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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Messaggi del 17/02/2020

Bruno. Hoelderlin. Arturo Martini, Poe...

Post n°1025 pubblicato il 17 Febbraio 2020 da giuliosforza

 

Post 946

 

   17 Febbraio, 420esimo del Rogo. Ancora quest’anno impossibilitato con dispiacere a recarmi a Nola per le celebrazioni organizzate dalla nostra Giordano Bruno. Associazione nolana. Il 14 sera, anticipata per motivi logistici, s’ è tenuta nel complesso conventuale dei Frati Cappuccini (segnale… di ‘francescana’ palinodia?)  alle falde del Cicala, la Cena delle Ceneri, il Simposio (syn-posìa, tra le bevute!) gastronomico-filosofico evocativo di quello londinese riferito da Lui nel dialogo omonimo. Oggi, proprio mentre io sto scrivendo, si sta svolgendo la commemorazione presso il monumento di Piazza Giordano Bruno e questa sera sarà proiettato il film Menocchio, di Alberto Fasulo, che narra la vicenda del mugnaio friulano Domenico Scandella processato e giustiziato per eresia a Pordenone forse nello stesso 1600.

   Ma naturalmente, meteo permettendo (oggi è particolarmente rigido a Roma) sarò al Campo nel pomeriggio per un veloce omaggio. Saranno con me in spirito tutti gli amici bruniani. Come dubitarne?

   Guido del Giudice, medico e sportivo, e indefesso studioso attento e originale del Nolano, ardente bruniano e scrupoloso brunista, mi ha fatto dono di uno dei suoi ultimi lavori, di cui intendo riferire meglio in seguito: Giordano Bruno. Scintille d’infinito. Il pensiero del grande filosofo in 200 aforismi. Conclude il volumetto un catalogo delle citazioni con indicazione puntuale delle fonti. Una lezione di serietà per i tanti rapsodi della rete.    

  *

   Qualche post fa dichiaravo di vergognarmi di non aver mai visitato la Grecia, la patria della mia anima, subito avvertendo di non esserne pentito: ho evitato, in questo modo, aggiungevo, una  probabile dolorosa delusione: quella di non trovare più nulla della classica Ellade della cui cultura, dei cui miti mi sono fin quasi dalle fasce nutrito; una delusione non minore di quella provata dall’Iperione hoelderliniano e raccontata, in termini strazianti, al suo amico Bellarmino rimasto in Germana, col quale instaura uno dei più bei colloqui a distanza che letteratura dialogica ci abbia mai consegnato, nel quale lo strazio della lontananza di Diotima, l’impossibile amore,  si predica poter essere attenuato solo attraverso l’Arte e l’immersione nella ‘radiosa’ Natura, che uniche garantiscono l’esperienza del Tutto; ove ogni particolare, in esse affogando (isottiano-wagneriano versinken ante litteram) supera la propria tragica solitudine e recupera l’esperienza dell’Unità e  e della Totalità primigenie. A pagina 29 della mia martoriata - da sottolineature, aggiunte, notazioni - edizione (Universale Economica Feltrinelli - i Classici - Milano 1981-91, a cura di Giovanni V. Amoretti), già leggo:

   “Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l’uomo.

    Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia, ‘ la sacra cima del monte, è il luogo dell’eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il tuono la sua voce e il mare che freme e spumeggia assomiglia all’onde di un campo di grano.

   Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all’immagine del mondo eternamente uno, così come le regole di un artista davanti alla sua Urania, e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e indissolubilità ed eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo. … Oh un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette e, quando l’estasi si è dileguata, si ritrova come un figlio fuorviato che il padre cacciò via di casa e contempla i miseri centesimi che la pietà gli ha dato per il suo cammino. … Sì, un essere divino è il fanciullo sino a che non si mimetizza nei camaleontici colori degli uomini. Egli è totalmente quello che è, per questo è bello” … Gli spartani rimasero un eterno frammento, perché chi non è stato un tempo un perfetto bambino quegli difficilmente sarà un uomo perfetto… (pag. 98) … Partono dal cuore e ritornato al cuore le vene e tutto è un’unica, ardente vita “ (pag. 178)

   Da questi cenni appare come l’Iperione rappresenti anche un bel trattato di pedagogia romantico-idealista, quella di cui sento, sentiamo?, struggente nostalgia.

