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Italia armata

Post n°730 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da L'espresso
di Paolo Biondani

Pochi controlli.
licenze facili. Trucchi per aggirare la legge. Così sono ormai 13
milioni le persone che detengono fucili o pistole e si addestrano nei
poligoni. L'altra faccia di un Paese che ha paura. E che si difende da


 






Reati veri che fanno paura. Ma anche emergenze immaginarie che
gonfiano l'insicurezza 'percepita'. Stretti fra realtà e
propaganda, gli italiani si stanno silenziosamente armando. È un
fenomeno sommerso, che preoccupa tutte le forze di polizia. I
cittadini che possiedono armi da fuoco sono saliti a "circa tredici
milioni", secondo le stime dei funzionari delle principali
questure. Come dire che quasi un italiano su quattro ha in casa
almeno una pistola.



Cifre ufficiali non ne esistono, perché neppure il
ministero dell'Interno possiede dati aggiornati, incredibilmente,
nemmeno per le province a più alta densità mafiosa. Poliziotti,
carabinieri e finanzieri denunciano il sostanziale aggiramento dei
controlli attraverso veri e propri "stratagemmi legali". Come il
boom delle licenze di porto d'armi 'per uso sportivo'. Una crescita
improvvisa, considerata molto sospetta soprattutto nelle aree dove
è più sentito l'allarme sicurezza. Le forze di polizia temono che
questa corsa alle armi finisca per mettere in pericolo la
collettività, anziché proteggerla. E avvertono che il problema è
sempre più grave. Nonostante cinque anni di promesse.



La mattina del 2 maggio 2003 Giuseppe Leotta,
detto Pippo il pazzo, 32 anni, catanese di Aci Castello, esce di
casa con due pistole regolarmente denunciate 'per uso sportivo'. Ai
giardini pubblici uccide un pensionato di 66 anni. Sulle scale del
Comune ammazza un impiegato. Poi sale nell'ufficio del sindaco,
intima alla capogruppo di An di spostarsi ("Tu non c'entri") e
scarica sei pallottole contro il primo cittadino. Dietro l'angolo
c'è l'uffico del Commercio, dove Pippo il pazzo crivella di colpi
due impiegate. In paese esplode il panico. Lui non si scompone:
sequestra un automobilista e si fa portare fino al santuario di
Vittoria, dove si suicida. In casa la polizia gli trova altre due
pistole, tre fucili, un machete, tre asce, due caricatori, una
videocassetta di 'Taxi Driver'. E il porto d'armi per il poligono.
Tre giorni dopo, a Milano, un altro cittadino legalmente armato,
Andrea Calderini, 31 anni, psicotico con una svastica sulla porta e
il '666' dell'Anticristo sul campanello, scende le scale del suo
condominio con una Colt 45 Magnum. Al primo piano ammazza una
signora di 65 anni che, come tutti i vicini, lo considera "un matto
pericoloso". Poi si mette a sparare dal balcone e ferisce tre
passanti. Quindi uccide con 11 colpi la moglie 22enne. E alla fine
si ammazza.



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Anche Calderini, come Pippo il Pazzo, era un tiratore sportivo con
un'impressionante collezione di fucili e pistole. Si allenava nello
stesso poligono dei poliziotti del suo quartiere. Eppure da anni
era in terapia neuropsichiatrica. Ma la legge non prevede controlli
effettivi: per avere la licenza di sparare, bastano due
certificati.



La doppia strage del 2003 fa scandalo. Otto morti
in tre giorni sono troppi, almeno per l'allora ministro
dell'Interno Giuseppe Pisanu, forzista con il senso dello Stato
della vecchia Dc, che annuncia un giro di vite. Basta permessi
facili, d'ora in poi si faranno verifiche severe e ripetute
sull'equilibrio mentale e i precedenti di polizia di tutti i
privati che pretendano di armarsi. Cinque anni dopo, però, la vite
ministeriale si è allentata. L'accesso a fucili e pistole è ancora
più comodo di prima.



