Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale
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Messaggi di Luglio 2023
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Leggo in Pitigrilli (“Le donne di 30,40,50,60 anni”, Casa Editrice Sonzogno, Milano 1967, pp. 49-62, inaspettatamente riemerso dallo sgombero della cantina: cinquantotto brevi variazioni giornalistiche di circa 3 pagine l’una dedicate ad argomenti diversi sempre gradevolmente curiosi) di varie superstizioni e pratiche magiche, tipo anche quelle vaudouiste dello spillo, alle quali io ho sempre poco creduto, se si eccettuano il malocchio e quella che i francesi chiamano choc en retour, colpo di ritorno, Ho avuto modo di verificar più volte in vita fenomeni di questo tipo: spesso ho visto tornare la maledizione come un boomerang su chi l’aveva lanciata; se la maledizione non aveva raggiunto il maledetto, si era ritorta tale e quale sul maledicente. L’ho verificato più di una volta, lo giuro, anche su me. Fate attenzione.
*
Su rai5 Mahler, Das Lied von der Erde. Finalmente.
Si tratta, come ben sanno i patiti delle musiche post e tardoromantiche, di una delle ultime composizioni del Genio viennese morto a 51 anni nel 1911, nella quale voce per contralto tenore e grande orchestra si rincorrono e compenetrano scambiandosi, in un ricco gioco dialogante, i ruoli per poi fondersi in unico evento musicale di grande suggestione in cui il meglio si rivela del suo animo tormentato. Egli non riuscì a sentirne l’esecuzione essendole premorto ad appena 51 anni di ritorno dall’America. Quirino Principe, il dotto critico musicale e musicologo suo storico goriziano, in un suo volume ha scandagliato come nessun altro (vedi Mahler, Rusconi, Milano i983) l’animo sensibilissimo di questo post-wagneriano sui generis, mai come nel Lied von der Erde rivelantesi.
Cito qui, dei sei brani che lo compongono, il primo e l’ultimo. Sono quelli che, a mio avviso, rendono meglio lo stato d’animo del compositore al momento della loro creazione. La traduzione è mia.
DAS TRINKLIED VOM JAMMER DER ERDE Schon winkt der Wein im gold'nen Pokale, | IL BRINDISI DEL DOLORE DELLA TERRA Il vino già ammicca dal boccale d'oro, ma ancora non bevete: prima vi canto una canzone. La canzone del dolore deve risuonarvi nell’anima come un riso. Quando il dolore s’avvicina il deserto invade i giardini dell’anima. Gioia e canto avvizziscono e muoiono. Buio è il vivere, è un morire. |
DER ABSCHIED | L'ADDIO La terra respira piena di quiete e di sonno, tutta pace e sonno. Ogni brama vuole ora sognare, gli uomini, stanchi, rientrano per ritrovare nel sonno giovinezza e felicità dimenticate. Gli uccelli tacciono sui loro rami. Il mondo sprofonda nel sonno. Fa fresco all’ombra dei miei abeti. Io sono qui in attesa ansiosa del mio amico. Lo aspetto per l’ultimo addio. Amico mio, desidero godere al tuo fianco la bellezza di questa sera! Dove sei? E mi lasci così a lungo solo! Io faccio su e giù col mio liuto per sentieri solitari, su un tappeto di erba morbida. Oh Modo, ebbro d’amore e di vita eterna! |
Più in consonanza col tempo nel suo trascorrere e nel suo mistero è il Lied von der Erde, e con esso il suo autore Gustav, vittima del Destino e di …Alma Schindler Mahler (poi Gropius poi Werfel,) femme fatale che, con la sua bellezza la sua intelligenza la sua arte (fu anche discreta musicista e compositrice di Lieder) condite di non poca civetteria, ebbe la sua non piccola parte nella prematura scomparsa del follemente innamorato e geloso marito. Con evidenza traspare la mia antipatia nei confronti della Musa ispiratrice di non pochi famosi artisti tra cui Klimt e l’amante Oscar Kokoschka. Gli è che Alma mi ricorda Clara Wieck Schumann, un'altra straordinaria creatura, che ho odiato per non aver reso felice Robert. Alle mie amiche femministe in questo, solo in questo, non ho ceduto: nel convincimento che al Genio, femminile o maschile che sia, si deve esser pronti a sacrificare tutto, anche la vita.
