzi, a pensarci bene, non esistevano proprio. L’edificio nel quale abitava era un po’ come tutti gli altri, con lo stesso colore, lo stesso disegno architettonico e la stessa funzione di contenere la mediocre esistenza degli Altri. Era una fortuna che John non fosse proprio toccato da sciocchezze di questo genere. E, se anche i fantasmi casalinghi dell’omologazione facevano, a volte, qualche ingenuo tentativo di avvicinarsi a lui, John ricorreva a quella che a lui piaceva chiamare “Uscita d’Emergenza”, che era, molto semplicemente, il balcone che dava su una sempiterna strada affollata a ogni ora del giorno e della notte. John abitava al 37° piano, dal quale si poteva osservare il continuo andirivieni della Massa tumultuante. Il nostro uomo era solito trovare scampo nel balcone, quando sentiva l’appressarsi dei demoni della banalità. Una volta lì, godeva trionfante del panorama, credendo di dominarlo. A volte restava in quel posto per ore a osservare quel fiume umano partire da una indeterminata sorgente e non sfociare in alcun mare. Era consolante e insieme rassicurante veder crescere, minuto dopo minuto, la consapevolezza della sua superiorità nei confronti del mondo.

Durante una sera ancora giovane, pose il piede, come tante altre volte, sul balcone della sua abitazione. A dire il vero, in questa occasione non c’era un motivo particolare che lo avesse obbligato a uscire. Tuttavia, egli si portò ugualmente nella postazione consueta, le braccia incrociate appoggiate alla fragile ringhiera, il busto piegato in avanti. Era rilassante – rifletté John – osservare, ancora una volta, la paurosa eguaglianza delle persone del mondo.

Da qualche minuto aveva focalizzato la sua attenzione su un omino che procedeva a passo svelto, quasi schivando il magma umano, ai lati della strada. Doveva avere fretta, come appariva evidente. Lo vide sgattaiolare su un del tutto inutile marciapiede, dato che tutta la strada era invasa da persone, con un fare guardingo ma deciso. Sembrava spasmodicamente concentrato nell’impiego di tutti i suoi sensi, quasi a voler ottenere da essi il massimo. Era chiaro che avesse una meta precisa. Sul volto di John intanto si accese un sorriso: era divertente gustare l’impegno degli Altri così impegnati in cose inutili. Chissà quale sciocca faccenda esigeva da quell’omino, così piccolo visto dal 37° piano, un impegno di tale portata. John decise che l’osservazione di quell’individuo sarebbe stata perlomeno divertente. Si accese una sigaretta, cosa che faceva raramente quando era affacciato, il che poteva significare soltanto che lo spettacolo sarebbe durato un lasso di tempo ragionevole. In quel momento l’uomo sul marciapiede si arrestò bruscamente; John lo vide appoggiare la schiena contro la saracinesca di un negozio inspiegabilmente chiuso. Si accese anch’egli una sigaretta con una tale velocità che nessuno avrebbe saputo dire se fosse stato più rapido quel gesto oppure il ritornare subito a camminare di buon passo, esattamente come pochi secondi prima. Quel che sembrava veramente strano era il fatto che ora l’uomo aveva cessato di seguire la corrente, ma aveva cominciato a fendere la massa procedendo in verticale, in direzione dell’edificio di John. In quel momento le labbra dell’uomo affacciato alla finestra parvero rifiutare la sigaretta appena accesa. Immediatamente dopo si bloccarono del tutto nel vedere che l’uomo della strada aveva appena estratto la chiave elettronica per aprire la porta dell’edificio che ospitava il suo appartamento. L’edificio di John. In quell’istante la sigaretta di John cadde di sotto, quasi a rappresentare una tardiva difesa. Solo molto tempo dopo il nostro uomo si rese conto che quella sigaretta caduta non era poi molto diversa da un calderone d’olio bollente rovesciato, dalle mura di un castello prossimo a cadere, su bellicosi assedianti. Ma era già troppo tardi. L’uomo della strada aveva fatto il suo ingresso e John si accorse della sigaretta solo quando questa si trovava ormai all’altezza del 12° piano. Confuso senza un motivo apparente, John sentì una lacrima insensata scivolare impietosa sul suo volto glabro. Era destinata a seguire la sorte della sigaretta, ma lui non poteva cogliere, nello stato in cui si trovava, una simile analogia del destino. A dire il vero, non poteva fare proprio nulla. Qualche respiro dopo, in un gesto meccanico, l’uomo alla finestra fece per tornare in casa. Voleva dormire. Dimenticare. Voltatosi ancora di stucco, il volto di John divenne una tavoletta coi colori dell’orrore: l’uomo della strada era lì; il suo volto era il volto di John, ed era a un soffio da lui. Aveva preso la rincorsa, perché lo sguardo di John lo immortalò mentre era al termine di un balzo animalesco, le braccia protese in avanti, ogni brandello di pelle teso allo spasimo. Con la fragile ringhiera che disertava vigliaccamente, la caduta sarebbe stata quasi breve.

Un battito di ciglia prima di toccare terra, John si scoprì sorgente di un fiume di lacrime che scorreva sul suo cuscino. Era l’una di mattina, la ringhiera era lealmente al suo posto.

 

Commenti al Post:
londondgl0
londondgl0 il 19/07/10 alle 00:13 via WEB
ottimo!
 
dottfreud
dottfreud il 19/07/10 alle 00:18 via WEB
complimenti, scrivi molto bene.
 
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