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parte terza

Post n°174 pubblicato il 10 Settembre 2010 da nem_o

L'incontro con Sorella Chiara (parte terza)

Pomeriggio.

Caldo infernale.

Il viaggio è finito.

Non resta che un’ultima cosa da fare.

In certo qual modo era stata lasciata per ultima, un po’ per il timore di andare e “rovinarsi” il viaggio con un momento troppo forte, un po’ per pigrizia.

Ma era l’ora di Sorella Chiara.

Acchiappato un taxi, si parte in direzione della “Bethlehem House” delle Missionaries of Charity. Il taxista, come prevedibile non ha idea di dove andare, benché gli abbia dato l’indirizzo.

Vaghiamo per il quartiere di Nork Marash, su una collina adiacente al centro, cerco di far capire che cerco delle monache, un passante capisce e infine mi lascia davanti al portone di un anonimo edificio.

Sul campanello leggo “Bethlehem House”, suono, entro nel portone e sulla sinistra una scala mi conduce ad un ingresso e a una scarpiera. Un po’ come negli ingressi dei rifugi alpini.

Mi accomodo in attesa, le sorelle sono impegnate in preghiera.

Dopo pochi minuti arriva lei.

E’ sorpresa di vedermi, non pensava che sarei realmente passato.

E’ sicuramente opera della Provvidenza mi fa notare più volte.

Scambiamo qualche parola bevendo un bicchiere d’acqua.

Sono un po’ impacciato, vorrei dire mille cose, ma non riesco a dirle. Mi limito a qualche accenno al mio viaggio e a chiederle qualcosa sulla sua storia. Vorrei ringraziarla per quello che fa. Non solo per i bimbi di Yerevan, ma per tutta l’umanità. Persone come sorella Chiara fanno bene al mondo, danno la speranza che il bene esista ancora, che il male non ci travolgerà.

Alla fine non dico nulla di tutto ciò, la ringrazio e basta.

Spero capisca anche se mi rendo conto che non ha bisogno della mia comprensione per andare avanti a fare quello che fa.

Mi accompagna a fare un giro per la casa dopo aver sostato per qualche istante in silenzio nella Cappella.

Mi fa posare le scarpe e mi da un paio di ciabatte dalla scarpiera dell’entrata. Capirò poi che non è solo un luogo di animazione per bambini ma una specie di ospedale, si entra dunque con scarpe pulite.

La casa accoglie bimbi rifiutati dai genitori, bimbi che hanno gravi handicap e a volte scarsa possibilità di sopravvivenza. I genitori non li accettano, li abbandonano negli ospedali.

La casa si sviluppa su due piani. Al piano terra ci sono i bambini più grandi (5-6 anni), al primo i più piccoli e i più gravi.

Su una parete le foto degli angeli, i bimbi che non ce l’hanno fatta.

Mi dice sorella Chiara che in questo momento non ci sono bimbi gravissimi. Per fortuna, penso io. Già questi mi lasciano senza parole.

Torniamo giù passando per il cortile, un’area tenuta in ordine da volontari, anche italiani, che vengono qui tutti gli anni.

Sono un po’ turbato ma felice.

Il libro che leggevo aveva messo in cattiva luce l’operato delle Suore di Madre Teresa durante il terremoto. Sembrava che a Spitak dispensassero solo medagliette e preghiere.

Qui invece vedo che danno speranza.

E soprattutto non a parole, ma con i fatti.

Ci salutiamo, mi dona due medagliette, una per me e una per Vanessa.

Esco da quest’oasi di umanità e mi rituffo nel caldo del pomeriggio armeno.

Felice di aver realmente finito il mio viaggio.

 

 
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parte seconda

Post n°173 pubblicato il 22 Luglio 2010 da nem_o

L'incontro con Sorella Chiara (parte seconda)

Mancavano ancora due cose: la visita alla Santa Sede di Echmiadzin e la visita alla casa delle Sorelle di Madre Teresa.

Di buon mattino si era incamminato verso la fermata della marshrutka per Echmiadzin in compagnia di Martin, fotografo svedese conosciuto giusto una settimana prima in un cafè di Stepanakert, nel Karaback.

Un breve corsa, stavolta seduti comodamente, e il solito calore quasi insopportabile li accolse nella Santa Sede di Echmiadzin.

Oltre a loro tanti, troppi, turisti.

Era la prima volta che si trovava costretto a un tale bagno di folla.

Sin d’ora era sempre stato solo. O al massimo in due o tre viaggiatori.

Mai vagonate di variopinti turisti sul torpedone.

La solita parata di macchine fotografiche di ultimo modello e i soliti parapiglia di chi vuol fotografare tutto e subito. Martin, da vero professionista, in una simile occasione non tira neanche fuori la sua nikon.

Ormai si è lì e la messa della tradizione armena sembra interessante.

Ai due lati del celebrante uno stuolo di sacerdoti, almeno 20 per lato, intonano canti per rispondere al salmodiare del sacerdote all’altare. Sempre con le spalle rivolte ai fedeli e lo sguardo rivolto all’altare. Sembra una messa preconciliare, pensa tra se e se. Si, ma di quale concilio? Perché dal Concilio di Nicea in poi gli armeni hanno disertato praticamente tutti i Concili! Una messa pre-pre-conciliare insomma.

