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La skuola e le sue 3 cugine, mio figlio.

Post n°9 pubblicato il 12 Settembre 2010 da anpo2
 

Appena puoi vattene. Scappa: da Imola, dalla scuola, dall’Italia» ho detto a mio figlio un paio di settimane fa. Ma forse è il caso che vi racconti un poco meglio.

Mio figlio si chiama Jan (un’altra volta vi spiegherò perché). Visto che Jan deve (vuole, se ho ben capito) recuperare un anno perso, parlavo con lui di scuola, di $cuola, di skuola e di squola. Gli ho detto: «sono d’accordo – per i due anni in uno – ma vorrei dirti tre cosettine sulla scuola che si scrive con la k e le sue cugine, quella scritta con la q e l’altra con iniziale a dollaro e magari anche sulla vera scuola– che vi sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa – che tu ancora non hai incontrato se non alle medie e in un paio di prof capitati, evidentemente per caso, nell’orrido liceo (delle scienze sociali) che hai frequentato, ma forse dovrei dire subìto, negli ultimi anni».

Voi che leggete codesto blog, forse state pensando: «a noi che ce ne frega delle chiacchiere che db fa con suo figlio?». Ma forse vi sbagliate a preoccuparvi perché io – siore e siori – non vado a dilungarmi su questioni private ma sto per raccontarvi una storia che riguarda genitori, figli, dinosauri, pirati, fuggitivi e resistenti, e (scusate se dico parolacce) gelmini e tremonti, insomma che può interessare tutte e tutti noi; perciò sbagliate ad andarvene prima della fine, almeno aspettate i pop corn. Naturalmente, fate come vi pare e non spingete. Grazie al pubblico rimasto: come si diceva una volta mi rivolgo a tutti, compagni, amici e gentili avversari.

Dunque dicevo a Jan: «Ti ricordi che quand’eri piccolo giocavamo alle gabbie?», cioè io lo imprigionavo con gambe e braccia (uh, povera schiena mia) e lui doveva fuggire. «Bene» gli ho detto: «prima possibile devi scappare. Recupera l’anno, se vuoi, finisci il liceo ma poi corri, vattene. Rompi la gabbia. Va all’estero, almeno per un po’. A studiare, a lavorare, ad annusare, a innamorarti, a pensare… Via da questa Italia di merda, da questa che chiamano scuola ed è quasi sempre solo un addestramento all’ignoranza e alla viltà. E via pure dai tuoi genitori sì, che sono noiosi, che stanno sempre a dirti com’era bello il ’68 e il ’77… come se fosse colpa tua che il tempo passa, tutto cambia (in Italia quasi sempre in peggio) e solo Andreotti-Nosferatu resta per sempre uguale». Pausa. «Sia chiaro Jan che non mi voglio liberare di te e anzi sarò tristissimo di non vederti. Ma è proprio perché ti voglio bene che dico: vattene dall’Italia, via dalle aule che odi e da quei professori che confessano il loro fallimento e la loro ignoranza quando bisbigliano ai genitori: “strano, i ragazzi migliori del liceo sono quelli che hanno il peggior voto in condotta”. Una frase che da sola li condanna. Una frase che era già vecchia e stupida quando i brontosauri brucavano».

I tuoi racconti scolastici, i tuoi libri che sfoglio, gli incontri che ho avuto con il preside ciellino e con i/le prof (salvo un paio di eccezioni tutte persone che sarebbero bruttine per meschinità in tempi normali ma che risultano ributtanti nell’era della Gelmini) mi hanno ricordato perché anch’io odiavo la scuola e i/le docenti – salvo un paio di meravigliose eccezioni – e in definitiva perchè ho fatto il ’68.

Quando avevo l’età di Jan io ho conosciuto tre luoghi-istituzioni dove parcheggiare i giovani, si diceva per farli studiare. Il primo era la $cuola dove quel dollaro indica che solo i ricchi venivano trattati bene con i/le prof a dare il meglio (o più probabilmente: il meno peggio) di loro per insegnare qualcosa ai figli e alle figlie “di papà”. La seconda era la Skuola con la K del Ku KluxKlan: razzista e classista, fascista o fascistoide, autoritaria perché incapace di essere autorevole. Infine c’era la squola, questa democristiana più che fascista: ignorante oltre che tetra. Ero piccolo e poco esperto, presuntuoso e un po’ teppista ma solo leggendo un po’ di giornali e qualche libro, frequentando un cineclub e la strada ne sapevo sempre più di quei quattro caproni (o caprette) in cattedra; e volendo – le rare volte che volevo – li costringevo a darmi un 8 o un 9 in qualunque materia perché io sapevo di cosa si stava parlando e loro di solito no.

Quando ho conosciuto «Lettera a una professoressa» scritto dai ragazzi di Barbiana (cioè dagli allievi di don Milani) era il 1967: proprio come mio figlio stavo recuperando un anno per bocciature, nel mio caso dovute a (gravi) episodi di «indisciplina». Fu un totale feeling con i ragazzi di Barbiana: anche se non ero figlio di contadini, la pensavo come loro su tutto e avevo 100 volte detto, fra me e me, «professoressa sei una puttana, ti vendi a chi paga di più». Quel libro bisognerebbe leggerlo anche oggi: perché con pochi cambiamenti (forse solo aggiungendo a operai, contadini anche immigrati) è purtroppo tutto rimasto uguale. O meglio tornato. Perché dopo il ’68 qualcosa per un po’ cambiò, perché alcune/i di noi ribelli fecero i prof, perché i rapporti di forza (anche culturali) nella società erano cambiati, perché il vento soffiava forte. Ma poi loro – padroni e relativi servi con i servi dei servi cioè i peggiori – si ripresero. O noi mollammo, chissà (ne ragioneremo un’altra volta). E uno dei risultati fu che la scuola ridiventò, salvo eccezioni, un incrocio fra il cesso, una caserma e una barzelletta. Un merito che non mi sento di attribuire alle sole destre e a Casini (detto «ora son qua, ora son là – con chi meglio mi pagherà»): per rendere la scuola più tetra e inutile, di nuovo autoritaria e classista, persino incapace di educare (persino il minimo, vorrei dire l’abc) molto si sono sforzate le sedicenti sinistre. E chi lo nega è cieco o bugiardo.

Ma continuo a scrivere che ci sono eccezioni e di questo ho cercato di parlare a Jan e su questo – siore e siori, gentile pubblico qui convenuto che mi onora della sua attenzione pur dopo 100 righe circa -  vorrei dire altre 4 (d’accordo: 600) parole.

Quel che mi dispiace rispetto a mio figlio – ma in generale rispetto a tutte/i coloro che sono giovani – è non essere abbastanza bravo da mostrare che comunque una scuola (senza dollaro, senza q, senza k) può esistere. Esiste. Che si può imparare divertendosi, partendo dalle esperienze, rispettando le persone. Che persino dentro quella roba che oggi s/governa la Gelmini ci sono alcune/i prof che riescono, nonostante tutto, a far capire quanto è bello, urgente, importante – e dunque necessario – studiare.

Daniele Barbieri          

http://danielebarbieri.wordpress.com/


 
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Commenti al Post:
GDTeo
GDTeo il 12/09/10 alle 21:50 via WEB
Gran bel blog.. ^^
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