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Il modello permetterà di studiare il miglior metodo per amministrare la profilassi ed effettuare altri esperimenti sulla prevenzione dell'HIV-1 che non sarebbe agevole effettuare sugli esseri umani
Alterando un solo gene del virus HIV-1, un gruppo di infettivologi guidati da Paul Bieniasz e Theodora Hatziioannou della Rockefeller University è riuscito a infettare alcuni macachi nemestrini con una versione del virus che finora è stata impossibile da studiare direttamente sugli animali.
Il nuovo ceppo del virus è già stato utilizzato per dimostrare un metodo per prevenire l'infezione e, con un piccolo miglioramento, potrebbe essere un modello affidabile per realizzare un vettore per un candidato vaccino.
"Questo modello ci permetterà di studiare il miglior metodo per amministrare la profilassi ed effettuare altri esperimenti sulla prevenzione dell'HIV-1 che non sarebbe agevole effettuare sugli esseri umani”, ha spiegato Bieniasz, direttore dell'Aaron Diamond AIDS Research Center Laboratory of Retrovirology della Rockefeller e ricercatore dell'Howard Hughes Medical Institute.
Secondo quanto riferito in un articolo pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences” , la sperimentazione ha mostrato come il virus ingegnerizzato e inoculato nelle scimmie inizialmente si diffonda in modo altrettanto rapido di quanto avviene nell'essere umano e rimanga rivelabile per almeno sei mesi. Ma l'aspetto peculiare è che il virus non è in grado di di innescare la malattia nell'animale, che si comporta come l'analogo di un ospite HIV-positivo con un sistema immunitario eccezionale, capace di tenere sotto controllo l'infezione.
La ricerca prende le mosse dagli studi di Bieniasz, Hatziioannou e colleghi presso l'Aaron Diamond AIDS Research Center su due gruppi di geni a rapida evoluzione APOBEC3 e TRIM5, che producono classi d'insolite proteine che consentono all'ospite di difendersi dall'attacco dei retrovirus come l'HIV.
Tali geni, condivisi dall'essere umano e dagli altri primati, hanno subito mutazioni specifiche in ogni specie e sono state selezionate dall'evoluzione nel corso dei millenni di lotta tra gli organismi e i retrovirus. Nella maggior parte delle scimmie, le proteine codificate dai geni APOBEC3 e TRIM5 uccidono l'HIV, rendendo impossibile ai ricercatori studiare il virus in un modello animale.
Per molto tempo, quindi, si è studiato il virus da immunodeficienza delle scimmie (SIV), che causa una malattia simile all'AIDS in alcune specie. Ma il SIV condivide con l'HIV soltanto metà della sua sequenza aminoacidica, rendendolo un sostituto molto imperfetto per testare farmaci e vaccini anti-HIV. Con questo nuovo risultato, i ricercatori sono riusciti a realizzare un ceppo denominato stHIV-1 (da simian-tropic HIV-1) condivide circa il 95 per cento del genoma con la versione umana. (fc)
di Le Scienze
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