Sarebbe anche una buona occasione di raccoglimento mistico se non fosse per l’incessante via vai di turisti che spintonano per arrivare in prima fila per accaparrarsi l’inquadratura migliore.

Il coro dei sacerdoti, il coro femminile, il salmodiare del sacerdote che celebra la Messa, tutto si perde in una sorta di recita ad uso e consumo del pubblico non pagante.

Ad un certo punto, in ordinata fila i sacerdoti escono e si incamminano verso la residenza del Catolicos e al suono delle campane, lo scortano fino alla Chiesa.

Sua Santità Karekin II; Catolicos di tutti gli armeni impartisce benedizioni ai fedeli che si accalcano intorno a lui al suo passaggio.

Si rientra in Chiesa, ormai sono due ore e il caldo è forte e si respira a fatica.

Basta!

Il troppo è troppo.

Di corsa su un autobus in compagnia di una famiglia iraniana.

Ancora una volta si parla bene dell’Iran

Martin ci è stato, come quasi tutti quelli incontrati in questo viaggio.

 

 
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Parte prima

Post n°172 pubblicato il 15 Luglio 2010 da nem_o
Foto di nem_o

L'incontro con Sorella Chiara (parte prima)

 

La notte l’aveva passata a vegliare tra i sudori.

Un po’ per il caldo e un po’ per la vodka il mattino faticava ad arrivare.

A un certo punto si era svegliato a metà della notte con la gola così secca come non la aveva mai avuta. E come spesso succede in tali frangenti neanche una bottiglia d’acqua nei paraggi. Vabbè si resiste fino al mattino.

Balle, stavolta era disposto anche a bere dal rubinetto della camera di quello sperduto hotel sulle colline di Yerevan.

Niente acqua, accidenti. L’acqua, come aveva imparato il giorno prima nel cadente hotel sovietico, va e viene. E in questo momento non c’era.

Non si va avanti così.

La decisione è presa. Dal momento che era l’unico ospite dell’hotel (come tra l’altro lo era stato il giorno prima, e quello prima e quello prima ancora …), si poteva ipotizzare di scendere in silenzio, avvicinarsi alle vetrinette frigo sperando nella loro non chiusura e sgraffignare una bottiglia d’acqua.

Detto fatto, il suo primo furto di una bottiglietta d’acqua era compiuto: Sabato 10 luglio 2010,Garni, Armenia.

L’operazione illegale lo aveva fatto sopravvivere fino al mattino, quando al primo negozietto si era comprato un succo di frutta, 1 litro d’acqua e 1 kg del miglior prodotta di questa terra, gli albicocchi.

Di li, saltare su una marshrutka e ritornare a Yerevan, era questione di 45 minuti.

Un attimo nell’economia di un viaggio.

Un attimo infinito in quell’occasione.

Almeno 30 persone amassate l’una sull’altra, con lo zaino che teneva il posto di una persona ad attirare sguardi di rimprovero. In piedi, leggermente piegato sulle ginocchia perché la marshrutka era ben più bassa di lui, con il gomito sinistro appoggiato sulla nuca di un anziano e la mano destra che teneva tutto il corpo in equilibrio aggrappata al sedile davanti, i minuti passavano lentissimi.

Li contava ad uno a uno come se servisse a far passare più veloce il tempo in quella posizione non naturale. E invece il tempo scorreva forse più lentamente del suo naturale scorrere.

L’arrivo a Yerevan fu una liberazione.

Era però felice.

Quel giorno sarebbe andato a trovare sorella Chiara.

Acchiappato il primo taxi irregolare, una vecchissima Bmw di quelle che si vedevano in Italia una cinquantina di anni fa e che se non fosse per il logo impresso sul cofano arrugginito la si poteva tranquillamente scambiare per un Trabant, nel giro di mezzora era all’Envoy Hotel.

Come il primo giorno

Il cerchio si era chiuso. Il viaggio finito.

Mancavano ancora due cose: la visita alla Santa Sede di Echmiadzin e la visita alla casa delle Sorelle di Madre Teresa.

 

 
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... to tired to write ...

Post n°171 pubblicato il 11 Luglio 2010 da nem_o
Foto di nem_o

Finale mondiale alternativa

Sono abbastanza cotto e non solo dal sole.

Reggere i ritmi di Martin e soprattutto di matthew e' impossibile, ma soprattutto non ci voglio neanche provare.

ieri sera Matthew ha raggiunto la ragguardevole cfra di 15 medie e qualche vodka qua e la ... mi ha raccontato che qualche anno fa ha passato 40 giorni consentutivi in Nicaragua drank every days! .. lui fa viaggi di minimo 1 anno ...

Stamattina sveglia quasi di buon ora e con Martin, il fotografo free lance svedese, siamo andati a Echmiadzin, la sede del "papa" della chiesa armena.

La cerimonia era molto suggestiva e quasi tutta cantata, con il celebrante che volgeva costantemente la schiena ai fedeli. Mi e' venuto di pensare a una messa pre conciliare poi ho realizzato che la chiesa armena forse li ha saltati tutti i concilii ...

Dopo due ore siamo andati via, sembrava uno spettacolo per turisti.

Dopo 15 giorni di solitudine o al massimo 2o 3 turisti, questo bagno di turismo di massa non ci si addiceva.

