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Gloria. Vasco Rossi. "Le pietre che cantano". Zauberfloete di Bergman. Un prete. Mahler e Sinopoli

Post n°782 pubblicato il 28 Luglio 2014 da giuliosforza

Post 738

 Ho sempre sognato la gloria, ma non ho fatto niente per  meritarla. Non mi sono messo per orgoglio in competizione, non ho svenduto il mio ingegno (che ho forse sopravvalutato), non ho varcato i limiti del cerchio che ho tracciato attorno al mio io, quel che ho fatto detto e scritto è rimasto fra me e quanti hanno avuto l’umiltà e la bontà di interessarsi dal di fuori allo svolgersi  della mia vita entro di esso  e di volontariamente esporsi e scaldarsi alla luce che da me come da un sole irradiava. Superbia luciferina che non gloria eterna merita, ma la damnatio memoriae.

*

Coi suoi puntuali e dotti commenti, caro Thirsenos, lei come sempre mi lusinga e mi incoraggia a non recedere dai miei giornalieri esercizi di evocazione di un tempo che intensamente, mille anni fa, vissi e che nutre ancora dall'interno la mia per ora ancor gagliarda vecchiezza. Io ho avuto la ventura di crescere senza uscire d'infanzia e d'adolescenza, ancora son capace di stupore e di candore, e ne ringrazio tutti gli Iddii, la natura e l’arte, di Dio più che nipoti e figli, agli Iddii consostanziali.

 *

“Ascoltare per caso in macchina ‘Cambia-menti’ di Vasco Rossi e, dopo aver snobbato il personaggio per ottanta anni, come tutta la musica cantautoriale, desiderare di approfondirlo, e riconoscere: ma questo è un grande, la sua musica è una denkende Dichtung, poesia pensante e filosofia poetante... Sono felice di aver superato un altro tabù e un altro pregiudizio. La curiosità mi tiene in vita, cesserò di esser curioso un quarto d'ora dopo la mia morte”.

 Pubblicando questo messaggio su face book ho scatenato, come (non) mi aspettavo, molte reazioni positive, per lo più di giovani, ma anche di quasi miei coetanei. Pippo ad esempio  ha scritto: “finalmente, Prof… ti sei accorto che sette sono le note per Vasco come per il tuo Wagner…”. Ho risposto: sarei prudente…; ma ora son io ad aspettarmi che siano i vascorossiani ad ascoltare Wagner, senza pregiudizi… Lorenzo si dimostra scettico circa questa evenienza: “sforzare un vascorossiano a... solo il tuo eroico ottimismo può aspirare a tanto! Scherzo, è un bell'auspicio”. Marcello a sua volta: “dàgli il tempo che hai avuto tu con Vasco”; io: gliene concedo anche di più  E non dico l’entusiasmo, per questa mio “storica” apertura, dei miei giovani allievi dell’IPU.

Prendo gusto a questo dialogare in rete. Un bel modo in più per sconfiggere la mia solitudine esistenziale e scongiurare la minaccia dell’inerzia mentale…

Sia benedetta la rete.

 *

Ricevo da Luisa Prayer, di cui tessei le lodi l’anno scorso in occasione di una sua iniziativa d’annunziana tenutasi a Rocca di Mezzo, l’invito al XV Festival di musica “Pietre che cantano. Musica e arte nei borghi storici aquilani, L’Aquila, Sulmona, Ocre, Rocca di Mezzo,Tione degli Abruzzi. 24 Luglio-24 Agosto 2014” .

L’evento anteprima (L’Aquila, Chiostro di San Domenico, il solo monumento uscito indenne dal terremoto, il 24, e Sulmona, Abbazia di Santo Spirito al Morrone), avrà per tema I due “Orfei”: Un percorso musicale e drammaturgico sul mito di Orfeo tratto da “Orfeo ed Euridice” di Haydn e Ch. W. Gluck.

Evento aristocratico, assolutamente da non mancare. Ne riferirò dettagliatamente.

