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'sì ch'io fui sesto tra cotanto senno', Ruccello, 'Ferdinando', Mahler 'VIII Sinfonia in Mi bemolle maggiore'

Post n°1176 pubblicato il 17 Ottobre 2023 da giuliosforza

 

1071

   Maria Stuarda di Schiller. La grande tragedia dedicata agli ultimi tre giorni antecedenti la decapitazione ed agli ultimi momenti di Maria Stuarda di Scozia ha colmato il mio primo pomeriggio. Coprotagoniste colossi del teatro come Anna Proclemer nelle vesti della regina di Scozia, Lilla Brignone in quelli della cugina regina d’Inghilterra Elisabetta; Albertazzi e Gora, tra i Lords variamente allineati sui diversi fronti, comprimari. Edizione degli anni Cinquanta Sessanta in uno straordinario, densissimo bianco e nero, che nessun colore riuscirà mai ad eguagliare. Oggi non è dato vedere in giro un centesimo di cotanta ‘vis dramatica’. L’Arte di Melpomene ne esce ancor più magnificata. Giuro sui miei novant’anni che è verità, nient’altro che verità. Lodo Dio per avermi concesso di rigoderne e di esserne testimone.

   E stamane era stata la volta de I Puritani di Bellini, stessa epoca, stessa atmosfera, con Diego Florez nella parte del protagonista maschile. Mamma mia che giornata!

*

   Dei miei oltre cento bastoni di ogni origine di ogni natura e per ogni evenienza, il più semplice, il più giocoso, il più ironico ed autoironico (mica poi tanto), il più ciarlatanesco, in sostanza il più scemo, è quello che ha l’impugnatura a dado con su ognuna delle cinque facce libere: Filippo Bruno Nolano in arte Giordano faccia in alto, Beethoven Wagner Nietzsche D’Annunzio facce laterali (a Goethe e ad altri sono dedicati bastoni singoli). Sul fusto quattro mie foto e la scritta “sì ch’io fui sesto tra cotanto senno” (Inf. IV 102).

   Dopo questo mio ulteriore sputtanamento perderò gli ultimi dei pochi amici che mi sono rimasti.

*

   Può sembrare fiaba, invece è realtà.  

   Non è necessario essere Francesco, Jean-Jacques o Ludwig per prediligere il passeggiare ‘solo e pensoso’, ‘a passi tardi e lenti’, per lo più a capo chino (chino perché …oberato di pensieri?): che è un rilassante modo di passeggiare ma anche limitante, poiché in tal modo della natura circostante più l’intensità dei profumi, a scapito della varietà dei colori, si percepisce. Così io, dell’Aretino, del Bonniense, del Ginevrio da sempre intimo, amo quotidianamente, è noto, abbandonarmi, alle prime luci dell’alba, alle Rêveries del ‘promeneur solitaire”, caricarmi la sporta dell’animo di emozioni e di pensieri per poi svuotarla nel segreto del mio studiolo-frantoio-palmento, spremerne le essenze e affidarne i contenuti scrupolosamente selezionati alla carta o alla memoria informatica. Questa mane ho risalutato, sì, i fiori e gli alberi del parco, ho risposto al canto dei primi uccelli flautisti e clarinettisti danti il cambio ai colleghi notturni cornisti, ma ho anche  molto rivolto lo sguardo intorno e in alto, e sono stato premiato: sulla cupola del gelsomino azzurro (dall’orrendo nome scientifico di piombaggine) un’altra incombeva: quella di un grande melograno dai rami  carichi di frutti, sporgenti sulla recinzione d’un giardino condominiale.

   Il melograno non mi è caro solo per la miriade di simboli di cui il suo frutto, la melagrana, è carico, simboli religiosi, filosofici (vedi dialettica Uno-Molteplice), massonici e variamente esoterici, ma soprattutto perché ebbe una parte importantissima in un momento decisivo della mia vita. Vivevo la prima, la più grave, delle mie grandi crisi esistenziali e dovevo operare una difficilissima scelta sicché, esauriti gli argomenti pro e contro, determinai di affidarmi alla sorte; e non avendo una margherita a disposizione per il gioco del m’ama non m’ama, ricorsi a una magnifica melagrana nel pieno del suo fulgore, dipinta di mille delicati colori l’uno nell’altro sfumanti come quelli d’una gota d’adolescente, stipata al suo interno di mille arilli stillanti il loro dolcissimo succo rossoviolaceo. Per ogni arillo piluccato ripetevo con parole diverse il m’ama non m’ama, ben attento a non saltare un grano. Dai seicento ai mille pare siano gli arilli d’una melagrana: immaginarsi  l’ansia, immaginarsi il tempo che mi fu necessario per portare a termine l’operazione; ma ne valse la pena, ché essa si  concluse felicemente col m’ama, ed io esplosi in urla di gioia tali che il mio animo ancora ne risuona. Placatomi, ricomposi il globo di dura scorza saldandone le parti e lo deposi su uno scaffale; ed eccolo ancor qui, superati indenne tre traslochi,  magnificamente mummificato. La melagrana che gli è accanto, quella fresca dai magnifici colori pastello, è quella rubata stamane; essa gli resterà accanto usque in finem, a colorare dei suoi colori, gli stessi delle albe, il mio tramonto.