Ritorniamo a Yerevan e sul bus incontriamo una simpatica famiglia iraniana. Tutti i bagpakers che ho incontrato o sono stati in Iran o ci stanno andando. Dicono che e' bellissimo e la gente e' cordialissima.

Io nutrito di luogho comuni sulla cattiveria islamica nutrivo un po' di dubbi e pensavo fosse difficile al limite dell'off limits girarci.

Sono mussulmani e hanno la bomba atomica.

Noi siamo cristiani e non ce l'abbiamo.

Saremo mica gelosi ...

Poi alla mia richiesta sul perche' non sono mai stati in europa il papa' mi dice che non accetta il fatto che gli vengano prese le impronte digitali al suo arrivo.

Al suo arrivo in un paese civile

Iran-Italia 1-0

 

 
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Un po' di aggiornamenti

Post n°170 pubblicato il 10 Luglio 2010 da nem_o
Foto di nem_o

Angeli e Demoni

Dopo Alaverdi e la Gola del Debed sono sceso a sud verso Yerevan. La zona intorno alla capitale si puo' tranquillamente visitare con gite giornaliere e reintro in citta' per la sera.

Cosi' fanno tutti i viaggi organizzati ... appunto ....

Mi sono fermato allora una notte a Ashtarak in un cadente albergo sovietico. Enorme Hall stile versione cccp dell'Overlook, due ascensori che hanno visto tempi migliori e ora sono irrimediabilmente fermi, tubature mezze divelte e arrugginite e soprattutto .... non anima viva!

Al terzo piano incontro quella che dovrebbe essere la custode, una signora che avra' il doppio degli anni dell'hotel, mi parla velocemente cercando si spiegarmi qualcosa che non capisco (capiro' poi che tentava di spiegarmi che l'acqua arriva solo due volte al giorno e per giunta 10 minuti). La camera e' (o meglio era ) signorile: televisione (senza antenna e quindi non si vede niente), frigo (rotto), tapezzeria che si intuisce tra le macchie. Le lenzuola che mi porta sono pero' profumate e fresche di bucato. Non e' male come sistemazione, sono convinto che in epoca sovietica sia stato un hotel di gran pregio.

Ora e' in rovina, come tutto quello che e' sovietico.

L'altro giorno su un altipiano in mezzo al nulla ho visto dapprima un aeroporto sovietico abbandonato e poi un'impressionante (proprio perche' sorta in mezzo al nulla) fabbrica di scarpe abbandonata. Scorie di quel grande impero che fu l'Unione Sovietica. Come tutti i paesi dell'ex Unione Sovietica, l'Armenia ha barattato la liberta' per un nuovo sitema di cui non sono ancora ben chiare le regole. L'unica cosa certa e' che le vecchie fabbriche sono chiuse, l'ospedale ora si paga ma soprattutto la coca cola si trova ovunque.

Volevo fare un aggiornamento dei miei spostamenti e alla fime mi sono di nuovo perso nei miei pensieri.

Eravamo rimasti a Ashtark, torrida cittadina sulle colline intorno alla capitale (siamo a 40 min di marshrutka). Visita ai monasteri del circondario giusto per esaurire i miei doveri di turista e ritorno all'Overlook.

Stavolta pero' non e' stato tutto scontato, un incontro dara' un nuovo senso a questi ultimi giorni di viaggio.

Davanti al monastero di Saghmosavank vedo 4 angeli bianchi in lontananza. Mi avvicino, sono sorelle di Madre Teresa. La piu' giovane e' sorella Chiara, ha appena preso i voti ed e' alla sua prima esperienza di missione. Mi faccio dare l'indirizzo della casa di accoglienza che hanno a Yerevan. Ne' io, ne' lei pensiamo che ci rivedremo. E invece ... ma questa e' una'altra storia ... se ne parlera' forse piu' avanti.

Da Ashtarak vado poi a Garni.

Mi fermo a dormire li' nonostante la vicinanza alla capitale. L'albergo e' un po' piu' lussuoso della norma, la vista spazia sull'infinito delle montagne che si elevano dalla gola che sorge 150 metri sotto la terrazza dell'hotel. Mai un hotel ha avuto miglior vista.
Al pomeriggio esaurisco i monasteri da vedere (con relativo incontro con una coppia veneziana in moto) e poi cerco di raggiungere un monastero in cima a una montagna al di la' della gola. Scendo in fondo e mi incammino, dopo un 'ora desisto, fa troppo caldo, magari domani.

Poi la cena a base di vino e vodka con un gruppo di nuovi amici armeni mi fa dimenticare la voglia di ripredere la marcia il giorno dopo. Mangiano e bevono senza badare a spese. Dopo un po' scopro che sono tutti responsabili in diverso modo, del casino' Senator di Yerevan. Un'altro frutto dell'apertura all'occidente. Donne e gioco, la nuova frontiera dei ricchi dell'est.

Quale differenza dalla semplicita' e dalla gioia di vivere di sorella Chiara.

 

 
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Happy family

Post n°169 pubblicato il 08 Luglio 2010 da nem_o
Foto di nem_o

Happy sad family

Cinque ore seduto a un tavolino davanti all'hotel di Sanahin. 

Birra, vodka, coca (cola!) e sigarette.

Tutta la figliolanza di Anna Maria Iranush mi passa davanti. E con loro un pezzo della loro storia.

