IL GAY HA DIRITTO ALLA SUA SESSUALITà (CASSAZIONE 16417/2007)
La libertà sessuale è tutelata dall’articolo 2 della Costituzione
Il gay ha diritto alla sua sessualità
(Cassazione 16417/2007)
L’omosessualità
è una condizione dell’uomo degna di tutela, in quanto la libertà
sessuale deve essere intesa come libertà di vivere senza
condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze. Il principio è
stato sancito dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione che
si è pronunciata sulla vicenda di un immigrato senegalese che aveva
proposto ricorso al Giudice di pace di Torino contro l’ordinanza di
espulsione sostenendo di non poter fare rientro nel proprio paese a
causa della sua omosessualità, esibendo come prova la tessera
dell’Arcigay. Il Giudice di Pace gli aveva dato ragione, ritenendo
l’omossessualità “condizione degna di tutela”, ma la decisione era
stata contestata dalla Procura di Torino che aveva fatto ricorso in
Cassazione. La Suprema Corte ha ritenuto che non sia sufficiente
dichiararsi gay per ottenere il permesso a rimanere in Italia e che la
semplice iscrizione ad una associazione non costituisce una prova certa
di omossessualità, e per questo ha ordinato nuove indagini al fine di
approfondire l’effettiva condizione di omossessualità dell’immigrato e
l’esistenza di una legge punitiva in Senegal; non ha tuttavia mancato
di sottolineare – e qui sta la portata innovativa della decisione – che
l’omossessualità è un diritto, e la scelta è da tutelare in nome della
libertà sessuale, che va intesa come libertà di vivere senza
condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze, “espressione del
diritto alla realizzazione della propria personalità, tutelato
dall’art.2 della Costituzione”. Per questo motivo la sentenza è stata
accolta e commentata con favore dalle associazioni omossessuali e da
alcuni esponenti politici, tra i quali Franco Grillini ed il Ministro
della Famiglia Rosy Bindi. (24 settembre 2007)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.16417/2007
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Mario Adamo Presidente
Dott. Carlo Piccininni Rel. Consigliere
Dott. Luigi Macioce Consigliere
Dott. Vittorio Ragonesi Consigliere
Dott. Bruno Spagna Musso Consigliere
Ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
Sul ricorso proposto da:
Ufficio
Territoriale del Governo di Torino in persona del Prefetto, domiciliato
in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello
Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;
-ricorrente-
Contro
F.C.;
-intimato-
Avverso il decreto del Giudice di Pace di Torino emesso nel procedimento n. 259/04 in data 21.12.2004.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16.4.2007 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;
Udito
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio
Golia, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto e Diritto
Con
decreto del 21.12.2004 il giudice di Pace di Torino accoglieva il
ricorso proposto da C. F. , cittadino senegalese, avverso il decreto di
espulsione emesso nei suoi confronti ai sensi dell' art. 14, comma 5
ter, d.lgs. 286/98[1], ravvisando la sussistenza di una delle ipotesi
previste dall'art. 19 del detto decreto.
In particolare
la disposizione citata vieta l'espulsione verso stati in cui lo
straniero potrebbe essere oggetto di persecuzioni, fra l'altro per
motivi sessuali, e dalla documentazione acquisita sarebbe emerso sia
che il F. è omosessuale, sia che l'omosessualità in Senegal è punita
con la reclusione da uno a cinque anni.
Avverso il detto
decreto la Prefettura di Torino proponeva ricorso per cassazione
affidato ad un solo motivo, cui non resisteva il F. , con il quale
denunciava l'erroneità della decisione sostenendo che non fosse
configurabile la prospettata ipotesi della persecuzione, non potendo
considerarsi tale la previsione della reclusione, che peraltro non
risultava essere stata inflitta, e lamentando che comunque la semplice
iscrizione a due associazioni frequentate da omosessuali, in mancanza
di ulteriori dati (quali ad esempio la data di adesione) sarebbe
inidonea a dimostrare l'effettiva omossessualità dell'iscritto.
