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Il cielo è di tutti

Post n°20 pubblicato il 09 Gennaio 2009 da candidacreatura

E’ un pomeriggio qualsiasi di noia. Le ore scorrono lente mentre inseguo link su link. La lezione di letteratura incombe. Così vado alla paziente ricerca di spunti  innovativi per domani. Argomento: il romanzo storico. Walter Scott. Emile Zola e Germinal,  Lev Tolstoj e Guerra e pace. E poi il romanzo dei romanzi: I Promessi Sposi. Mi solletica il pensiero di approfondire,  cercare per i miei giovani “virgulti” materiali sempre interessanti, poco banali, che possano avvincere, stimolare, incentivare, perché la lectio sia il meno possibile un barboso sciorinar  di contenuti. Mentre mi aggiro fra siti di varia umanità, frammisti come un orrido minestrone a materiali  più o meno letterari,  mi capita una “perla”, una citazione che mi accingo immediatamente a leggere.

 

“E’ strano quanto poco la gente sappia,

in generale, del cielo. E’ la parte della creazione

 in cui la natura più si è

prodigata per la letizia dell’Essere,

ed è proprio quella a cui prestiamo minore attenzione.

In ogni momento di ogni giorno delle nostre vite

La natura presenta scenario su scenario, dipinto su dipinto,

splendore su splendore,

e operando secondo principi così raffinati e

 incrollabili di perfetta bellezza,

che certissimamente tutto ciò vien fatto per noi.

Ma il cielo è di tutti.

A volte tenero, a volte capriccioso, a volte tremendo,

mai lo stesso per due momenti di seguito,

quasi umano nelle sue passioni,

quasi spirituale nella sua tenerezza,

quasi divino nella sua in finitudine”.

 

John Ruskin

Modern Painters

 

Il cielo. Rarissimamente ci soffermiamo a meditare su questo colorito sfondo dei giorni della nostra vita. Ci basterebbe sollevare più spesso i nostri occhi verso la magnitudine dello spazio celeste per accorgerci della  bellezza stupefacente del tetto inconsistente che ci sovrasta e nei riguardi del quale è facile sentirsi piccoli, mediocri, l’infinitesima parte dello spazio infinito, di quella natura che non smette un istante di destare la nostra  meraviglia mettendo in scena spettacoli degni di un re. Brani di vita risalgono dal serbatoio della memoria. Una spiaggia di ciottoli, incantata, sparuti villeggianti, il mare di porpora che giace, fermo nella sua piatta, oleosa, tenue, azzurrità, gli occhi perduti nella purezza cristallina dell’infinito. Una gioia sottile invade il mio animo, è un istante di pura felicità. Il cuore mi riporta ad altri spettacoli di altrettanta mirabolante bellezza. La fine di agosto, germi di rimpianti si annidano tra le pieghe dell’anima per le vacanze ormai al termine.In mattinata il mare stupisce i bagnanti mettendo in scena  uno show da paura: onde alte che si abbattono sulla spiaggia grigia, fragore (inusuale per le mie orecchie) della risacca, benefico aerosol per i miei polmoni ingrigiti dalle malefiche esalazioni della città, al tramonto  il pelago diventa minaccioso. Il sole, schermato da una gabbia di nuvole, cala nei marosi lasciando sfuggire dalle trame poco fitte dei nembi raggi che, come lame,  bucano il cielo, esterrefatto per tanta bellezza, ricamando sui loro contorni fili di porpora e d’oro. Pare la quinta per il giudizio universale.

Quale conforto per lo spirito invece il cielo di primavera! Intristiti dal grigiore d’inverno i nostri occhi si librano finalmente nello spazio che gonfie nuvole di latte racchiudono ma non delimitano.  Il cielo è di un azzurro che commuove, quello che mai pittore esperto riuscì a dipingere su tela . Il paesaggio muta ma l’essenza della celeste quotidiana presenza sulle nostre teste non cambia. Dalle medie alture, nei pressi di un valico che attraverso sfrecciando in auto, il sole, sul far della sera colora il cielo di carta da zucchero che presto sfuma nel rosso fuoco del tramonto che incede romanticamente. E’ il vespero classico, quello da cartolina, che gioca con i colori disponendoli a caso, accentuando i contrasti, il nero dei monti contro l’oro, l’azzurro intenso contro il rosso. Bianchi filacci di nuvole disegnano striature e infiniti arabeschi che  legano cielo e terra in un amplesso arcano. La notte col suo nero mantello chiude il sipario. Applaudo per lo spettacolo e ringrazio soddisfatta.

