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Messaggi del 07/02/2012
No alla privatizzazione delle carceri di paolo borello Nel decreto del Governo sulle liberalizzazioni è contenuta anche una proposta di privatizzazione delle carceri. Viene previsto il cosiddetto “project financing” per la realizzazione di infrastrutture carcerarie. Alcune associazioni hanno manifestato la loro contrarietà nei confronti della proposta. In un articolo pubblicato su www.dirittiglobali.it (fonte: Redattore sociale) si esamina la posizione di queste associazioni: “Un secco ‘no’ alla proposta di privatizzazione delle carceri prevista dal decreto liberalizzazioni. A ribadirlo in una conferenza stampa in Senato è stato Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, insieme a Stefano Anastasia dell’università di Perugia, Franco Corleone del coordinamento nazionale dei garanti dei detenuti, Salvatore Chiaramonte della Funzione pubblica Cgil e Cecco Bellosi del Cnca (coordinamento nazionale delle comunita d'accoglienza). A essere preso di mira è in particolare l’articolo 43 del decreto che prevede il project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie. Secondo i promotori del ‘no’ il trattamento penitenziario non può essere affidato a chi ha scopi di lucro; non si possono infatti affidare le opportunità di ritorno anticipato in libertà a imprenditori privati che hanno interesse a trattenere i detenuti essendo per loro un guadagno. Tra i rischi quindi c’è quello del mantenimento delle carceri in una situazione di sovraffollamento ‘avendo i privati interesse nel tenerle piene’. A ciò si aggiunge il pericolo di corruzione dei giudici per avere più detenuti, di violenza, di assoggettamento al lavoro forzato e quello di discriminazione dei detenuti a seconda di chi gestisce l’istituto di pena. Un rischio quest’ultimo che se si verificasse porterebbe secondo Gonnella a una palese situazione di ‘incostituzionalità’, così come sarebbe incostituzionale affidare la salute dei detenuti a un imprenditore privato. ‘Il problema non è quello di aumentare il parco edilizio penitenziario - continua Gonnella - ma di investire nella manutenzione di quello che già c’è e cambiare le leggi che producono carcerazione eccessiva’. Sono state poi ricordate le cosiddette ‘carceri fantasma’, i 38 istituti di pena mai finiti che già esistono ma non sono utilizzati e quelli di Rieti e Trento, sfruttati in maniera parziale. Un caso a parte, poi, è quello del carcere di Sassari, aggiudicato con procedura d’urgenza alla società di Diego Anemone. Salvatore Chiaramonte ha ricordato che la situazione delle carceri in questo momento è ‘emergenziale per il sovraffollamento al limite dell’inciviltà. E, inoltre, tutti gli strumenti a partire dal personale sono in drastico ridimensionamento. La risposta non è certo il project financing’, ha detto. Secondo Chiaramonte si deve ragionare piuttosto sullo svuotamento e ‘sulla depenalizzazione di alcuni reati creati dal governo precedente come il reato dell’essere immigrato, cioè di clandestinità, e i reati legati all’uso di sostanze stupefacenti’. Franco Corleone ha sottolineato come uno degli ambiti dove andrebbe incrementata la presenza dei privati potrebbe essere, invece, quello delle misure alternative. Alla conferenza erano presenti anche i senatori Vincenzo Vita, Marco Perduca e Silvia Della Monica che si sono impegnati a presentare emendamenti per restringere il campo delle funzioni cedute ai privati. Gli emendamenti dovranno essere presentati entro il 10 febbraio, dopo dieci giorni inizierà invece la discussione in Senato”. Si può discutere se siano valide o meno le diverse soluzioni, ipotizzate dai rappresentanti delle diverse associazioni, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Mi sembra però ampiamente condivisibile la posizione contraria nei confronti della privatizzazione delle carceri. Il project financing (si tratta di un’operazione di finanziamento di opere pubbliche il cui costo è sostenuto da privati a cui spettano però i proventi derivanti dalla gestione delle opere in questione) può andare bene per molte infrastrutture, ad esempio quelle viarie, ma non certo per quelle carcerarie, per i motivi già esposti nell’articolo. Altri sono gli interventi da realizzare per risolvere il sovraffollamento delle carceri, interventi che peraltro devono produrre effetti nel breve periodo, in quanto i disagi provocati dall’attuale situazione non sono più sopportabili nè dai carcerati nè dagli agenti della polizia penitenziaria.
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Contro le mutilazioni femminili il finto impegno dell'Italia pubblicata da INFORMAZIONE LIBERA il giorno martedì 7 febbraio 2012 alle ore 17.10 Nell'incontro con la premio Nobel yemenita Tawakkul Karman, in occasione della giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, le istituzioni italiane cercano di nascondere l'inerzia del nostro paese
Luisa Betti - 06.02.2012
Invitata dal partito Radicale e dalla Ong “Non c’è pace senza giustizia”, la premio Nobel yemenita Tawakkul Karman è arrivata ieri a Roma nella giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF), un fenomeno che nel mondo coinvolg 130 milioni di donne e che ogni anno viene praticata su un numero di bambine stimato tra i 2 e i 3 milioni, per la maggior parte sotto i 14 anni. Una tortura millenaria presente in 26 Stati africani, ma anche in Egitto, nello Yemen e in tutto il Medio Oriente dove, secondo il World Report 2012 di Human Rights Watch, sarebbe in aumento in Iraq e nel Kurdistan, dove la mutilazione verrebbe imposta a circa il 40% delle ragazze. Una pratica non estranea neanche all’Europa dove, secondo stime Ue, sarebbero circa 500.000 le donne residenti infibulate, mentre in Italia ci sarebbero 93.000 donne a rischio, tra cui 7.700 bambine.