L’ispirazione cinese del Lied, nel riadattamento del poeta Hans Bethge, mi piace particolarmente. Fin da giovane ho frequentato autori cinesi, miti e leggende e canti di quella terra in ogni senso smisurata. Questa mia grande passione l’ho voluta fissare anche su uno dei miei bastoni etnici, quello appunto cinese. Vi ho scritto: “…et me iterum puerum draconis terra habuit viatorem et Kung Fu Tzu humanas Lao Tsu coelestes me docuerunt Regulas…
Nel Lied von der Erde l’animo di Mahler si placa, quasi presago del sereno Addio che l’attende.
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Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)
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1067
Ho chiesto a Lorenzo di riassumere per il lettore curioso il contenuto del volume. Ecco la sua risposta:
«Gli Arbëreshë sono un popolo originario di aree tra le attuali Albania e Grecia. Giunti in Italia nel XV secolo, la loro storia si è legata alla civiltà rurale del meridione italiano. Già Pasolini li definì un “miracolo antropologico”. Dall’ottobre 2017 all’agosto 2021 Lorenzo Fortunati ha incontrato, intervistato e ritratto donne arbëreshe presso i paesi italo-albanesi del Cosentino.
L’esito di questo viaggio è documentato nel libro “Futuro in Arbëria, visioni di donne”, un’opera direportage e arte fotografica in cui Lorenzo Fortunati indaga il rapporto delle nuove generazioni di arbëreshë con i processi di incorporazione culturale in diversi comuni italo-albanesi di Calabria. Il cuore del libro è rappresentato da una serie di microbiografie di donne italo-albanesi, esempi di tenacia e passione per la rigenerazione dell’identità culturale arbëreshe. Ciascuna delle loro microstorie è corredata da ritratti di rara bellezza ed è commentata da un anziano studioso d’Arbëria. Il libro tocca inoltre il tema del rapporto tra nuovi e vecchi italo-albanesi, e offre suggestioni e interrogativi su temi universali. L’Autore si chiede se e come la conoscenza dell’Arbëria possa ispirarci per espandere la nostra sensibilità e le possibilità del nostro futuro, e fornisce motivazioni per sostenere la tesi che l’Arbëria sia un bene di interesse comune.
Il libro è co-edito dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (ICPI, Roma) ed Effigi Edizioni Grosseto). È stato patrocinato dall’Ambasciata d’Albania a Roma, dall’Ambasciata della Repubblica del Kosovo a Roma, e da numerosi Comuni arbëreshë della prov. di Cosenza: Acquaformosa (Firmoza), Cerzeto (Qana), Civita (Çifti), Frascineto (Frasnita), Lungro (Ungra), S. Benedetto Ullano (Shën Benedhiti), S. Demetrio Corone (Shën Mitri), S. Martino di Finita (Shën Mërtiri), S. Sofia d’Epiro (Shën Sofia), Vaccarizzo (Vakarici); Museo Etnico Arbëresh (mea) di Civita (CS). Hanno generosamente contribuito ai costi di stampa: COOP Biosybaris (Corigliano-Rossano) e BCC Mediocrati (Rende, CS).
«Panoramica sui contenuti del libro:
la premessa è affidata al Prof. Michelangelo La Luna, noto intellettuale arbëresh e Professore presso il Dipartimento di Lingue dell’Università del Rhode Island. Nell’introduzione si presenta sinteticamente la vicenda degli Arbëreshë e il peculiare modo in cui la loro cultura ha elaborato le contaminazioni e gli influssi esterni, in Italia; si illustrano le motivazioni che hanno spinto l’Autore a compiere un viaggio che diventa cammino di crescita, e si chiarisce la ragione per cui l’opera è declinata al femminile.