E' un giorno di festa, e' tornatata la figlia che fa il medico a Yerevan. Il marito lavora nel Palazzo Presidenziale e si occupa di diritto. Hanno con se' due figli, Arthur e Arman, di 6 anni uno, neonato l'altro. Il papa' mi parla con orgoglio della sua nuova auto, una Toyota Corolla e mi fa vedere la sua maglietta griffata ferrari, 60 euro gli e' costata. Una famiglia che sta bene insomma, poi andranno in vacanza sul mar nero. Anna Maria e figlia sono stati a suo tempo un po' di anni in grecia. Armeni di una piccola dispora.

Altra storia quella di Armin, lui in grecia non ci era andato. Ora e' qui che fa il "director" dell'hotel, in pratica pero' fa il taxista. Ha l'aria dell'uomo rude che ha visto molte cose, il carattere poco accomodante con il turista. Ma in fondo e' di animo buono. Penso patisca il confronto con la sorella ricca. La moglie lavora nel magazina (negozietto) attaccato all'hotel. Anche lui ha due figli. Due figli di campagna che giocano con il cuginetto di citta'.

Anna maria, la mamma, la vera director di tutto arriva solo nel pomeriggio. Ci sa fare con i turisti, offre gelato, vodka e caffe'.

Con Armin invece e' tutto un contrattare.

Al tavolo di fianco un ingegnere bielorusso di Misk con famiglia, beve vino e non vodka. La coasa mi sorprende ma domani deve lavorare.

Sollo alla fine vedo un tatuaggio sul braccio di Armin: esercito sovietico.

Lui non e' stato in Grecia.

E' stato sul fronte afgano allorquando i russi sono stati cacciati a calci in culo, ha combattuto, forse (anzi sicuramente) ucciso uomini.

E allora capisco tante cose di lui.

La guerra, ancora lei.

 

 

 

 
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Birra calda e denti d'oro

Post n°168 pubblicato il 07 Luglio 2010 da nem_o

Birra calda e denti d'oro.

Una giovane ragazza con tutti identi d'oro mi serve una Kilikia bollente.

In lontananza i fumi della ciminiera della miniera di rame ammorbano l'aria.

Questo e' Alaverdi, ultimo avamposto post sovietico in terra armena prima della Georgia.

Sono in fondo alla gola di Debed, 250 metri sopra di me si aprono verdissimi altipiani coltivati a fieno. Al limite del dirupo sorgono alcuni tra i migliori monasteri armeni.

Molti restaurati, altri no. Sono in quelle condizioni pietose che gli donano maggior fascino ma che accorciano la loro vita.

A Kabayr ci si arriva percorrendo un sentierino nel bosco. Prima si passa la ferrovia che collega Yerevan a Tbilisi, poi l'omonimo villagio (si e no 5 case) e poi si tira su dritti. Sono solo un centinaio di metri di dislivello ma il caldo e' tremendo.

Improvvisamente in mezzo alla vegetazione compare la Chiesa semi diroccata. Chi e' stato ad Angkor puo' comprendere quanto possa fare la vegetazione agli antichi siti.

Il monastero a' scoperchiato, i suoi pezzi sono saprsi intorno ingoiati dalla vegetazione e ormai tane per lucertole. Fregi e arcate di antiche finestre giacciono abbandonati tra la chiesa e quello che doveva essere il refettorio. Entro in esso e un rumore mi spinge indietro. Appena gli occhi si abituano al buio realizzo: tre vacche ruminano beate tra i loro escrementi. E' il loro ricovero abituale.

Torno alla chiesa a cielo aperto e mi accorgo che incredibilmente alcuni affreschi dell'abside sono ancora ben conservati protetti da un'improvvisate tettoia di telo di nylon ormai sbrindellato.

Il volto di Cristo in alto domina quelli che fosre erano gli apostoli. Non sono 12, forse gli affreschi si sono persi o forse sono ritratti di Katolikos della chiesa armena.

Sono solo e godo della mia solitudine.

Felice di aver posticipato il gruppo di Avventure nel Mondo che nei giorni passati si sono rifiutati di darmi un passaggio.

Loro corrono, devono vedere tutto nel minor tempo possibile.

Io no, stanotte dormiro' ancora qui.

 

 
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Nauseabondo fetore

Post n°167 pubblicato il 03 Luglio 2010 da nem_o

Nauseabondo fetore

Oggi per la prima volta ho sentito l'odore della guerra

Due posti cosi' diversi ma cosi' uguali.

Di Agdam non rimane piu' niente. Bricioli di mura e rottami arrugginiti. Niente che possa ancora servire a qualcosa.

Centomila abitanti un vent'anni fa, una citta' fantasma oggi.

Fu occupata dagli armeni nel 1994, saccheggiata e depredata. L'opera fu poi completata  da sciacalli vari che hanno preso tutto il prendibile.

Le autorita' non ne autorizzano la visita. La Guida dice che qualche taxista intraprendente corre il rischio di portarti li'. A me sembra la norma andarci. Il rischio forse una scusa dei taxisti per tirare su il prezzo.Il mio e' frecciato come un razzo intorno alla citta' per poi inoltrarsi in quella che forse era la via principale fino alla moschea i cui due minareti sono l'unica cosa rimasta in piedi. Il resto e' desolazione, cronaca da dopo bomba o dopo terremoto. Aride pietre che vagamente ricordano la struttura di una casa, brandelli di mura di palazzi, ferro arrugginito, qualche carrarmato abbandonato.