Se ci si accontenta di un primo livello statistico (l'unico
pubblicizzato), le autorizzazioni al porto d'armi sembrano calate
di un terzo: nel 2004 le licenze di prima classe, quelle 'per
difesa personale', erano 35.750; nel 2007 sono scese a 23.600. Meno
12 mila, per le pistole. Meno 150 per fucili e armi lunghe (da
1.750 a 1.600). Il problema è che, chiusa la porta, si sono
spalancate le finestre. Dal 2001 la privatizzazione della sicurezza
ha trasformato in business perfino la sorveglianza di depositi
nucleari o arsenali d'armi, in passato riservata all'esercito. E
così, per cominciare, la stretta ministeriale è stata più che
pareggiata dall'aumento delle guardie giurate: in tre anni i
vigilantes armati sono schizzati da 57 a 71 mila. Più 14 mila. E
ben più allarmante è lo stranissimo exploit di un altro tipo di
autorizzazione: il porto d'armi 'per uso sportivo'. "Ottenerlo è
molto semplice", spiega un dirigente della polizia: "In pratica
basta aver fatto il militare, non aver subito gravi condanne e non
risultare documentalmente pazzi".



Nel 2004 sono state rilasciate 199 mila licenze
sportive
, 207 mila nel 2005, 220 mila nel 2006, 222 mila
l'anno scorso. Questi permessi, a differenza dei precedenti che
hanno scadenze annuali, restano validi per sei anni. Tirando le
somme, oggi sono oltre un milione gli 'sportivi' che possono
circolare armati. Tutti i funzionari delle questure interpellati da
'L'espresso', da Milano a Roma, dalla Campania al Nord-est,
concordano che "le autorizzazioni per uso sportivo sono diventate
lo stratagemma più diffuso per aggirare la legge". Un trucco,
insomma. Con un'aggravante. "In passato il tiratore era obbligato a
dichiarare il poligono prescelto e a raggiungerlo seguendo un
percorso rigidamente prefissato", spiegano i poliziotti: "Oggi
invece un calabrese di Platì, se viene fermato con un'arma tra
Milano e Varese, può dire che sta andando ad allenarsi nella cava
di un amico".







Ad avere il coraggio di esporsi è Claudio Giardullo,
segretario generale del Silp, il sindacato di polizia della Cgil:
"Le licenze per uso sportivo sono la cartina al tornasole del vero
andamento del mercato delle armi in Italia. È una vergogna
che, dopo tante stragi, possano esistere scappatoie così facili per
eludere la legge.
Chiunque si occupi di prevenzione dei
reati sa che, se diventa più semplice comprare fucili e pistole, la
sicurezza dei cittadini diminuisce. Far credere che il cosiddetto
diritto all'autodifesa garantisca più protezione è una presa di
posizione irresponsabile".



Nei fatti, anche i campi da tiro seguono il trend delle armi e si
stanno moltiplicando. I poligoni ufficiali, autorizzati a
certificare "l'idoneità all'uso delle armi", sono 289. Ma le forze
di polizia segnalano "il proliferare di campi da tiro privati che
di fatto nessuno controlla". Maurizio Leone è il segretario
generale dell'Unione italiana tiro a segno (Uits), che ha il
compito istituzionale di addestrare e abilitare i privati e le
guardie giurate. "I nostri poligoni sono ipercontrollati: è
l'esercito a sorvegliare il rigoroso rispetto di tutte le misure di
sicurezza, dalle mura in cemento armato all'obbligo di registrare
chiunque venga a sparare. I campi da tiro privati, invece, non
hanno alcun dovere di identificare i frequentatori e nascono con
una semplice comunicazione al sindaco, magari del piccolo comune
che in teoria dovrebbe vigilarli. Neppure la polizia riesce a
censirli: ne vengono aperti a centinaia in mezza Italia. Basta
avere una cava o un terreno per creare un campo 'dinamico' dove
sparare in corsa sui bergagli. Sembrano teatri di guerre private e
sono totalmente fuori controllo".



Le sezioni provinciali dell'Uits funzionano come scuola di
tiro anche per i vigili urbani
che i sindaci di piccole e
grandi città, da Roma a Bologna, sull'esempio di Milano, Genova,
Napoli o Bari, vogliono far girare armati. Tra i mugugni delle
polizie statali, che temono quantomeno un caos di competenze con
gli sceriffi locali. Tuona Giardullo: "Armare tutti è facile. Ma
chi addestrerà i vigili a mantenere la calma in situazioni di
tensione e pericolo?". L'Uits è sopravvissuto al decreto
'taglia-enti' del 25 giugno scorso. "Ringraziamo il governo e
soprattutto il ministro della Difesa La Russa e il presidente del
Coni Petrucci", si legge nel comunicato diffuso il 7 luglio.



