Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale
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Una collega dell’Università di Łodz), Miroslawa Zalewska Pawlak, con la quale negli anni ho più volte felicemente collaborato, in Polonia e in Italia, mi ha chiesto l’autorizzazione di pubblicare come introduzione a un testo di Autori vari da lei curato, e dedicato ai destini e ai ruoli dell’Educazione estetica in Europa e fuori, una riflessione che avevo scritto per introdurre il volume Musica mundi della compianta mia collaboratrice Maria Teresa Luciani, poi ripubblicata nel volume Vitam impendere Pulchro dell’Editrice Anicia. Naturalmente gliela accordai volentieri, ignaro delle complicazioni che la legge dei diritti porta con sé. Le difficoltà nacquero dal rettore e dall’editore che volevano giustamente i riferimenti alle fonti delle poche citazioni presenti nel mio testo, principalmente di quella conclusiva di Elias Canetti riguardante il tema stesso del volume in corso di stampa, sul ruolo della musica nell’educazione estetica. La cosa mi infastidì non poco: io cito sovente a mente, grazie alla buona memoria di cui il buon Dio mi ha dotato. Ma per i polacchi la questione era essenziale, per cui ne seguì uno scambio di lettere tra me e Mira di cui cito quella che per me avrebbe dovuto essere risolutiva, anche se negativamente. Scrissi:
Cara Prof Mira,
mi sento obbligato a rispondere negativamente alle sue insistenti richieste. Dovrei rovistare senza successo fra le montagne di libri che giacciono ormai morti e polverosi affastellati sugli scaffali delle mie librerie. E non ritiene anche Lei che a novanta anni e sei mesi io abbia altro a cui dedicare il poco tempo che mi resta? In uno dei libri di Canetti in mio possesso (sicuramente ‘Massa e Potere’, ‘Autobiografia’, ‘Auto da fé’ e forse qualcun altro) troverei la ...'carta di identità' che vi serve, ma sarebbe come cercare un ago in un pagliaio e io sinceramente non ne ho le forze. Non sono mai stato un topo di biblioteca, nemmeno delle mie. E poi mi rendo conto che lo stile affabulatorio e declamatorio così poco scientifico che mi caratterizza, e che è anche del mio contributo, poco s'addirebbe al vostro testo, la cui dignità scientifica finirebbe per compromettere. Quindi tagliamo la testa al toro: eliminate il contributo con le mie ciance da esaltato e non se ne parli più. La serietà e credibilità del vostro volume certamente ne guadagneranno. Non perdete altro tempo con me. Ne sarei dispiaciuto. Vi chiedo perciò scusa e mi ritiro in buon ordine Ed auguro alla vostra impresa la bella riuscita che sicuramente merita.
Con affetto e stima immutati.
Mira mi scongiurò di recedere dalla determinazione e mi misi alla ricerca. Ricordai che tanti anni fa una mia ex allieva, Maria Clotilde Nera, aveva discusso con me la sua tesi di laurea sulle ”Implicazioni educative del pensiero canettiano”. Ne ritrovai il telefono e mi diede la preziosa indicazione: il brano da me citato era tratto da Elias Canetti, La provincia dell’uomo, Adelphi, Milano 1978, p. 35. Ora mi chiedo anche perché mai io abbia citato Canetti, se la mia opinione è alquanto diversa e più complessa della sua e da me solo in parte condivisa. O forse proprio per questo meritava di esser citata?
Eccola comunque, e non mi dispiace che col titolo Musica e dis-educazione estetica. Un tragittto ventennale sia piaciuta agli amici polacchi e con essa vogliano introdurre il loro volume collettaneo dedicato a Frau Musika e al suo auspicabile contributo alla super-umanizzazione dell’Uomo ancora sospeso tra la scimmia e il Super (Oltre) Uomo.
«La musica è la migliore consolazione già per il fatto che non crea nuove parole.
Anche quando accompagna delle parole, la sua magia prevale ed elimina il pericolo
delle parole. Ma il suo stato più puro è quando risuona da sola. Le si crede senza
riserve, poiché ciò che afferma riguarda i sentimenti. Il suo fluire è più libero di
qualsiasi altra cosa che sembri umanamente possibile, e questa libertà redime.
Quanto più fittamente la terra si popola, e quanto più meccanico diventa il modo di
vivere, tanto più indispensabile deve diventare la musica.
Verrà un giorno in cui essa soltanto permetterà di sfuggire alle strette maglie delle
funzioni, e conservarla come possente e intatto serbatoio di libertà dovrà essere il
compito più importante della vita intellettuale futura. La musica è la vera storia
vivente dell’umanità, di cui altrimenti possediamo solo parti morte. Non c’è bisogno
di attingervi, poiché esiste già da sempre in noi, e basta semplicemente ascoltare,
perché altrimenti si studia invano»
*
Rimpiango l’epoca dei piombi.
Sono a circa metà lettura (per doverosa ulteriore informazione, dopo le mie prese di posizione nei confronti del Giambattista Vico padre quale emerge dal racconto di Marcello Veneziani) de “Il figlio di Giambattista Vico” del giovane Giovanni Gentile, nella recente ristampa, da parte dell’editrice Primiceri di Padova, dell’edizione napoletana di Pierro del 1905, che narra le vicende di Gennaro, il figlio prediletto che, dopo infinite umilianti riverenze e infiniti baciamani suoi e di suo padre, riuscì a succedergli nella cattedra di Retorica. Già provo fatica e rabbia. Fatica per la ricchissima meticolosa documentazione del giovane Gentile che ho molta difficoltà a seguire (non ho la natura del topo di biblioteca, non ho la pazienza dello storico: preferisco che altri si dia da fare per me nella faticosa opera di ricerca, preferisco che mi si metta, per parafrasare il Poeta, innanzi onde poi per me mi cibi). Rabbia perché sono tali e tanti i refusi del volume, che si tratta di una vera e propria indecenza. Un solo esempio fra le centinaia: il verso virgiliano Felix qui potuit rerum cognoscere causas diventa Felix qui potuti veruni cognoscere causas! E in traduzione rerum, delle cose, diventa della malattia. La punteggiatura poi sembra messa a casaccio, e non si contano gli strafalcioni incomprensibili dovuti alla semplice digitazione. Sarebbero questi i miracoli delle nuove tecnologie? Dove i correttori di bozze che sappiano almeno leggere e scrivere? Ma la colpa non è delle tecnologie, sebbene dell’ignoranza, dell’ignavia e dell’amor sceleratus habendi di stampatori ed editori.
Sì, rimpiango l’epoca dei piombi gutemberghiani.
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Chàirete Dàimones!
Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)
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