Non comprendo perche' ne vietino la visita.

Andrebbe incoraggiata, dovrebbero portarci i bambini delle scuole a vedere dal vivo cosa rimane di una guerra. Di solito si portano a vedere i grandi monumenti del passato, quelli dei vincitori che resistono ai secoli . Ma quelli che non resistono, le case della gente, quelle bisogna vederle subito. Prima che la storia se le inghiotta.

Quelle sono dimanticate subito, persi nei deliri di pace e civilta' portate dai vincitori di turno .... si ... la pax romana  ...

Diversa, anzi oiu' devastante l'esperienza di Shushi.

Se ad Agdam erano solo pietre e silenzio, qui erano edifici sventrati e in piedi e fantasmi. I pochi abitanti rimasti si aggirano come zombi tra le macerie e cercano di ricostruire la citta.

Shushi, 600 metri sopra Stepanakert, era occupata dagli azeri che cannoneggiavano la capitale giu' in bassi. Poi, il 9 maggio 1992, le postazioni furono conquistate da un assalto notturno degli armeni.

La citta' orea e' un disastro, le strade sono distrutte, le case in maggioranza anche.

La chiesa, simbolo dei vincitori e' stata ricostruita. La moschea, ricordo degli azeri, no.

Le case e i palazzi sono quasi tutti in piedi, ma dentro sono sventrati. Le finestre danno sul nulla o sul cielo azzurro. Ovunque ti giri il panorama non cambia.

La tristezza prende il sopravvento e quell'odore di guerra di cui si diceva pocanzi diventa fetore.

Fetore di morte.

Della ragione principalmente.

 

 
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NAGORNO kARABCK

Post n°166 pubblicato il 02 Luglio 2010 da nem_o

NAGORNO KARABACK

Difficile condensare in poche righe le 7 ore di viaggio di oggi da Yerevan a Stepanakert.

Un paesaggio in continua trasformazione mi ha accompagnato sin qui.

Dalle pianure coltivate a frutteti, mais e grano (un po' come la provincia granda per intenderci ma un tantino piu' secca) ai primi contrafforti montuosi, brulli e secchi come non mai.

Dpo aver costeggiato per un po' la ferrovia, la abbondiamo quando lei piega a sud verso l'Iran. Noi pieghiamo a est lasciandoci l'Ararat alle spalle.

La strada sale sempre piu' fino a entrare in un altipiano secco. Scendendo un fiumiciattole rinverdisce dapprima le sue sponde e poi l'intera valle.

I villaggi verdi, vere e proprie oasi in mezzo al scco delle colline, lasciano il posto a montagne verdi battute dai venti. In lontananza qualche chiazza di neve. Per intenderci un paesaggio simile a quello che si vede sul pianoro del Colle della Maddalena dalle nostre parti.

Raggiunto il Varatan Pass (2344 m.) siamo ormai nella regione di Vayots Dzor (che vuol dire gola delle Disgrazie)e scendiamo vesro un grande lago che costeggiamo per intero.

Prima pero' per strada innuemerevoli banchetti improvvisati vendono bottilglie di plastica piene di un liquido scuro. Non siamo in asia, non e' quindi benzina, bensi' vino. La zona di Aremi e' famosa per la sua produzione.

La strada riprende a salire, passiamo il confine dove, unico starniero della marshrutka sono costretto a scendere e mostrare i documenti, e poi inizia la picchiata su Stepanakert.

La citta' sorge in una conca a circa 900 m., il caldo e' asfissiante.

Memorie tangibili della guerra non se ne vedono molte, anche se e' finita da appena 14 anni. Bisognerebbe leggere nei cuori della gente, forse li' ci sarebbe altro da leggere.

All'uscita da quel blocco di cemento che e' la guest house tre bambini mi corrono incontro. Non erano ancora nati nel periodo della guerra.

Il loro sorriso il miglio augurio per questa terra dimenticata dalla storia.

 
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Strano animale

Post n°165 pubblicato il 01 Luglio 2010 da nem_o

Strano animale.

Il Battesimo e' veloce, un quarto d'ora e tutti via.

La chiesa di Khor Virap rimane vuota nel suo silenzio, un raggio di sole arriva dall'alto, le candele bruciano nelle due piccole navate ai lati dell'ingresso. Un millenio di chiesa armena e' racchiuso in questi 20 minuti che trascorro tra queste mura secolari.

Fuori solo piu' il sacerdote di rito armeno e il monte Ararat che domina la pianura e lo sperone roccioso su cui sorge questo monastero.

L'Ararat, simbolo dell'Armenia, per un capriccio storico e' in territorio turco.

Lassu' la neve eterna, qui un caldo infernale, frutto stavolta di un capriccio della natura di difficile comprensione per noi che viviamo anche alla base di vette innevate ma di cui beneficiamo della frescura.

Al pomeriggio vedo la testimonianza di un altro capriccio che si perpetra di quando esiste l'umanita'. Al museo del Genocidio vedo la distruzione di due milleni di storia armena. Quando muore l'uomo muore anche la storia dell'umanita'.

In me lo stesso senso di impotenza avvertito a Dachau e nel carcere di Tuel Seng a Phon Phen. Lo smarrimento del senno l'unica spiegazione pausibile che non giustifica niente e nessuno.