Nel primo capitolo si introduce Carmine Stamile, ex maestro di scuola, autore di pubblicazioni e curatore di un museo arbëresh, che accompagna l’Autore nel viaggio, come sorta di guida sul campo. In questo capitolo l’Autore racconta a Stamile le 17 interviste delle donne arbëreshë incontrate e ritratte, e che si spendono quotidianamente per dare un presente all’Arbëria, ciascuna a suo modo e in diversi campi. Si tratta di persone non comuni, in pochi casi note anche al di fuori della loro area ma comunque immerse nella loro comunità. Ciascuna microbiografia è corredata dalle fotografie realizzate da Lorenzo Fortunati (in genere ritratti, più qualche paesaggio) con uno stile glamour inusuale nei libri-reportage. Carmine Stamile a sua volta risponde alle domande di approfondimento e aggiunge a ciascuna micro-biografia degli interessanti aneddoti, tratti da sue ricerche e memorie, anche per dare maggior profondità e contesto. Questo primo, lungo capitolo, si chiude con le immagini di alcuni gruppi folcloristici arbëreshë.
Nel capitolo 2 l’Autore si interroga su alcuni tentativi di riattualizzazione culturale attraverso ipotesi di possibile rinnovamento dell’abito tradizionale femminile. In questo caso si confronta con un’altra memoria storica, il 90enne Antonio Bellusci (prete bizantino, qui in veste di studioso). Il Capitolo coinvolge i pochissimi artisti che si siano cimentati con possibili riattualizzazioni dell’abito di gala, e contiene foto particolarmente originali.
Nel capitolo 3 Lorenzo Fortunati incontra due giornalisti e personaggi pubblici, Arbër Agalliu e Geri Ballo, con cui discute delle relazioni tra il mondo albanese e quello arbëresh. Le riflessioni partono dalla vicenda personale dei due intervistati, entrambi giunti in Italia dall’Albania in tenera età.
Il capitolo 4 contiene considerazioni personali dell’Autore sul perché riflettere sull’Arbëria costituisca un’occasione di crescita per noi tutti.
Infine, tra le pagine dell’opera sono disseminati alcuni inserti multimediali mediante codice QR, che rinvia a link esterni. Questi portano a brevi video-interviste originali, e a numerose registrazioni di canti e brani tradizionali. Alcuni tra questi brani non erano ancora stati diffusi sul web prima d’ora, e sono stati pubblicati appositamente.
Note finali sulle immagini.
Nel libro si trovano circa 120 foto originali di Lorenzo Fortunati / Adnexart, di diverse tipologie. In gran parte sono ritratti artistici, progettati e realizzati con una certa preparazione, in uno stile che combina glamour ed etnico; in secondo luogo vi sono foto più giornalistiche di reportage, di persone e ambienti. Non mancano casi che stanno nel mezzo. Visivamente la ricerca estetica dell’Autore rifugge dal patetico e dai cliché consunti con cui si realizzano molti reportage dalle aree rurali. La bellezza è esaltata combinando inquadrature, lunghezze focali, posizione del corpo, movimento e con l’impiego di più punti luce (flash, riflettori), rigorosamente senza ricorrere a processamenti invasivi che deformino i corpi delle persone ritratte. Si tratta del frutto di progettazione e sedute fotografiche, con editing discreto e nessuna rielaborazione grafica.
Per maggiori informazioni si rinvia al link: www.adnexart.it/futuro-in-arberia. AdnexArt è la firma di Lorenzo Fortunati quando opera in ambito fotografico.
L’Autore:
Lorenzo Fortunati à nato nel 1980, ha una laurea e un dottorato in ambito formativo. Dal 2005 lavora all’intersezione tra formazione, comunicazione multimediale e tecnologie di rete; prima come formatore, poi come progettista, ricercatore, metodologo. L’arte è da sempre nella sua vita, anche se non come attività professionale; in musica inizia da giovanissimo ma si ferma con l’inizio del dottorato, nel 2007. L’ultima opera fu la realizzazione della colonna sonora per il film “Il lato chiaro”, di F. Orsomando.