 *

Nel 1975 uscì la trasposizione cinematografica, musicalmente ineccepibile, di Ingmar Bergman dello Zauberflöte,  applauditissima dalla critica. Invitato da un mio amico medico a vederla, per la prima volta, forse contagiato dall’assopimento del mio amico, mi addormentai durante uno spettacolo lirico, e russai pure, e ancor ne arrossisco, e fu la gomitata del vicino a svegliarmi. Dormire con Mozart, e come si fa. Ma tant’è, avvenne, e, ripeto, me vergogno (anche se i miei lettori sanno che io non ho in Mozart il mio supremo Iddio e nel mio musicale Olimpo egli deve contentarsi di un posto non proprio il più prossimo a Zeus).Trovai il film noioso, non fondeva meravigliosamente, come dalla maggior parte dei recensori sostenuto, cinema e melodramma, ma  dell’uno e dell’altro distorceva e appesantiva natura e finalità. Trovavo il tenebroso norvegese non in grado di comprendere e di esaltare la straordinaria levità mozartiana, la lepidezza del suo linguaggio, la maniera sempre sbarazzina di trattare temi profondi e , come nel caso del Flauto, esoterici.  Forse erravo e non so se oggi rivedrei le mie impressioni.

Questo episodio mi viene alla mente perché ancora sotto l’influsso liberatorio dell’ascolto della edizione scaligera del capolavoro mozartiano diretta da Muti nel 1995 e trasmessa in una  notte recente da un canale rai. L’ora tarda e la stanchezza di un giorno assai laborioso non mi hanno impedito di godere e di divertirmi con uno strabiliante Papageno, che mi ha fatto sorvolare sulle sfilacciature del canto della Regina della Notte nei suoi famosi gorgheggi e sulla poca robustezza, compattezza, rotondità della voce (imperdonabile in un basso) nelle note profonde di un Sarastro per altro dalla tenuta scenica assai notevole.

Calcare sui riferimenti esoterici del capolavoro mozartiano è superfluo. Fondamentale trovo invece godersi la capacità tutta mozartiana di sdrammatizzare, da una parte, attraverso la sua inimitabile vena inventiva, il suo candore infantile, la leggerezza e levigatezza della sua scrittura, ogni elemento drammatico, e dall’altra di nobilitare e di arricchire, con arte sopraffina, anche l’argomento più fatuo.

 *

Ho conosciuto uno strano prete, forse un santo (ma si racconta e si compiace troppo di sé e delle sue imprese per esserlo), forse un birbone.

Vanta (o millanta?) una preistoria da industriale, una vocazione tardiva, anni di missionariato tra i poveri e i lebbrosi di ogni parte del mondo, frequentazioni di papi e reggitori di popoli, lunga collaborazione con Teresa di Calcutta ecc ecc ecc.; e si dice ambasciatore volante del buon Dio e della Congregazione cui appartiene in tutto il mondo. Confessa di venire dal “Paradiso” (così egli le definisce) delle isole dell’Oceania.

Sono perplesso. Credo tanto che il suo paradiso sia questo, ad esso solo creda, ed abbia paura di confessarselo per non essere obbligato a scelte coerenti. So di uno che ha a lungo creduto di credere, si è a lungo sforzato di credere di credere (non è un refuso) nella trascendenza in versione cattolica, prima di trovare il coraggio morale e l’onestà intellettuale di riconoscere e di accettare il suo innato paganesimo, il suo  innato panteismo, il suo innato  panismo, nella cui logica sempre pensò e pensa , e visse e vive. Io ho buon motivo di essere perplesso sulla ortodossia di fondo del brillante prete  in elegantissimo clergyman di pura seta che mi ha deliziato con le sue strabilianti narrazioni e che mi è sembrato più preoccupato di  portare pecore al pastore che uomini  a sé stessi (a Dio).

 *

Gustav, Alma. Amo Mahler quanto odio sua moglie, troppo bella, troppo brava, troppi mariti, troppi amanti. Invidia pura. Non c’è per lei inferno adeguato, per le sofferenze che seppe infliggere all’uomo più mite del mondo, nella cui musica è tutta l’ironia, la parodia, il sarcasmo di un’anima conturbata, sofferente, tragica, disincantata.

Ascolto la Settima di Mahler diretta da Sinopoli l’anno stesso della sua morte (2001), avvenuta il giorno prima della sua terza laurea, quella in archeologia: nella lista alfabetica dei candidati figurava subito dopo la mia Fiammetta, sicché la mia gioia per la brillante  laurea di lei fu offuscata dal dolore per la scomparsa improvvisa del grande Veneziano, nell’atto stesso del dirigere (lui noto per la sua passione wagneriana -nel 2000, primo fra gli italiani, era stato chiamato a dirigere il ciclo intero del Ring des Nibelungen al Festival di Bayreuth)  alla Deutsche Oper di Berlino l’Aida verdiana.

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 
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