Per chi non lo sapesse, le MGF vanno dall’asportazione parziale della clitoride all’asportazione totale, comprese le grandi labbra, con cucitura degli organi genitali femminili esterni: un’operazione che lascia una fessura solo per l’uscita di urina e mestruazioni, con conseguenti e terribili dolori durante i rapporti sessuali, e con lacerazioni gravissime durante il parto. L’operazione, praticata senza conoscenze mediche, senza anestesia e fatta con coltelli, pezzi di vetro, ferro e rasoi non sterilizzati, provoca infezioni tali da causare morte, cheloidi, tetano, infertilità, e pus permanente.
In una giornata così, fatta di appelli e di richiami a diverse Convenzioni internazionali che la MGF violerebbero (Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, Convenzione dei diritti del fanciullo, Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo, Carta africana dei diritti umani e dei popoli), le istituzioni italiane a colloquio con Tawakkul Karman, che - oltre ad aver ricevuto il premio Nobel per la pace 2011 insieme a Ellen Johnson Sirleaf (presidente della Liberia) e a Leymah Gbowee (fondatrice del movimento pacifista delle “donne in bianco”) - è una la leader della primavera araba nello Yemen, si sono prodigati in convenevoli di circostanza e in esaltazione del ruolo delle donne in totale contrasto con la realtà che viviamo in Italia.
E se il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, si è limitato, riferendosi alla MGF, a un generico “noi siamo fortemente impegnati nella lotta contro questa pratica e la presenza di Karman Roma è un motivo per ricordare il nostro impegno”, nell’incontro a palazzo Giustiniani il presidente del Senato Renato Schifani ha detto di essere “sempre a fianco delle donne che si battono per l'affermazione della libertà”, riconoscendo che “il contributo che l'universo femminile è in grado di offrire, passa necessariamente per il riconoscimento della sua autonomia che significa, prima di ogni altra cosa, diritto ad accedere al mondo dell'istruzione e del lavoro”, aggiungendo infine che la questione femminile è “decisiva anche nell’era della globalizzazione”.
Parole che in realtà sembrano di circostanza in un’Italia che, come già osservato dalle Nazioni Unite e dal Cedaw, appare oggi come uno dei paesi europei che dà meno peso alla presenza e al ruolo delle donne nella società e tanto meno si interessa a proteggere le donne dalla violenza (come dimostrano i 18 femmicidi registrati dall’inizio del 2012 a oggi). A parlare chiaro su questo, è il fatto che l’Italia, come ha sottolineato in questi giorni Amnesty International, non abbia ancora né firmato né ratificato la “Convenzione del Consiglio d'Europa per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica”, redatta a maggio dell’anno scorso a Istanbul e già firmata da 18 stati europei, in cui è compresa una chiara posizione per proteggere le donne e le bambine dalle mutilazioni dei genitali femminili. Come nessuna risposta ha avuto Aidos (Associazione italiana donne per lo sviluppo), che giorni fa ha indirizzato una lettera aperta ai ministri del Welfare con delega alle Pari opportunità, della Salute, degli Esteri e della Cooperazione per chiedere quale fosse l’impegno attuale dell'Italia nella lotta alle MGF. http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/6427/ Condividi · · |
Fonte: http://ftalphaville.ft.com/blog/2012/02/01/861291/morgan-stanleys-most-mysterious-footnote-part-1/
Una somma utilizzata dal governo italiano per estinguere una operazione di derivati finanziari, anche se non è chiara la ragione per cui la Morgan Stanley abbia richiesto la “chiusura della posizione”, opzione prevista dopo un certo numero di anni da quasi tutti i contratti sui derivati ma raramente applicata: il motivo più verosimile potrebbe essere il declassamento deciso dall’agenzia di rating Standard & Poor’s. Certo, finché nessuna delle due parti fornirà spiegazioni, si potrà rimanere solo nell’ambito delle ipotesi. La banca newyorkese si è limitata ad annunciare trionfalmente il recupero della somma, il governo italiano non ha fornito alcuna spiegazione e i media non indagano né chiedono alcunché, né sulla gestione delle operazioni in derivati da parte del Tesoro, né sul motivo per il quale tra tanti creditori si sia scelto di onorare il debito proprio con la Morgan Stanley. Il questo modo il governo non è tenuto a spiegare perché abbia optato per il silenzio e la segretezza assoluta anziché ammettere che, mentre venivano stangati i pensionati e non solo, lo Stato provvedeva a rimborsare 2 miliardi e mezzo alla investment bank. Non sarebbe stato il massimo dal punto di vista dell’immagine e della popolarità, ma in fondo è stato lo stesso “Full Monti”, ribattezzato così proprio dalla Morgan Stanley al momento della sua nomina a premier, a dichiarare di non dover soddisfare alcun elettore, in quanto non eletto.E allore perché tace? Ha paura dell’impopolarità? Dove sono i giornalisti che ponevano le dieci domande a Berlusconi o pubblicavano le intercettazioni telefoniche? Esiste ancora qualcuno interessato ad indagare sull’operato del governo? Diamo un merito all’Espresso, l’unico organo di informazione italiano a parlarne: un articolo uscito ieri a firma Orazio Carabini esprime pure un certo disappunto per il fatto che né Morgan Stanley né il Tesoro abbiano voluto fornire spiegazioni al settimanale. Da anni si parla della pericolosità dei prodotti derivati. Mi piacerebbe sapere chi e quando ha avuto la bella pensata mettere in piedi questa, e magari altre operazioni che i pensionati sono stati chiamati a rimborsare! |
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