Anche comprare fucili e pistole è diventato più facile. Alle
normali armerie oggi si affiancano il commercio su Internet, le
riviste per appassionati e perfino qualche testata di annunci
gratuiti. "Vendo fucile", "Cedo pistole a prezzi interessanti". Sui
siti specializzati compaiono ogni giorno centinaia di nuove offerte
da privato a privato. Su Armiusate.it, il 9 luglio è stato messo in
vendita, "da Trapani", un bel "Kalashnikov Ak 47" alla modica cifra
di "500 euro". Su Mastergun.it, gli armieri Adolfo e Modesto
mostrano con "cortesia, competenza, qualità e prezzi convenienti"
le immagini di uno spettacolare "Beretta CX4 Storm": senza raffica,
altrimenti sarebbe un'arma da guerra. Chi compra deve avere la
licenza, naturalmente. Ma la trattativa via computer ha l'effetto
di azzerare quel controllo visivo che in genere sconsiglia
all'armiere di vendere un fucile di precisione al cliente con la
svastica sul braccio o allo strano signore che si sente
perseguitato dai vicini.







Se tra i politici c'è chi incoraggia l'autodifesa armata,
tra gli agenti che l'ordine lo devono mantenere davvero, domina un
giudizio opposto: "Più armi significa meno sicurezza". I dati sulle
cause di morte raccolti dall'Organizzazione mondiale della sanità e
dalla Croce rossa internazionale documentano che gli omicidi
aumentano proprio dove circolano più fucili e pistole. Negli Stati
Uniti se ne contano 90 ogni cento abitanti. E il tasso di decessi
provocati da armi da fuoco è il più alto dell'Occidente: 11,3 ogni
100 mila persone. All'estremo opposto, in Inghilterra e Galles,
dove pistole e fucili non superano i due milioni, il tasso
precipita a 0,3. L'Italia è una nazione in bilico. Da una parte il
nostro Paese è saldamente ai primi posti nelle classifiche mondiali
degli esportatori di armi. Dall'altro, la vendita è storicamente
limitata da obblighi e controlli pubblici. Ora, per la prima volta,
anche in Italia si sta creando un clima da Far West. Tra permessi e
scappatoie, le armi detenute legalmente sono salite a 16
milioni: 27 ogni cento abitanti
. E gli italiani
autorizzati a detenerle in casa sono 13 milioni: quasi uno su
quattro, neonati compresi.



L'incubo per tutte le forze di polizia è che questi arsenali
privati possano trasformare liti, raptus e rancori in tragedie. La
questione cruciale è l'insufficienza dei controlli psico-fisici
sulle persone che chiedono il porto d'armi. Oggi bastano una visita
del medico di famiglia e un certificato dell'Asl. Nella prassi, è
un controllo solo formale. Che, come denunciano i poliziotti di
Milano e Torino, "ormai si può anche comprare" in agenzie
specializzate, senza visite effettive, come succede per le patenti
di guida. Dopo le stragi del 2003, il piano del ministero prevedeva
di affidare i controlli a una più rigorosa commissione di cinque
esperti. Il progetto però è rimasto sulla carta. Anche se di armi
facili, in Italia, si muore troppo spesso. Omicidi-suicidi e stragi
familiari si susseguono. Come le giornate di ordinaria follia. Ma i
governi si mobilitano solo dopo le tragedie più spaventose.



Nel novembre 2007, a Guidonia (Roma), un ex ufficiale
dell'esercito, Angelo Spagnolo, 52 anni, trasforma il suo balcone
in un poligono. In tre ore di fuoco uccide due persone e ne ferisce
otto. Spara perfino contro due bimbe di quattro e cinque anni.
Ministro dell'Interno è Giuliano Amato, che rilancia d'urgenza il
giro di vite sui controlli. Ma il disegno di legge cade insieme al
governo Prodi.



Oggi al Viminale comanda Roberto Maroni, uomo di punta della Lega,
e alla Difesa Ignazio La Russa, il leader di An a Milano: due
partiti che hanno fatto del diritto all'autodifesa uno slogan
vincente. Sarà un caso, ma ottenere i dati sulle armi in Italia ora
è più difficile. Da Roma escono solo due tabelle, ferme a tre anni
fa: difesa personale e uso venatorio. Coincidenza vuole che siano
gli unici dati in calo.