   Aprirò una melagrana in solitudine la notte di capodanno, delicatamente ne spremerò e  succo che sostituirà lo champagne nel calice antico.

  

   Annibale Ruccello (1956-1986) col suo “Ferdinando”, Mahler con l’ottimismo epico della’ Sinfonia dei Mille’, hanno dato senso ad una giornata altrimenti inutile ed uggiosa, di quelle da poter tranquillamente cancellare dal calendario senza che alcuno se ne accorga, clima esteriore da bonaccia e clima torpido dell’anima particolarmente consonanti. Una Isa Danieli nella parte della protagonista Donna Clotilde nel pieno della sua forma, mai così vitale come nel ruolo autoimpostosi di perenne malata, invasiva e petulante; una efficacissima  Alessandra Borgia in quella di Gesualda, zitella famelica acida frustrata e vendicativa, un Giuliano Amatucci in quella di Don Catello, prete meschino e ambiguo, un Adriano Mottola in quella di Ferdinando, ragazzo dalle fattezze angeliche e dalle malignità diaboliche in grado di creare lo scompiglio nell’ipocrita equilibrio di una borghese convivenza, cooperano ognuno al suo meglio  a dare risalto a quel tanto di geniale che una commedia squisitamente napoletana di sapore gattopardesco contiene, un capolavoro che fa del troppo presto sparito Ruccello una degli autori più rappresentativi della nuova scuola napoletana.   

   E un Mahler, titanico quanto Beethoven, che nella VIII Sinfonia in Mi bemolle maggiore, o ‘dei Mille’ (12 settembre 1910) fa dell’Ottimismo cosmico, col Veni Creator e con l’ultima scena del Faust, la conclusione del suo iter estetico ed esistenziale. Nel das Ewigweibliche zieht uns hinan, difatti, il Femminino eterno, meglio traducibile col neologismo Evità, che diventa con l’articolo senza apostrofo  Levità, si trasforma nella Levità dell’Evità che trae in alto (o in basso, hinab: cielo e inferno per la Conoscenza s’identificano) allorché  Eva vince la  sfida con se stessa e  con  Dio -un  improbabile iddio che fa l’uomo a sua immagine e somiglianza poi gli vieta di partecipare al suo più altro attributo, l’Onniscienza, mediante la Conoscenza- scegliendo la ‘dannazione’ della Conoscenza e ponendo così le basi dell’elevamento della stirpe umana al Divino.

   Mi incoraggia questo ultimo Mahler steineriano.

 *

   Ai vegliardi non resta che sognare. E io di sogni sono maestro insuperabile.

   Oggi domenica 10 sedttembre  mi sono svegliato come al solito verso le quattro solari, ho avviato la cucina domenicale e mi sono messo davanti alla tv dello studio-salotto con angolo cottura (così son uso dire uno spazio che è in realtà è un enorme bazar), nella lunga attesa di un “Barbiere di Siviglia” molto reclamizzato, in replica dall’Arena di Verona. E mi sono riaddormentato in poltrona.

   Si faceva in sogno con gli studenti una delle nostre meravigliose “Giornate di Natura e Cultura” para accademiche, quelle che erano anche occasione per grandi passeggiate tra foreste monti borghi e valli del preappennino laziale-abruzzese. Si faceva a chi era più spericolato, si cantava e si scherzava, poi ogni tanto una sosta per riprendere l’argomento del giorno, dedicato come sempre in simili circostanze a quelle che l’Aquinate e i suoi colleghi della Sorbona dicevano Quaestiones quodlibetales, domande a piacimento. Al termine di nuovo in marcia tra vezzi e lazzi, e io facevo fatica a tenere il passo degli scatenati goliardi. Giunto il momento della separazione tre studentesse si avvicinano per salutarmi con l’abbraccio di rito, io le stringo paternamente al petto e sussurro loro: “E se morissi ora fra le vostre braccia? Non sarebbe la più bella delle morti?” Ma il sogno non mi dà tempo di scorgere le loro eventuali reazioni, perché proprio in quel punto improvvisamente mi sveglio tra i  forti profumi di pollo al forno e quelli più delicati di zucchine in padella, miracolosamente salvi e saporitissimi.

   Quasi due ore di sogno, con le studentesse a farmi addirittura da …timer!  Un sogno non previsto durato quasi due ore! Pagherei non so quanto per rifarlo, e magari proseguirlo.   

_______________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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Commenti al Post:
cassetta2
cassetta2 il 01/11/23 alle 14:32 via WEB
Forse nei sogni abbiamo una seconda vita
(Rispondi)
Utente non iscritto alla Community di Libero
Giulio Sforza il 20/11/23 alle 07:25 via WEB
Non riesco a cancellare questo intruso faccendiere che offre prestiti internazionali. Mi vergogno che sia entrato a sporcarmi blog. Mi dite come posso fare per eliminarlo Giulio Sforza, titolare del blog. giuliosforza.gs@gmail.com
(Rispondi)
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