La doglianza è fondata nei termini e nei limiti appresso precisati.
Al
riguardo va innanzitutto osservato, in via preliminare, che è del tutto
condivisibile l'affermazione contenuta nel decreto impugnato, secondo
la quale l'omosessualità va riconosciuta "come condizione dell'uomo
degna di tutela, in conformità ai precetti costituzionali", assunto da
cui discende che la libertà sessuale va "intesa anche come libertà di
vivere senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze
sessuali", in quanto espressione del diritto alla realizzazione della
propria personalità, tutelato dall'art. 2 della Costituzione.
Partendo
da tale corretta premessa , tuttavia, il giudice di pace è pervenuto a
conclusioni che non appaiono sorrette da adeguata motivazione.
Egli
ha infatti ritenuto sussistere l'ipotesi prevista dall'art. 19, comma
1, D.Lgs. 286/98 (che stabilisce il divieto di espulsione dello
straniero, ove potenzialmente esposto a persecuzione, fra l'altro per
motivi di sesso ricorrenti nella specie) in ragione di un duplice dato,
vale a dire la configurabilità di un fatto persecutorio nella
previsione della omosessualità come reato, punito con la reclusione da
uno a cinque anni, nello stato di appartenenza del soggetto espulso
(SEnegal), e l'accertata omosessualità del F.
Come
rilievo preliminare sul primo dato sopra considerato sembra intanto
utile precisare che per persecuzione si deve intendere una forma
radicale e spietata di lotta contro una minoranza, che si manifesta con
maltrattamenti, soprusi, coercizioni e modalità comunque contrarie alla
tutela dei diritti umani.
Tale strategia di aggressione
può però essere attuata non solo con vessazioni di carattere materiale,
ma anche sul piano giuridico sicché, contrariamente a quanto affermato
dal ricorrente, per integrare il concetto di persecuzione è sufficiente
– in via del tutto astratta e salve le ulteriori specificazioni sul
punto – la semplice previsione del comportamento che si intende
contrastare come reato punibile con la reclusione (tanto piu' ove le
modalità di attuazione del trattamento penitenziario nello stato
senegalese avessero carattere vessatorio e fossero lesive della dignità
umana), non essendo a tal fine necessaria anche la concreta emanazione
di una condanna.
Tuttavia, oltre al fatto che non è
stato accertato se l'ordinamento giuridico senegalese preveda degli
istituti che consentano il differimento della esecuzione della pena o
la sua attuazione al di fuori delle strutture penitenziarie (quali a
titolo esemplificativo la sospensione della pena o l'affidamento al
servizio sociale), il punto di decisiva rilevanza che è rimasto in
ombra nella decisione impugnata è quello relativo all'identificazione
dell'oggetto del precetto penale dettato nella legislazione senegalese.
Ed
invero, contrariamene a quanto ritenuto dal ricorrente, la statuizione
relativa al divieto di espulsione non è errata perché in contrasto "con
le basi del principio di autodeterminazione e sovranità dello stato
straniero inteso come sistema di norme", e ciò in quanto la questione
da affrontare non è quella concernente la possibile interferenza della
decisione con l'autonomia legislativa degli altri Stati, ma piuttosto
quella di soddisfare l'esigenza di evitare ingiuste sopraffazioni nei
confronti di cittadini stranieri, aprioristicamente legate ad un fatto
di appartenenza (razza, sesso, cittadinanza, religione, opinioni
politiche, condizioni personali o sociali).
Tuttavia,
fermo restando quanto sinora esposto, il semplice richiamo alla
rilevanza penale attribuita all'omosessualità nello stato senegalese
non vale di per sé ad integrare gli estremi del fatto persecutorio,
essendo questo configurabile soltanto laddove la sanzione penale sia
prevista con riferimento alla qualità dell'agente, e non
necessariamente anche in realzione alle pratiche che dalla stessa
eventualmente conseguano.