L'uomo e' capace di costruzioni millenarie come quella del monastero di Khor Virap e contemporaneamente di genocidi come quello armeno.

Strano animale.

Non ce ne sono altri cosi'  in natura

Per fortuna.

 
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Yerevan, la fornace

Post n°164 pubblicato il 30 Giugno 2010 da nem_o

Yerevan, la Fornace

E alla fine il grande caldo e' arrivato, ma non a Cuneo (o almeno non so).

Yerevan mi ha accolto in maniera non del tutto simpatica.

Niente di grave ma una lunga mattina inconcludente mi ha un po' esasperato.

Esco dall'aeroporto alle 5 e mezza, e' ancora buio, il posto e' squallido e ci sono solo taxisti. Ne acchiappo uno e mi faccio portare in centro.

Il primo impatto con questa ex repubblica sovietica e' dato da una interminabile fila di casino', tutte luci colorate e neon che fanno pensare a una sorta di Las Vegas (de noiarti) in miniatura. Siamo veramenete nella terrra di mezzo tra oriente e occidente. In questa fila di locali vedo fondersi il peggio del cattivo gusto orientale con il peggio del nuovo cattivo gusto dei nuovi ricchi dell'ex repubblica sovietica.

Mi sfilano velocemente davanti agli occhi e non  ancora finito le mie riflessioni che sono gia' nella piazza della Repubblica. Maestosa piazza sovietica che fonde lo stile sovietico a quello armeno. E' bella e a quest'ora del mattino, completamente deserta sembra ancora piu' grande. Albeggia, bevo una fanta e mi incammino fidcioso.

La Lonely Planet non po' sbagliare.

E infatti... giro con lo zaino come uno zombie (l'ultima notte l'ho passata in bianco) e dopo due ore mi arrendo. Gli alberhi a basso prezzo che cercavo non ci sono.

Trovo infine un'ostello e per le 11 mi danno una camera, siamo in 4 e non so ancora adesso che sono gli altri.

Ma non ho tempo da perdere, devo trovare l'ambasciata del Karaback. Il taxista, nonostante l'indirizzo scritto, mi porta dall'altra parte della citta'. Ormai ho la certezza di arrivare a ufficio chiuso. Ma finalmente le cose iniziano a girare per il verso giusto.

L'ambasciata e' aperta  e dopo un mini interrogatorio, la madama mi fa compilare un modulo e si fa lasciare il passaporto. Oggi passero' a ritirarlo.

Al ritorno opto per il minibus, anzi per la marshrutka, che e' un minibus, solo piu' scassato.

Fuori fa un caldo infernale.

Tra un po' mi avventuro di nuovo nella fornace con in testa un pensiero ricorrente: perche' nello zaino ho il pile e il goretex ... perche'

 

 

 

 
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On the road again

Post n°163 pubblicato il 24 Giugno 2010 da nem_o

On the road again

direi che sto per partire ...
da oggi sono on the road per lavoro sabato e domenica inclusi, e pure lunedì ...
poi lunedì sera cercherò di fare lo zaino e martedì tra treno e bus vado a Malpensa
Volo per Vienna e poi per Yerevan
Questo è quanto ho programmato, il resto verrà ...
da domani niente pc fino a Yerevan
Wink

“Viaggiare significa vivere fra persone sconosciute, fra le loro puzze e le loro profumazioni acri, mangiare i loro cibi, ascoltare i loro drammi, tollerare le loro opinioni non avendo magari alcuna lingua in comune, essere sempre in movimento verso destinazioni incerte, mettere insieme itinerari che cambiano continuamente, dormire da soli, inventarsi il viaggio ogni giorno, rabberciare una serie di piccole abitudini per conservare la calma e il senso della ragione, saper riempire le giornate, sgombrare la mente dai pregiudizi, evitare guai e pericoli, prendere appunti su ogni cosa, riflettere su quel che si sta facendo”
Paul Theroux

 
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Quanta strada nei miei sandali ...

Post n°162 pubblicato il 23 Giugno 2010 da nem_o

Funzionerà ancora?

E' così tanto che non scrivo qui sopra che ho smarrito le modalità di farlo.

Questo stupido e banale incipit per dire che sto per ripartire.

Dopo il viaggio in Thailandia di gennaio con Vanessa stavolta parto nuovamente da solo.

Avrò forse più tempo per scrivere.

Sarà un viaggio diverso.

Per quanto possa sembrare assurdo ancora meno organizzato della volta scorsa.

La meta? Il Nagorno Karaback, se scopro come si fa ad entrarci.

E poi l'Armenia

Li ci entrerò sicuramente perchè il mio volo mi porterà direttamente a Yerevan mercoledì prossimo.

Poi si vedrà.....

 
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Ko Thao

Post n°161 pubblicato il 19 Gennaio 2010 da nem_o

Un'isola incontaminata dove le palme vanno a fondersi con l'acqua accarezzando conle loro fronde spiagge di sabbia bianca.

Tutto intorno il silenzio della natura che va a perdesi nell'intrico della foresta che sale fino in cima alle montagne interne.

Questa e l'isola di Ko Thao.

Non e'vero, questa era Ko Thao.

In pochi anni (neanche la Lonely Planet e' riuscita a stare dietro a questa veloce trasformazione) l'isola e' cambiata.

