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L'ORGOGLIO DI DEL PIERO

Post n°51 pubblicato il 06 Settembre 2007 da Corsivo1

"IL MIO FUTURO NON E' A COLORI   MA SARA'  SEMPRE BIANCONERO!"

A pochi giorni dalla sfida con la Francia, il Capitano giura amore e fedeltà alla Signora, respinge gli attacchi che arrivano d'Oltralpe e si candida per una maglia da titolare: "Vestirò solo la maglia della Juve, ma niente part-time. Quelle dei francesi sono parole e basta, già al Mondiale abbiamo dimostrato che il calcio italiano è pulito. Questa vigilia mi ricorda quella della Germania: ci provocavano, poi filò tutto liscio. Io sto bene fisicamente e psicologicamente e il ruolo non importa, mi esprimo meglio in attacco, ma come è capitato, so adattarmi. Di sicuro non mi sento "uno" della rosa: io vengo sempre per giocare e non per fare numero".

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DEL PIERO, AMORE BIANCONERO - La Stampa - Difficile far finta di nulla, ignorare provocazioni infinite. L’Italia misura parole e toni, ingoia repliche infuocate, però il fastidio tracima e accresce le motivazioni, trasforma la concentrazione in rabbia, c’è voglia di chiudere la bocca a questi francesi aggressivi e velenosi. Nel giorno del buonismo azzurro, delle mani tese di Abete e Donadoni, le accuse di Diarra hanno travolto l’argine della pazienza e svelato il disegno polemico: le coincidenze non sono più credibili, le dichiarazioni infelici e isolate non reggono, la crociata contro un calcio cinico e baro va oltre le farneticazioni di un ct. Troppo. Nessuno contrattacca, ma nessuno ripiega. San Siro ospiterà una partita chiave per l’Europa, né rivincita di Berlino né confronto tra morali, ma quella partita diventerà pretesto per impartire una lezione.  Persino il mite Del Piero, capace di reprimere negli anni sfoghi incendiari contro esclusioni sistematiche e critiche eccessive, sempre deciso nel tutelare la sua immagine ma mai disposto a mettere in piazza il disagio, fatica a nascondere il disappunto dietro battute ironiche («Imbroglione e truffatore? Che ho fatto?») o propositi innocui: «Non dobbiamo farci disturbare». Alex diventa simbolo dell’orgoglio azzurro, del «basta» pronunciato a denti stretti, senza stizza, ribellioni esasperate, ripicche. Alex non si scompone, si ostina a parlare di pallone, giura di non badare alle insinuazioni di Domenech e di essere perfino indifferente alla sanzione Uefa nei suoi confronti. Però rilegge il Mondiale e immagina la soddisfazione di un remake, non solo della finale, ma anche della semifinale con la Germania. Mandolini, coppole e spaghetti, luoghi comuni rimestati per deriderci, poi finì con gli emigranti tre metri sopra il cielo, i tricolori ostentati, le pizze decorate con il 2-0. Scene mai cancellate: Grosso, eroe per caso, che ripeteva «non ci credo», la corsa e l’urlo rubati a Tardelli, e Alex felino che completava la festa. Quella notte l’Italia comprese di poter arrivare in fondo e lucidare un’immagine ammaccata, seppellire gli scandali e rivendicare la forza sportiva che i calciatori avevano difeso con le unghie, estranei ai trucchi dei dirigenti, a ben vedere pure loro vittime. «Quelle dei francesi - spiega Del Piero - sono parole e basta, già al Mondiale il nostro calcio ha dato un’immagine diversa, ha dimostrato sul campo che è pulito. Questa vigilia mi ricorda quella della Germania: ci provocavano, poi filò tutto liscio. Speriamo che anche la Francia, con questo atteggiamento, faccia un autogol».
Lui è concentrato, pronto alla battaglia: «Sto bene fisicamente e psicologicamente e il ruolo non importa, mi esprimo meglio in attacco, ma se necessario, come è capitato, so adattarmi. Di sicuro non mi sento "uno" della rosa: io, nel rispetto delle situazioni, vengo sempre per giocare e non per fare numero». Tema da incastonare in una riflessione più ampia sul part-time, sulla «gestione» ventilata da Ranieri che lui non sottoscrive: «Lo farei se sbucassi da due-tre stagioni difficili, ma non è così e non mi pongo il problema». Disquisizioni che alimentano un antico dibattito, come il fugace cenno al contratto («Il mio futuro non è colorato, solo bianconero»), eppure oggi sfumano, oscurate da una partita senza eguali: «Giochiamo in casa, con un pubblico fantastico, e abbiamo mille motivazioni, a cominciare dal risultato: daremo il centodieci per cento». La partita senza eguali oscura le riflessioni di Alex, ma anche i racconti, le speranze e le denunce di Toni: la sua Germania libera e bella con le famigliole che rallegrano gli stadi, la voglia di recuperare («Sento bene la gamba, spero che sparisca il dolorino»), il dispiacere per i giovani in fuga: «Tutti quei soldi per Pato e poi si lascia scappare un talento come Rossi». Anche Toni interviene su Diarra, anche Toni fa spallucce ma promette una lezione: «Le provocazioni non ci interessano, risponderemo sul campo. Però fatico a capire, in Germania la partita fu corretta e la testata colpa di Zidane. Con Ribery, ci abbiamo anche scherzato su». Del Piero non ha scherzato con Trezeguet. «Ci siamo solo dati appuntamento a San Siro», ma ironizza lui sul ripensamento di Domenech: «S’è accorto che David è forte? Peccato. Però vediamo se lo fa giocare». Anche Aquilani, benedetto da Mexes («Merita l’azzurro, spero solo non ci faccia gol»), stenta a spiegare l’astio francese: «Non siamo né truffatori, né imbroglioni: forse sono arrabbiati con noi per il Mondiale. Poco male, comunque: più provocano, più ci caricano».

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