  *  

In E. A. Poe. Tutti i racconti, le poesie e “Gordon Pim” (I Mammut, grandi tascabili economici Newton, Roma, seconda edizione 1997, p. 771): 

   “Queste mie inezie sono qui raccolte e ripubblicate allo scopo, soprattutto, di salvarle dai tanti ‘miglioramenti’ cui sono andate soggette mentre vagavano, qua e là, ‘in giro per la stampa’. È mio ansioso desiderio, naturalmente, che quel che ho scritto circoli così come l’ho scritto, se circolazione deve avere. A difesa, tuttavia del mio gusto mi corre l’obbligo di aggiungere che nulla vi è in questo volume che sia di molto valore per il pubblico o molto onorevole per me stesso. Avvenimenti al di fuori di ogni mio controllo mi hanno sempre impedito di fare un serio sforzo in quello che, in più felici circostanze, sarebbe stato il campo di mia elezione. Per me la poesia non è stato un proponimento, ma una passione; e le passioni dovrebbero sempre essere rispettate; esse non devono – esse non possono essere suscitate a volontà, con l’occhio rivolto a meschine ricompense, o agli encomi, ancor più meschini, dell’umanità”.

   Con questa premessa E. A. Poe nel 1845 lanciava le sue poesie, parole illuminanti che dovrebbero figurare in prima pagina in ogni libro che si rispetti ma soprattutto nelle raccolte di qualsiasi autentico poeta. Si sarebbe assistito e si assisterebbe a meno affannose competizioni, a meno vergognosi mercimoni, a meno ‘genuflessioncelle d’uso’ (quelle rimproverate dal fiero Allobrogo a Pierino Trapassi in arte Metastasio), e a un maggior fiorire di spiriti impavidi alla Parini (“Me non nato a percuotere / le dure illustri porte / nudo accorrà ma libero / il regno della morte. / No, ricchezza né onore / Con frode o con viltà / Il secol venditore |/ Mercar non mi vedrà” - La vita rustica). Penso al mercimonio universale realizzato sui mezzi mediali di comunicazione di massa da una massa, appunto, insanita ed allocca, che prende d’assalto la pletora di case editrici caserecce spuntate come funghi pronte, dietro cospicuo contributo preventivo, a stampare ogni sorta di asinerie. E questo sarebbe già di per sé un buon motivo per ritirarsi in buon ordine dalle piazze del mercato. Io vi sto seriamente meditando.

   Una non indifferente curiosità. Nella citata edizione newtoniana delle poesie è anche riportato un tondo di Arturo Martini raffigurante un corvo, purtroppo in bianco e nero e mal riprodotto (sul bianco e nero e sulla sua qualità sospendo il giudizio, non avendo  avuto modo di vedere l’originale), che faceva parte delle illustrazioni che il Martini fece per le poesie di Poe, fra le quali la più nota è appunto The Ravel, Il corvo, una straordinaria complainte, potrebbe dirsi, per la morte irrecuperabile dell’amatissima Lenora, inutilmente (ogni lunga, rivoluzionaria anche ritmicamente, strofa, è chiusa da un desolante nevermore, alternato a nothingmore) evocata: il lugubre svolazzare del corvo da una angolo all’altro della stanza lugubremente, funereamente lo sottolinea.

   La figura dei Arturo Martini, scultore e pittore eminente fra i suoi colleghi del ventesimo secoli, accusato di compromissione col Fascismo e perciò nel dopoguerra sostanzialmente ‘epurato’e trascurato dagli storici scolastici, la maggior parte rei confessi di chiusura mentale viziata d’ideologismo, mi è molto familiare fin dall’infanzia. Il Trevigiano fu uno dei tanti artisti che, proseguendo una prassi settecentesco-ottocentesca, nutrivano una predilezione per i luoghi dell’alta e bassa  Valle dell’Aniene, includente, oltre Subiaco, i paesi del versante sud, come Bellegra, San Vito Romano e Olevano Romano, il centro più sviluppato della zona, mto soprattutto  gli artisti tedeschi, tanto che ancora oggi è in esso operante un ramo dell’Accademia Tedesca di Villa Massimo in Roma, con sede a Villa Serpentara, immersa nel grande querceto che fu luogo preferito dei romantici, nelle immediate vicinanze di Casa Baldi che offre ospitalità agli artisti inviati dall’Accademia delle Arti di Berlino.

   Per tornare ad Anticoli Corrado, assai prossimo al mio paese natio, fu noto per la bellezza e prosperosità delle sue donne, disponibili a concedersi come modelle. Molti artisti (tra gli ultimi Fausto Pirandello, il cui padre Luigi volentieri lo accompagnava) lasciarono tracce della loro presenza, che ha consentito in tempi recenti al piccolo paese di allestire un interessante museo. Martini lasciò ad Anticoli ben altro che un quadro: sua di fatti è la bella e grande fontana posta al centro della piazza principale rappresentante l’arca di Noè. Attorno ad essa ancora continua a danzarsi e a cantare nelle rievocazioni folkloristiche. Ma di grandi artisti ormai solo Fantasmi, pochi gli eletti cui appaiono.   

   ______________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

  


 

 

 

 
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