Ci sono ancora baiette tranquille, la natura e' ancora splendida ma .... i villaggetti di bungalow nascono ogni giorno, musica a palla nei centri maggiori, quelli che prima erano piccoli vilaggi di pescatori, motorini che sfrecciano ovunque ....

Gita in barca per snorkelling, giornata in motorino alla ricerca di spiagge tranquille, l'incontro (incredibile a dirsi) con un vecchio compagno di liceo e domani e' gia' l'ora di partire ... un nuovo giorno completo di viaggio, la voglia di muoversi ....

 

 

 
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County Fair

Post n°160 pubblicato il 16 Gennaio 2010 da nem_o

Molte cose da raccontare

molte cose vissute nei giorni passati per condensarle in poche righe.

Siamo passati dal delirio frutto di (presunta) onnipotenza umana di Dubai alla tranquilla vita di provincia thailandese.  Nessuno stop a Bangkok ma partenza diretta per il sud: Petchaburi prima e Chumphon oggi.

Un po di turisti oggi perche siamo vicini all'umbarco per Ko Tao, nessun turista ieri quandio abbiamo girato tutto il giorni in motorino per la cittadina e per i suoi dintorni per finire  poi la sera in una autentica festa di paese.

Giostre, bancarelle con ogni sorta di cibarie, palloni ripieni di bimbi in una piscinotta improvvisata, un ottovolante che per quanto riguarda la sicurezza, faceva paura solo a guardarlo, un tombolata, tiri a segno, macchinine telecomandate e la gioia sui volti dei bambini.   Mancava solo la macchina per tirare i pugni in cui i bulli di paese (da noi) davano prova della loro virilita'.

Anche i paesini apparentemente insignificanti hanno sempre qualcosa da insegnare a chi vuole imparare e conoscere. I primi giorni di questo viaggio sono stati belli per il contatto con la realta'locale.

I prossimi lo saranno per la natura, domani mattina partenza all'alba per l'isola di Ko Tao. Li i turistici saranno, anche se abbiamo scelto una tra le isole piu tranquille.

vedremo ....

 

 

 
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thailandia

Post n°159 pubblicato il 11 Gennaio 2010 da nem_o

sono in partenza

ho voglia di andare

non è vero

siamo in partenza

e abbiamo voglia di andare

 

 
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giaccone

Post n°158 pubblicato il 23 Ottobre 2009 da nem_o

Stefano Giaccone - La vena d'oro

Non  mi interessa sapere chi guidava.

Stasera che ho anche bevuto un goccetto di più fatico a rileggere il libro e a cercare di capire chi faceva cosa.

Ma non è questo che importa.

Almeno non a me.

Importa sapere che ho letto di una vita che è la vita che non ho mai vissuto.

Chiuso nelle paure, nei miei bisogni piccolo-borghesi, nella mia voglia di cambiare il mondo attraverso un sistema educativo forse sbagliato a posteriori ma che allora sembrava l’unico vero (e forse lo è ancora ora, forse ero io inadeguato a quel sistema), ho vissuto la mia vita diversa da quella che qui viene descritta. E che sento comunque mia, almeno per l’amarezza della disillusione o per il sentirmi incompiuto in tutto.

Vite diverse che portano alle medesime riflessioni.

Conta di più quel che è successo prima o la comunanza delle conclusioni?

Non so dare risposta.

Mi colpisce però che “senza annunciarlo pubblicamente, ho finito poi per gettare la classica spugna”.

Tutti ci siamo passati, alcuni senza possibilità di redenzione, altri (pochi) con il riscatto dietro l’angolo. Siamo comunque la minoranza, i più non si pongono problemi e la spugna l’hanno gettata prima di nascere.

In Duccio ci ho visto i Franti come mi ha scritto Stefano sulla dedica, ci ho visto Stefano anche se non lo conosco e ci ho visto me stesso lungo le rive del Mekong laddove in Cina, il Mekong,  impara a diventare il grande fiume che è.

Si può andare a Ovest ma si può anche andare a Est.

Si deve comunque andare fino a trovare un luogo di bonaccia, di tregua dove poter guardare con distacco la vita passata.

“Amarezza, recriminazioni, consigli, moralità, tristezza: dietro di lui c’era di tutto, e davanti gli stava l’aspra ed estatica gioia del puro essere”

E’ questa la meta che Keruac vede per  Dean Moriarty, mi sembra questa la meta che insegue Duccio.

On The Road-La Vena d’Oro, un confronto azzardato? Non so, sarà una riflessione personale ma io ci ho trovato molto di Keruac qui dentro, per quanto poco mi ricordi di un libro letto vent’anni fa..

“Esci con tuo aquilone per farlo volare e si mette a piovere merda”.

L’amarezza è forte, il riscatto non sembra poter arrivare, un senso di tristezza pervade il libro in tutte le sue pieghe. Un periodo storico vissuto alla sua conclusione e per giunta dalla periferia, le cassette mai capite dei Franti, la necessità di essere comunque e sempre e nonostante tutto un bravo ragazzo, “il motivo per il quale, ad ogni passo compiuto verso una donna, io abbia sentito la necessità di farne uno nell’opposta direzione”, la perdita dell’odore dello stupore, la comune volontà (per strade diverse) “di ritardare l’ingresso nel mondo rispettabile del lavoro, della famiglia, dell’assimilazione”. Questo sono io, questo è anche Duccio.