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Commenti al Post:
laltrafacciadellalun
laltrafacciadellalun il 10/01/09 alle 08:28 via WEB
Non riesco ad essere d’accordo con te. Al contrario penso che il cielo sia parte integrante di ogni essere umano, della sua esistenza. Incombe su ciascuno di noi e, con la sua profondità ci impone di misurarci con i nostri limiti. Quello che forse intravedo, nel senso del tuo discorso, è che per molti di noi l’immensità del cielo può essere opprimente restituendo la reale misura dei nostri limiti. Mi ha colpito quel ricercare qualcosa che possa sollecitare interesse reale. Spesso, troppo spesso, a mio avviso, si pretende dai giovani che possano essere stimolati da ciò che noi abbiamo scoperto durante il nostro cammino, dimenticando che la strada può essere lunga e tutti hanno la necessità di percorrerla. Ti mando questa riflessione sul cielo visto in maniera originale da chi ha occhi diversi per guardare. Lo faccio con un certo timore perché è molto più importante il modo in cui tu saprai leggere che il modo come è scritto! «ALL'APPARENZA È LEI A PRENDER LA NAVE, LEI A MUOVERSI: MA È UN FALSO MOVIMENTO, IL SUO; È COME SE FOSSI IO A CAMMINARE ALL'INDIETRO, SENZA ACCORGERMENE. PER LEI NON C'È PARTENZA, È FERMA NEL SUO NUOVO AMORE NON CAMBIA STATO LA SUA ANIMA, QUIETO, ALLA FONDA, IL DESIDERIO. Questo, non altro pensiero, si muoveva a Saffo nel petto, la notte in cui salutò Anattoria, l'achea, la bella e le intrecciò l'ultima ghirlanda perché ricordasse, anche con quell'uomo. Un uomo gliela portava via: un uomo e una nave. Da li, da quella spiaggia di Mitilene, cento, mille ne aveva viste passare di navi, e tutte da guerra. «Gli uomini vanno per mare perché sono come il mare, tempesta e passione, onda incerta, dubbiosa: incerta pure la meta, e mai l'ultima. Gli uomini sono quella rabbia senza fine di coprire tutto, di insinuarsi ovunque, come il mare, al falso, dolce carezzar di spuma, quando il vento del cuore, a tratti, si placa; e del mare hanno l'inconsistenza, il lungo canto illusorio e la violenza di tamburo battuto, fino al sacrificio. «E non hanno colore, come il mare. Perché il mare altro non è che il riflesso del cielo, è un cielo capovolto: e in questo riflesso attraversano al contrario la verità e la vita. E meno bastano a se stessi, più devono avere cose: ricchezze, imperi, schiavi, potere. Di nessun altro deve essere tutto ciò che non è loro: rompono, distruggono, annientano quel che non possono avere. «E il cielo. Forse il cielo siamo noi. Noi non riflettiamo la luce, prendendo altrove colore, noi siamo colore. Non muoviamo burrasche livide e impercorribili: siamo brevi temporali o nere confessate agonie; ma di più, molto di più, tenero, sconfinato azzurro e canto di culla, di lavoro e poesia. «Ma forse sto pensando così solo perché tu te ne vai, penso così solo perché tu mi lasci». E l'uomo era giovane, l'uomo era bello e l'avrebbe portata lontano danzando la groppa di cavalli pezzati, ed era bella Anattoria, quella sera, alta nel lungo finissimo velo, e doppia la faccia che guarda ora il mare, ora i piedi di Saffo. - Ti amo, - disse all'improvviso Anattoria. «Questo non avrà mai il tuo sposo: questo sapere dell'amore. Mi sento morire all'idea delle sue carezze sulla tua pelle e ancor più dei sorrisi, i tuoi, ai suoi ritorni. Non c'è musica, non c'è rosso tramonto che mi possa quietare, non c'è un verso, uno solo, che io possa riascoltare nella bellezza che aveva prima, quando lo confusi all'incerto leggerlo dalla tua bocca sulle mie labbra. Non c'è un dio che possa saettarmi o lavarmi d'acqua, non c'è Afrodite che possa ridarmi, inimitabile, quel tuo fuoco: ma questo so, che per quanto lui ti abbia, per quanto ti desideri, ti copra e frema; per quanto tu possa aspettare, conosciuto al battito, il rumore dei suoi passi e respirare nell' aria 1'odore dell'assenza e dell'attesa, per quanto corra nelle vostre vene sangue veloce e si tramuti in grido nell' attimo più bello: tu non sei lui, e lui non è te. E invece io parlo ed è la tua voce, muovo le mani e sono le tue, tuo il mio sguardo, i tuoi pensieri crescono in me, e pure i sogni sono i sogni di Anattoria. E darei vita e morte perché non mi straziassi di questa presenza. Esserti e non averti: qui sta lo strazio, perché altro sarebbe averti, e mille volte solo averti. «Averti, stringerti fino a farti male, come farebbe un soldato ubriaco, sordo agli strilli, poderoso all'assalto e fiume in piena. «No, no, questo no. Era soffio tra noi e tenerezza. «Ma sovrumano e cosi piccolo insieme è questo distacco: cosi in fondo alla terra, cosi a tutti sconosciuto, un punto qualunque di dolore. «Quando un uomo perde un amore, perde solo qualcuno, qualcosa. A noi non è concesso: non te ne vai tu sola, ma il mondo che abitavamo insonni, come gli dèi. Non perdo Anattoria, perdo l'universo che eravamo. Staccatasi una parte, quel che resta dell'animo non sa vivere a sé: si sgretola, si disfa, è polvere». E già d'altri rumori, altri suoni, voci, passi a danza, e già d'altre risate era piena la spiaggia: giungevano di corsa le compagne a piedi nudi, d'importuna felicità chiassose e unite in coro a festeggiar la sposa. La luna ebbe un sussulto, spari d'un tratto e tutto parve oscuro sogno all'alba, quando hai ancor più paura. Ti amo, - sussurrò Saffo camminando all'indietro.
 
