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Ma mezzo pianeta non ci sarà 

Post n°41 pubblicato il 08 Febbraio 2006 da nem_o

Stavolta non è farina del mio sacco, ma è un sacco che qualcuno doveva svuotare

buona lettura

nilu

"Sono Giochi solo per i ricchi"

Ai Giochi è bello mischiare, confondersi, sorprendersi. Ma se i Giochi sono solo di qualcuno, come si fa? Questa è l'accusa: il mondo gioca sempre con i soliti bambini, con quelli che a tre anni hanno già gli sci ai piedi. E gli altri? Zitti, e a casa, soprattutto i neri. Vietato bussare alle porte olimpiche, proibito chiedere: e io? Ai Giochi estivi, 202 paesi. Ai Giochi invernali, 85. Due continenti e mezzo scomparsi, i cerchi perdono pezzi, lingue, diversità. Kwame Nkrumah-Acheampong, nato a Glasgow, ma del Ghana, detto il Leopardo delle nevi, si è migliorato, ma a Torino non ci sarà. Gli standard olimpici sono troppi alti. E lui ha dovuto fare tutto da solo: trovare soldi, imparare, allenarsi. Ha fatto passi avanti, abbassato il suo handicap da 1.000 a 212, ma non è bastato.
Il guaio è che per il resto del mondo non basta mai. Lamine Gueyé, 45 anni, nato a Dakar, presidente della federsci senegalese è infuriato. "Il Cio continua a dire bugie. Non c'è universalità in questi Giochi, trattatasi solo di un gruppo di paesi ricchi che vogliono divertirsi d'inverno. Un po' poco, come principio di rappresentanza internazionale. Il Cio guadagna 3.5 milioni dollari al giorno, quando ho chiesto un aiuto per il mio atleta mi hanno dato 6 mila euro. Con questa cifra quando mai noi africani riusciremo ad essere competitivi?".

Scusi, Gueyé, ma lei da dove esce? "Mio nonno è stato il primo avvocato nero che l'Africa abbia avuto. Alla sua morte ero così irrequieto che mi hanno mandato in collegio a Vilar in Svizzera, avevo 8 anni, un giorno a dicembre ho visto tutto bianco, era la neve, sono uscito a toccarla e mi sono raffreddato. Però ho voluto provare gli sci, sono rimasto folgorato. Sono andato a vivere a Parigi con mia madre, fotomodella, e lì dai 12 ai 18 anni ho continuato a cercare la neve. Visto che in Senegal non esisteva una struttura, mi sono dato da fare e nel '79 ho creato la federazione dello sci. Mi sono allenato con i francesi e nell'83 con la squadra italiana, a San Sicario in una libera sono caduto a 130 all'ora contro una balla di fieno, ho perso la memoria per tre giorni e mi sono lussato la spalla. Ho partecipato come primo africano ai Giochi di Serajevo, poi sono stato anche ad Albertville".
E allora? "Dal '92 tutto è cambiato. Prima i Giochi erano di tutti e con tutti. Si parlava arabo, inglese, brasiliano, spagnolo, ora invece solo inglese, francese, austriaco. Alla partenza del gigante una volta eravamo 133, ora meno di 70. Il mondo si è ristretto, a noi non ci vogliono, non hanno voglia di aspettarci. Hanno introdotto criteri d'ammissione elevati proprio per escluderci. In realtà a loro il vecchio mondo basta. Ho detto al Cio: datemi borse di studio decenti e dall'Africa tirerò fuori campioni. Niente, ci boicottano. Il Senegal a Torino è presente con un iscritto, Leyti Seck, non ci vogliono però far passare due dirigenti e un allenatore. Dicono che sono troppi, che è finito il tempo del folklore. Più Africa per loro significa solo perdita di tempo, non guadagnare qualcuno che in futuro potrà essere competitivo".

Il bello dello sport è che strizza, mischia, tradizione e innovazione. E fa sognare a tutti una prima pagina, anche ai miserabili della classifica. Ai mondiali di atletica di Edmonton tutti si erano messi a ridere davanti ad un ciccione samoamo di nome Trevor Misapeka. Anche lui, privo di sponsor, era arrivato in Canada in auto guidando dalla California. Doveva gareggiate nel peso, invece finì nei cento. La ciccia di Trevor però non entrava nei blocchi, lui stesso non sapeva se sarebbe riuscito ad alzarsi. "Mi domandavo se avessero sparato o urlato solo: go. La mia più grande preoccupazione era quella di non finire subito a faccia in giù". Corse, per modo di dire, in 14''28. Suo padre che aveva un bar sulla West Coast disse: "L'ultima volta che l'ho visto andare così veloce è stata verso il frigo".
E allora? "Dal '92 tutto è cambiato. Prima i Giochi erano di tutti e con tutti. Si parlava arabo, inglese, brasiliano, spagnolo, ora invece solo inglese, francese, austriaco. Alla partenza del gigante una volta eravamo 133, ora meno di 70. Il mondo si è ristretto, a noi non ci vogliono, non hanno voglia di aspettarci. Hanno introdotto criteri d'ammissione elevati proprio per escluderci. In realtà a loro il vecchio mondo basta. Ho detto al Cio: datemi borse di studio decenti e dall'Africa tirerò fuori campioni. Niente, ci boicottano. Il Senegal a Torino è presente con un iscritto, Leyti Seck, non ci vogliono però far passare due dirigenti e un allenatore. Dicono che sono troppi, che è finito il tempo del folklore. Più Africa per loro significa solo perdita di tempo, non guadagnare qualcuno che in futuro potrà essere competitivo".

Il bello dello sport è che strizza, mischia, tradizione e innovazione. E fa sognare a tutti una prima pagina, anche ai miserabili della classifica. Ai mondiali di atletica di Edmonton tutti si erano messi a ridere davanti ad un ciccione samoamo di nome Trevor Misapeka. Anche lui, privo di sponsor, era arrivato in Canada in auto guidando dalla California. Doveva gareggiate nel peso, invece finì nei cento. La ciccia di Trevor però non entrava nei blocchi, lui stesso non sapeva se sarebbe riuscito ad alzarsi. "Mi domandavo se avessero sparato o urlato solo: go. La mia più grande preoccupazione era quella di non finire subito a faccia in giù". Corse, per modo di dire, in 14''28. Suo padre che aveva un bar sulla West Coast disse: "L'ultima volta che l'ho visto andare così veloce è stata verso il frigo".

(8 febbraio 2006)

EMANUELA AUDISIO da Repubblica

 
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