Tra il 2004 e il 2005, infatti, le autorizzazioni ai cacciatori
erano leggermente diminuite, scendendo a quota 860.444 (meno
4.388). A condizione di restare anonimi, però, decine di poliziotti
di mezza Italia precisano che "le licenze venatorie valgono per sei
anni, per cui i cacciatori autorizzati sono in realtà circa 2,3
milioni e quelli attivi oltre un milione e mezzo". Proprio per le
armi da caccia (ne circolano "almeno 7 milioni e mezzo") le
questure segnalano "forti pressioni per allentare i controlli". I
poliziotti citano con rabbia "una circolare-scandalo che ha
liberalizzato i calibri, vietando solo il 22". "In pratica si può
far passare per arma da tiro al fagiano una calibro 9 per 21 e
perfino un Kalashnikov, purché manchi la raffica, che peraltro è
facile riadattare". E ancora: "Ci sono questure, in Lombardia e
Veneto, che disapplicano di fatto le circolari in vigore
ritenendole troppo permissive".



La liberalizzazione dei calibri, secondo i più pessismisti,
potrebbe favorire, oltre a singoli cittadini ben raccomandati,
perfino il traffico d'armi. A Brescia, ad esempio, è in corso una
delicatissima inchiesta su enormi carichi di armi 'leggere' made in
Italy sequestrate in Iraq a guerriglieri e terroristi.



Con il nuovo governo Berlusconi le voci critiche rischiano
di restare isolate
. Proprio la Lega Nord nel 2006 aveva
fortemente voluto la riforma della legittima difesa. Il codice
penale autorizzava i privati a usare le armi solo a condizioni
rigorose, come la "proporzione tra offesa e difesa": la vittima di
un reato doveva essere o almeno sentirsi in pericolo di vita. Dai
tempi del fascismo, dunque, in Italia era sempre stato vietato
sparare contro un ladro in fuga o vistosamente disarmato. Con le
nuove norme non si parla più di legittima difesa, ma di "diritto
all'autotulela in un privato domicilio". Da allora per trasformarsi
in giustizieri basta una minaccia, anche solo ipotetica, ai "beni
propri o altrui". La maggioranza dei giuristi è insorta contro
questa "licenza di uccidere", protestando che "la vita umana vale
più dei soldi". E per ora la magistratura tende a resistere,
richiedendo comunque la prova di un "timore di aggressione".



Di fatto tra i 50 mila detenuti italiani l'amministrazione
penitenziaria non segnala neppure un condannato per "eccesso di
legittima difesa". In compenso fa scalpore il semplice avvio di
un'indagine dovuta. Tra i casi più controversi c'è il processo ai
due gioiellieri di Milano che nell'aprile 2004 spararono a due
rapinatori in fuga, uccidendo un montegrino di 21 anni. Assolti
dall'accusa di omicidio, sono stati condannati solo per eccesso
colposo: un mese all'orefice, un anno e mezzo a suo figlio. Una
sentenza sospesa dalla condizionale e poi azzerata dall'indulto. A
Roma, nel maggio 2003, un orefice ha ammazzato due giovani
rapinatori italiani. Nel 2005 il tribunale lo ha assolto. E
l'allora ministro della giustizia, Roberto Castelli, ha commentato:
"Dopo anni di battaglie culturali, finalmente ci si occupa anche di
Abele e non solo di Caino". Nel 2006, mentre cambiavano le norme
sulla legittima difesa, quell'assoluzione è stata annullata. In
attesa del nuovo verdetto, nel marzo 2007 lo stesso orefice è stato
arrestato per strada, al Testaccio, con tre pistole, un caricatore
di riserva e altre pallottole in tasca. Secondo l'accusa, voleva
uccidere il fratello e poi ammazzarsi. Dichiarato seminfermo di
mente, è stato condannato a otto mesi.



Sono casi come questi a spiegare perché tutte le forze di polizia
continuano a pensare che l'uso delle armi debba restare monopolio
dello Stato. Gli omicidi in Italia sono in calo dal 1992, l'anno di
Tangentopoli e delle stragi contro i giudici Falcone e Borsellino.
Nel '91, prima delle grandi inchieste antimafia e del fenomeno dei
pentiti, si contavano 1.916 delitti. L'anno scorso 627.