 
candidacreatura
candidacreatura il 10/01/09 alle 18:52 via WEB
Quale privilegio ospitare nel mio blog un commento di tal pregio! (La rima è casuale). Grazie. Mi hai fatto dono oggi della più bella dichiarazione di amore imperituro che io abbia mai potuto leggere. In quanto al cielo, che tu definisci senza colore perché quello che ostenta in realtà non gli appartiene, continuerò comunque ad apprezzarne la bellezza finché avrò occhi per guardare. Si, è vero, la sua piacevolezza intensa non è che un’illusione ma non è pure la felicità stessa, la sua essenza, una delle illusioni più care al cuore umano? Il credo foscoliano insegna. Guai a non averne. Senza di esse, la loro confortante presenza, la vita sarebbe un baratro del quale vedremmo sin da piccoli il fondo buio e arido che ci è destinato. In quanto al punto che riguarda il mio indefesso “ricercare”, avevo sentore, già prima ancora di dichiararlo, che potesse essere un’operazione inutile. O per lo meno potrebbe essere utile a me (perchè non si smette mai di imparare) e forse non ai destinatari del mio modesto impegno. A loro potrebbe bastare il paragrafetto con cui l’autore del testo liquida il romanzo storico. Rimane il fatto che trasmettere le proprie conoscenze con entusiasmo e passione credo possa contribuire ad ottenere riscontri positivi. E poi non ho mai affrontato le questioni della vita (dalle più lievi alle più complesse) con cinismo e/o superficialità. E ciò con i tempi che corrono è sicuramente un difetto.
 
dvx2000
dvx2000 il 10/01/09 alle 10:52 via WEB
Bello... "show da paura" sa un po' di "Minchia Sabbry", però bello. :-)
 
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