Un vita senza arte gli è intollerabile, quindi riprende dal 2017, stavolta in ambito fotografia e storytelling visuale. Sceglie soggetti del mare e della cultura marinara, ma anche design classici e senza tempo; collabora pro bono con associazioni del territorio che operano nel sociale o nel il sostegno ai servizi sanitari per l’infanzia. Le sue immagini finiscono regolarmente su riviste, ma non è l’interesse per la fotografia in sé, a muoverlo: piuttosto è la funzione emancipativa dell’arte, e in questo gli è d’ispirazione l’insegnamento del maestro Giulio Sforza.
L’incontro con le vicende del popolo arbëresh lo motiva a iniziare un progetto autoriale che si concretizza nell’opera Futuro in Arbëria: visioni di donne. Nella sua attività artistica fa oggi confluire le molte competenze che ha maturato negli anni sul lavoro (storytelling multimediale, cultura nel
digitale) e nell’arte»
Riferimenti Email: adnexart@gmail.com
Sito web: www.adnexart.it/futuro-in-
arberia
Instagram @adnexart
Linkedin: https://linkedin.com/in/lorenzofortunati
Pagina Fb del Progetto https://www.facebook.com/people/Futuro-in-Arb%C3%ABria-visioni-di-donne/100088496312489/
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Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)
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1066
Futuro in Arbëria: visioni di donne. Un originalissimo libro, già un capolavoro nel suo genere, di Lorenzo Fortunati, che mi pregio di avere tra i miei più intelligenti, attenti e affezionati ex allievi.
Tra i pochi meriti che mi compiaccio d’aver acquisito nella mia lunga vita di ricerca e di insegnamento e che non possono non essermi riconosciuti, uno ve n’è incontestabile: quello d’aver, nei vari incontri da me organizzati, accademici, para accademici o semplicemente ludici, facilitato tanti innamoramenti, un cospicuo numero di fidanzamenti, pochi ma felici e fecondi matrimoni tutt’ora, come si dice, resistenti: cosa rara in questi tempi di universale precarietà. Da uno di questi sono nati due splendide creature, Auro ed Eloisa, ai quali e a me (davvero una bella sorpresa, nonché immeritato onore) è dedicato il magnifico volume saggistico-fotografico di etnoantropologia pedagogica di cui voglio parlare. Autore ne è il padre di Auro e di Eloisa, Lorenzo Fortunati, con me laureatosi, affermato professionista cibernetico e fotografo provetto, sposo … fortunato (mai nomen fu più omen) di Susanna Esposito, anche lei ex allieva, direttrice d’orchestra, compositrice e didatta. È davvero il caso di intonarli questi versetti parafrasati della liturgia natalizia: oh vere beati Auro et Eloisa, qui tales ac tantos meruerunt habere parentes; e oh vere beatus magister qui tales ac tantos meruit habere discipulos. Ora capisco la dedica: di Auro ed Eloisa sono il nonno spirituale, e la cosa mi riempie di gioia e di orgoglio. Galeotta del primo bacio (per allora solo spirituale, quello che a tutti gli altri prelude ma il solo che immagino in eterno resti) di Susanna e Lorenzo fu una giornata uggiosa e piovosa. Mentre il grosso del gruppo visitava il Sacro Speco benedettino di Subiaco, io e Susanna s’aspettava in macchina nel piazzale ai piedi della scalinata che conduce al santuario, mentre un bel giovane dalla lunga capigliatura alla nazzarena attendeva solitario e pensoso sotto la sporgenza di una roccia. Chi è quel giovane?, mi chiese la ‘calabresella’. Glielo dissi, quel nome, e scoppiò non la scintilla, ma l’incendio.
