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Susanna e Lorenzo sposi

Post n°783 pubblicato il 31 Luglio 2014 da giuliosforza

Post 739 

Dei tanti danni fatti nella mia vita,  quello di cui meno mi pento è di essere stato involontario pronubo di vari incontri, in occasione delle nostre Giornate universitarie di Natura e Cultura, felicemennte poi risoltisi in matrimoni. In una di quelle giornate fui anche …pronubo di me stesso, e mal me ne incolse.

Per Susanna e Lorenzo  galeotta fu una gita ai luoghi benedettini di Subiaco. Pioveva quel giorno, e mentre alla spicciolata i giovani, dopo la visita al Sacro Speco, raggiungevano le macchine nel piazzale inferiore, Lorenzo, alto pensoso e bello e dalla lunga cesarie come un eroe romantico, o se più vi piace come un nazzareno, se ne stava appartato sotto una roccia. Lei, la calabresella vezzosa diplomanda in composizione e direzione d’orchestra e laureanda in pedagogia, sedeva accanto a me in macchina, e subito lo notò e me ne chiese nuove. Io intuii che il Fanciullo alato aveva già lanciato il suo dardo, e con un moto di gelosia stizzosa camuffato da un sorriso forzato le diedi le novelle che s’attendeva; e lei subito (graziosa come un angiolo è Susanna, ma determinata come un demonio) disse: quel giovane sarà mio. Et fuit, come al “disse” del Creatore.

Laureatosi e addottoratosi lui, poi operante come esperto di processi educativi in cibernetica, laureatasi e diplomatasi lei, poi insegnante di musica ed impegnata nel volontariato, dopo anni di convivenza han deciso di convolare a giuste nozze. E che tutti gli Iddii, i loro e i miei, gliela mandino buona.

Si son detti sì il 20 di Luglio in Tarquinia, la corrusca città etrusca, nella splendida chiesa dugentesca di Santo Spirito in Castello lungo le mura (nuda e cruda come roccia appenninica, senza santi  santine santuzze che la deturpino, quelli stessi che secondo una accurata ricerca statistica relegano Cristo al decimo posto nel culto cattolico), testimone per lei, la prima volta in vita mia reo di sì grave colpa, io medesimo in carne ed ossa, io che vengo da due matrimoni e pochi altri amori e amorazzi falliti (donna avvisata… tu l’as voulu, George Dandin!); si son detti sì al suono di un quartetto d’archi che eseguiva brani di ogni tempo e di ogni stile debitamente rivisti da Susanna per l’occasione (ultimo l’Intermezzo della Cavalleria Rusticana, di cui pezzo più sacro non v’ha) e si son festeggiati  (all’urlo d’un vento furioso -folate di Spirito Santo- che spazzava via  tavoli sedie vivande, quanto approntato all’aperto per l’aperitivo) al ristorante La Caletta sulla punta estrema del promontorio dell’Argentario  guardante il Giglio (l’isola si delineava chiara nel vicino orizzonte e ben visibili erano le luci della riemersa “Concordia”).  Erano le tre di notte quando col testimone di Lorenzo si tentava, in una notte illune e senza stelle, di recuperare Orbetello attraverso i cento meandri delle strade tortuose, e poi Tarquinia ove m’attendeva l’albergo delle “Camere del re”, per una notte, o per quello che di una notte rimaneva, degno del suo nome.

Avessi brindato avrei detto per celia, dopo l’immancabile Chàirete Dàimones, recuperato per suggestione  nicciana a nostro saluto ufficiale,  quel che un amico mi  disse il giorno delle mie nozze: all’inizio, vedrai, qualche difficoltà,  poi, vedrai, …sempre peggio; e sul serio avrei ricordato il mito platonico del Simposio esposto da Diotima, quello delle anime originariamente intere e bisessuate, da un cataclisma cosmico spezzate irregolarmente in due, e vaganti perciò negli iperuranii alla ricerca ognuna della propria metà. Poche, avrei detto, le fortunate che la ritrovano: fra queste, ne son certo, le vostre, destinate a una eterna armonia, con le previste necessarie dissonanze senza le quali ogni armonia diventa insopportabilmente monotona. Questo  il mio epitalamio,  e questa la mia invocazione per voi all'iddio protettore: Hyménaie Hyménaie Hyménaie!

La burrasca di vento non si placava, e nemmeno la tormenta dentro di me, come fossi io lo sposo. L’urlo dei venti scatenatisi dalla aperta otre di Eolo era l’urlo delle cose che s’univano al tripudio di Susanna e di Lorenzo, dannati alla felicità.

 Chàirete Dàimones!

 

 

 
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