Ai fini dell'accertamento
della ravvisabilità o meno di un fatto persecutorio occorre cioè
stabilire, venendo al concreto, se la legislazione senegalese preveda
come reato il fatto in sé dell'omosessualità (ipotesi che certamente
varrebbe in sé ad integrarne gli estremi), ovvero soltanto
l'ostentazione delle pratiche omosessuali non conformi al sentimento
pubblico di quel paese atteso che , in tale ultimo caso, il divieto non
si sottrarrebbe al principio di ragionevolezza.
Solo
nella prima ipotesi, infatti, sarebbe ravvisabile un fatto
persecutorio, alla stregua dei principi generali di libertà e dignità
delal persona.
L'accoglimento dell'opposizione del F. ,
come detto, è stata determinata dall'ulteriore dato relativo alla prova
che sarebbe stata raggiunta in ordine alla sua omosessualità.
In
particolare è stato già rilevato che detta prova è stata ricavata
dall'essersi egli "iscritto all'Arci Gay in tempi non sospetti, subito
dopo il suo ingresso in Italia, e di essere socio da diversi anni di un
altro club riservato agli omosessuali".
Si tratta
certamente di elementi indiziari significativi, che però non risultano
tali da conferire la certezza necessaria alla dichiarata omosessualità
del F.
Giova innanzitutto premettere, in proposito che
la natura della fattispecie in esame richiede una rigorosa attenzione
nell'esame del materiale probatorio, poiché è una ipotesi derogatoria
rispetto alla disciplina generale dell'espulsione e per di piu' , ove
diversamente considerata, potrebbe dare adito a strumentalizzazioni e
ad agevoli elusioni della disciplina generale, strumentalizzazioni che
non possono comunque essere escluse solo per il tempo trascorso dalla
data di iscrizione ai Club (cui il giudicante ha annesso significativa
rilevanza), non necessariamente riconducibile ad una genuinità di
intenti.
Orbene, alla luce di quanto ora esposto è da
ritenere che la semplice iscrizione (nel caso in esame duplice ) ad un
club di omosessuali non rappresenti una prova sufficiente a dare
dimostrazione di una omosessualità dichiarata dell'iscritto, la quale
pure potrebbe provarsi con il ricorso alla prova orale.
Indipendentemente
da quanto detto a proposito della possibile strumentalità delle
adesioni (che già di per sé renderebbe insufficiente la prova della
omosessualità, ove non ulteriormente confortata), va infatti rilevato
che dal provvedimento del giudice di pace non si evince che vi sia
stato accertamento in ordine alla limitazione della iscrizione in
favore di omosessuali, che al contrario dell'art. 8 dello Statuto
dell'Arci Gay, quale riportato nel ricorso, si desume che l'iscrizione
non soffre di limitazioni sul piano sessuale (la stessa è invero
consentita a tutti coloro che si riconoscono nelle finalità
dell'associazione), che non solo non vi sono ragioni di ordine logico
che possano indurre a prevedere limiti di iscrizione in relazione agli
orientamenti sessuali, ma sono viceversa individuabili chiare ragioni
in senso opposto, non essendovi motivo di operare discriminazioni sulla
base di opzioni personali sul piano sessuale (eterosessuale o
omosessuale), a fronte di iniziative di sostegno in favore
dell'associazione per le finalità da essa perseguite.
In
conclusione il ricorso deve essere accolto, con cassazione del decreto
impugnato e rinvio al giudice di Pace di Torino in persona di altro
giudicante, per una nuova delibazione in ordine all'opposizione del F.,
alla luce delle considerazioni sinora svolte.
In giudice di rinvio provvederà infine anche alla liquidazione delle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie
il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvio al giudice di pace di
Torino in persona di altro giudicante, anche per le spese del presente
giudizio.
Roma, 16.4.2007.
Il Consigliere estensore Il Presidente
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL 25 LUGLIO 2007.