Dopo un discreto periodo di fidanzamento Susanna e Lorenzo convolarono, me testimone (con qualche resistenza, il ruolo di testimone di nozze non addicendomisi, per motivi che non starò qui pubblicamente a confessare) a suggestive nozze in un’antica chiesa di Tarquinia che si confonde fra le mille memorie etrusche di quella città, per poi andare a festeggiare inter pocula all’Argentario, al cospetto di un’Isola del Giglio ben visibile nella notte chiara, col relitto della Costa Concordia ancora non rimosso.
Ben presto vide la luce Auro, poco dopo seguito da Eloisa, nomi evocativi che non hanno bisogno di commenti, soprattutto Eloisa, che fece me subito pensare alla Nouvelle Éloïse del mio carissimo Jean-Jacques. E mi sentii subito un Abelardo rinato nonno!
Ora Auro e la sorellina sono già grandicelli e il papà Lorenzo può dedicarsi con più agio alla sua grande passione ormai predominante: la fotografia. Memore della lezione nicciano-dannunziana, essere la vita senza Musica, e senza Arte in generale (uniche a possedere una sorta di categoria ‘trascendentale cinestesica), priva di senso, egli nell’arte fotografica ha individuato il suo particolare modo di ‘sforzare il mondo a esistere”, conferendo per essa al mondo significato. Ed è così che in una delle lunghe permanenze in terra di Calabria, a Terranova di Sibari per la precisione, venuto a conoscenza delle comunità di cultura albanese in Calabria da secoli presenti, e oltretutto spinto dall’interesse etno-antropologico-pedagogico in lui sempre vivo, decise di scriverne in un libro che è insieme pensiero poetante e poesia visiva pensante: così nacque il volume di grande formato che è insieme cólto saggio e album fotografico, dal titolo Futuro in Arbëria: visioni di donne (129 pagine di testi e immagini, più 75 di sole immagini a tutta pagina), a cui sono felicissimo di dedicare il post 1066 di Dis-Incanti, ai quali rimando per una presentazione più completa, limitandomi qui ad anticipare la quarta di copertina ove Lorenzo, accompagnando il testo con una bellissima foto di due donne in affettuoso atteggiamento (che purtroppo io non sono in grado di qui riprodurre) e che mi ricordano tanto il quadro (1818) di Johann Friedrich Overbeck, Italia e Germania, al quale basterebbe solo cambiare il titolo in Italia e Albania, scrive:
«Questo è il mio primo ricordo di un paese arbëresh: fra abiti, lingua e canti a me sconosciuti, d’un tratto non capivo più dove mi trovassi, o in quale tempo. Venti anni fa non sapevo niente di loro; ancora oggi li conoscono in pochi. Sono italo-albanesi antichi, sangue sparso della Diaspora, stabilitisi in Italia da quasi seicento anni. Pasolini li definì “un miracolo antropologico” grazie alla conservazione di riti, costumi e lingua.
In queste pagine ho raccolto microbiografie e scolpito ritratti di donne arbëreshë, dedite a tener viva la loro cultura, oggi marcatamente femminile. Con la potenza di piccole azioni quotidiane, senza rumore, contribuiscono all’emergere di nuove ragioni di esistere per i loro paesi fiaccati dallo spopolamento. Alcuni considerano queste donne come ultime testimoni di un popolo, ma preferisco vederle come le prime di una nuova fase storica.
La loro vicenda ci riguarda tutti. I paesi arbëreshë offrono ancora vie diverse di intendere convivialità, ospitalità e vita: occasioni preziose in un tempo di appiattimento. Il patrimonio culturale che rigenerano può diventare bene comune, stimolare innovazione sociale. Perché non si limitano a “riscoprirlo” ma lo introducono nella loro vita quotidiana. Così ci consentono, conoscendole, di entrare in contatto con prospettive diverse attraverso cui leggere, anche criticamente, il come ci relazioniamo col mondo. Il confronto dialettico, non la stasi né la passività di fronte al cambiamento eterodiretto e alla sua retorica, è necessario al nostro cammino».
Felix faustumque sit, Lorenzo!
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