L'attuale 'emergenza criminalità', che ha surriscaldato l'ultima
campagna elettorale, riguarda soprattutto i reati contro il
patrimonio: furti o rapine in casa. E proprio nelle province del
Nord, dove è più alta 'l'insicurezza percepita', crescono anche le
richieste di porto d'armi. Nel 2007, a Brescia, 6.500 cittadini
hanno chiesto la licenza e ben 2 mila l'hanno ottenuta "per uso
sportivo". Tra il 2006 e il 2007, nella provincia di Alessandria,
le autorizzazioni sportive sono salite da 609 a 756; nei primi
cinque mesi di quest'anno se ne contano già 406 e altre 316 a
Novara, contro le 508 dell'intero 2007. A Verona, l'anno scorso,
1.200 cittadini hanno chiesto armi sportive; tra gennaio e maggio
di quest'anno se ne sono aggiunti altri 590. E le richieste
respinte sono "rarissime".



Il 16 aprile scorso, tre giorni dopo la batosta elettorale, l'ex
ministro Amato ha legittimato anche i quattordicenni a sparare nei
poligoni. A preoccupare l'Uits era il "divieto assoluto di
consegnare armi ai minorenni", sancito da una Convenzione dell'Onu
e da una direttiva europea. La circolare però ha "chiarito" che
l'istruttore sportivo si limita ad "affidare temporaneamente"
l'arma al ragazzino. Di qui il via libera, che alcuni poligoni
interpretano con larghezza di vedute: a Bagheria (Palermo) la
sezione di tiro a segno organizza "corsi gratuiti di sparo a
partire dai dieci anni". E in aprile, all'inaugurazione del nuovo
poligono di Bologna (il più grande d'Italia con 74 linee di tiro ad
aria compressa), il presidente Maurizio Calzolari ha rivendicato
che "il nostro è uno sport per tutti, che si può praticare dai
dieci anni in su". Sparare è un piacere anche nelle scuole.
A Como quattro classi del liceo Ciceri (ex magistrali)
hanno fatto educazione fisica sparando al poligono di
Camerlata
. Entusiastici i commenti delle 17-18enni
intervistate dal quotidiano 'La Provincia'. "Mi piace fare centro".
"Non pensavo di avere questa mira". "Mi sono trovata bene in
particolare con la carabina ed il fucile".



In questo nuovo clima, fra tanti cittadini spaventati dai banditi
ora cominciano a spuntare anche famiglie impaurite dalle armi
facili. A Vicenza c'è chi è arrivato a fare causa allo Stato. Nel
luglio 1998 un vigilante, Giorgio Garbin, aveva ucciso un collega,
Silvano Pellizzari, nel piazzale della Marelli ad Arzignano.
Riconosciuto seminfermo di mente, l'omicida è stato condannato a
otto anni di carcere e a tre di ospedale psichiatrico. Nel 2006 è
tornato libero. La moglie della vittima, Maria Cristina, e il
figlio Riccardo nel 2004 hanno citato a giudizio il ministero, la
prefettura e l'Ulss 5 di Vicenza. "Garbin non aveva i requisiti per
ottenere il porto d'armi", spiega il loro avvocato, Ferdinando
Cogolato: "I carabinieri avevano avvertito che 'avrebbe potuto
abusare del porto d'armi', ma il loro rapporto è stato scavalcato
da un parere positivo. Anche il medico del paese ne aveva segnalato
le stranezze, ad esempio quando era arrivato a intossicarsi con i
diluenti per stordirsi".



La famiglia vicentina ha chiesto alle autorità un risarcimento di
840 mila euro, ma attende la sentenza dall'11 ottobre 2007, quando
la corte si è riunita in camera di consiglio. Un caso isolato? Non
proprio. Nel marzo scorso, a Boves (Cuneo), un uomo di 63 anni,
Francesco Briano, ha ucciso la madre e l'ex convivente prima di
togliersi la vita con la stessa pistola. Arrestato nell'84 per aver
sequestrato un poliziotto e i suoi tre figli, era stato dichiarato
seminfermo di mente. "Com'è possibile che, finite le cure
psichiatriche, gli abbiano ridato il porto d'armi?", chiedevano,
nel giorno della strage, i figli delle vittime.



Di questi e degli altri dati sulle morti violente, però, la
politica non parla. Forse perché a crescere in Italia sono
soprattutto i delitti che non è facile scaricare su nemici esterni:
gli "omicidi in ambito familiare" (saliti in quattro anni dal 16 al
32 per cento del totale) e i delitti legati a "raptus di follia,
motivi passionali, risse e rancori personali" (dal 14,8 al 20,9 per
cento). "E in questa situazione", tuona un alto dirigente della
polizia, "vi sembra logico distribuire armi nelle famiglie?".
(17 luglio 2008)

 
 
 
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