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Riflessione filosofico-poetico-musicale
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Messaggi del 27/12/2016
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Avete mai udito i silenzi dei suoni e i suoni dei silenzi? Quelli dei non spazi e dei non tempi del Principio, quando l’Essere si autoponeva in quanto Suono, e ne nasceva la Musica mundi? Io li ho sentiti in Santa Croce in Gerusalemme (sì, quella romana delle memorie eleniane, di cui già non benevolmente su questi spazi scrissi), in occasione di un Concerto polifonico tra i più interessanti che nella mia vita mi sia stato dato di godere (“Sì che m’inebriava il dolce canto / Ciò ch’io udiva mi sembrava un riso / de l’universo, perché mia ebbrezza / entrava per l’udito e per lo viso” –Par. XXVII. 6-9). Un Concerto polifonico per otto voci miste, dal quale, e può sembrar paradossale dato l’organico e il programma (quattro Cori: Entropie armoniche di Roma, direttore Claudia Gilli, Coro Città di Bastia Umbra, direttore Piero Caraba, Ensemble “Floriano Canal”, direttore Arnaldo Ridolfi, Coro Aurora, direttore Stefania Piccardi, e un’orchestra, l’orchestra da camera di Gubbio) tutto avresti potuto attenderti fuorché l’immersione in una rarefatta atmosfera mistico-metafisica fatta di lunghi pianissimi, di lunghissime, quasi statiche, armonie, via via gradualmente recuperanti la solennità di un rombo cosmico, quella che dicono si respiri attorno alla divinità, sugli Olimpi, su gli Oreb o sui Meru. Forse solo un compositore “artico” come Gjeilo, nato là ove la molteplicità delle luci e dei suoni si ricompone nell’unità generante l’attonimento panico, il “muto” fremito del Tutto, poteva scrivere questa Sunrise Mass che del poema sinfonico ha anche la struttura nelle indicazioni dei quattro movimenti, The spheres, Sunrise, The City, Identity and the Ground. Per questo son mio convincimento e mia percezione (ovviamente discutibili), essere la Sunrise Mass in realtà, nonostante il testo tratto dalla liturgia cattolica, una creazione globalmente e positivamente “pagana”, sostanzialmente a- confessionale; convincimento e percezione confortati dal modo ”sbrigativo” con cui l’autore si disfà del Credo, di quel Simbolo di Nicea che un Cristianesimo per natura liberatorio dagli impacci della littera che occidit forza entro le rigide gretole del dogmatismo trasformandolo in cattolicesimo: improvvisamente la polifonicità del Kyrie, del Gloria, e poi del Sanctus e dell’Agnus (le cui parole dissolvono la loro specificità amalgamandosi nella impersonalità dei restanti grumi sonori) si trasforma in una sorta di monodico recitativo gregorianeggiante che in pochi minuti recupera l’Amen.
Una Sunrise Mass, una Messa-alba, più che messa dell’alba, che chiarori suoni e silenzi aurorali restituisce nella loro purezza ed offre incontaminati al trionfo della luce diurna sulle tetre solitudini cosmiche incombente. Un oratorio sacro, oltre che poema sinfonico, in cui Odino Brama Jehova e Allah cantano insieme la loro metastorica essenza, identità ed unità, lanciando ai loro profeti e ai loro adoratori un messaggio di universale tregua, se non di definitiva quiete, ideologica in nome dell’Arte salvifica. Un messaggio rafforzato dagli altri due brani in programma: il Concerto Op. 6 n° 8 “fatto per la Notte di Natale” di Arcangelo Corelli, e l’Adeste Fideles di Anonimo per soli coro e arpa nell’elaborazione di Piero Caraba sui quali non pesavano, nella fresca interpretazione dei quattro gruppi corali, l’usura e l’abuso del tempo.
Ancora una volta Gelobt sei jederzeit, Frau Musika!
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Chàirete Dàimones!
Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)
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