Siamo soli in questo nostro cammino, o forse pensiamo di esserlo.

Duccio incontra molta gente nel suo viaggio verso il Portogallo, incontra nuovi amici a Peniche, anche nei momenti di massima solitudine ha un qualcuno con cui consumare un “pasto frugale”.

E nonostante tutto pensa che “il caso resti il nostro miglior compagno di viaggio, colui che conduce l’orchestra dei giorni, tenendosi sottovento per non farsi annusare”.

Duccio sembra finito ma trova la forza e la volontà di correre e di andare verso l’acqua “urlando come un folle tra i gabbiani”.

Mi piace questa immagine dell’uomo che nonostante tutto ha la forza di lanciarsi in avanti, anche là dove in avanti sembra non esserci nulla (Peniche è il paese più a occidente d’Europa) perché oltre al nulla ci può sempre essere un qualcosa ( le isole di Berlengas sono più a occidente del punto estremo dell’occidente).

Grazie Stefano per questa lezione di vita e per aver parlato anche di me pur senza conoscermi.

Ora i testi delle tue canzoni acquisiscono nuovi significati, ora si può guardare alla vita con un po’ più di ottimismo.

O almeno nel breve spazio della lettura del tuo libro.

“Il mare era appena tornato calmo, il frizzare della spuma si faceva via via più indistinto, quando mezzo miglio avanti alla prua l’abitatore abissale riemerse. Ma ora la balena s’era mutata in un branco di delfini, le groppe a ritmo, come nocche di un immenso pianista sottomarino”

 

 
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Inglorious Bastrad

Post n°157 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da nem_o

 

Inglorious Bastard

Ho sentito che non era un film tarantiniano.

Non è vero, è tarantiniano fino in fondo alle mutande .

Forse non nei dialoghi, se si eccettua quello iniziale.

Ma il plot narrativo è Tarantino allo stato puro.

Diversi episodi che vanno a convergere nel finale che riscrive la storia, le macchiette di Hitler e Goebbles (a dire il vero anche i personaggi reali erano tragiche macchiette), le situazioni surreali, la violenza come fatto ordinario, il sangue come quotidianità, la musica, lo stile che deve molto allo spaghetti western trasportato questa volta nella seconda guerra mondiale, la caratterizzazione dei personaggi, l’ironia graffiante, il totale spiazzamento dello spettatore.

E soprattutto il finale in cui la storia viene riscritta a uso e consumo del suo universo (forse ma non è detto) malato.

Non è fantapolitica, è Tarantino e basta.

Mai film (visto da me) aveva sovvertito così la Storia senza sconfinare nel ridicolo.

Era difficile pensare ad una conclusione. Nel corso della mia visione più di una volta sono stato portato a pensare che non poteva finire così.

E così invece è finito.

Tarantino è andato oltre alle mie aspettative, oltre alle aspettative di un qualunque appassionato di fanta-storia. Cronemberg nella Zona Morta riscriveva una storia mai esistita, non parlava di personaggi reali. Qui si parla di loro.

Ma forse questo non è la Storia, qui ci si muove in un universo parallelo.

Ancora una volta sono andato a scontrarmi con il multiverso.

Ma questa volta non era necessario capirlo.

Bastava lasciarsi immergere. 

 

 
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Come in un film

Post n°156 pubblicato il 08 Luglio 2009 da nem_o

Le tende montate in mezzo agli immensi altipiani del Gobi al riparo di una grande roccia cresciuta dal nulla in mezzo al nulla. Necessario riparo dai venti delle steppe, riparo amato dai cammelli ... le nostre tende galleggiano sui loro escrementi.

Ormai e' l'imbrunire, in lontananaza un puntino si materializza tra il verde delle colline.

Avanza verso noi, e' un cavallo al galoppo , anzi c'e anche un cavaliere.

Si avvicina alle nostre tende e smonta dal cavallino mongolo. E' un omone rivestito dal suo del tradizionale, con il tipico cappello mongolo e gli stivaloni da cavaliere.

Si siede con noi e dai meandri della sua palandrana tira fuori la sua fiaschetta di tabacco da fiuto, beve un goccio di vodka con noi, fuma una sigaretta e poi ritorna ad essere ingoiato dall'oscurita'.

Un sogno?

 
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Destinazione Mongolia

Post n°155 pubblicato il 29 Giugno 2009 da nem_o

 

Destinazione Mongolia

“In una delle sue pensèe più cupe, Pascal disse che la fonte di tutte le nostre sofferenze era l’incapacità di starcene tranquilli in una stanza” (Bruce Chatwin)

Non mi sento pronto.

Non sento l’urgenza di partire.

Mi stanno stretti questi viaggi in cui pensi già al ritorno nel momento in cui esci di casa per partire.

Gli spazi sconfinati della Mongolia mi suggeriscono l’idea di spazi infiniti nell’anima e di tempi di viaggio dilatati verso un orizzonte irraggiungibile.

Là vorrebbe tendere il mio desiderio di movimento, la vorrebbe condurmi il mio io irrequieto.

La mente vola, ma ai piedi sono attaccati dei pesi.

E’ solo un inutile sbatter d’ali, un po’ di piume svolazzanti e il peso della quotidianità aggravato dalla paura di spiccare realmente il volo.

Un altro viaggio finito ancora prima di partire.

 
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