Creato da dream.of_fable il 24/06/2010

dream of fable

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La bella e la bestia 3 parte (favola originale)

Post n°5 pubblicato il 24 Giugno 2010 da dream.of_fable
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E invece furono costrette a partire anch'esse per la campagna, perché i ricchi pretendenti si erano tutti dileguati e non volevano più saperne di loro, ora che non portavano in dote che il loro cattivo carattere. Tuttavia molti giovani fecero sapere a Bella che sarebbero stati felici di sposarla anche se povera, perché le sue qualità valevano più di una ricchezza; ma Bella col suo garbo consueto fece sapere che non avrebbe mai abbandonato suo padre in un momento tanto triste, e che si disponeva a partire anche lei. Partiva con coraggio, pronta ad affrontare la nuova vita.

Quando arrivò in campagna Bella spalancò tutte le finestre affinché la casa si riempisse di sole, di profumi e di gorgheggi di uccellini, e apparisse meno triste alle due sorelle che si erano gettate gemendo sui loro letti di ferro. Ma le due ragazze non si commossero, e rimasero a piangere fino all'ora di cena, quando scesero a mangiare i semplici e buoni cibi che Bella aveva preparato con i prodotti dell'orto e del frutteto. Per fortuna sapeva cucinare, e da quel giorno fu compito suo badare ai fornelli, alla stalla, all'orto al pollaio. Ella lavorava allegramente cantando e non sembrava neppure avvertire la fatica. Le sorelle, invece, che erano molto pigre, preferivano stare a letto fino a mattino avanzato; più tardi scendevano a far colazione e poi passeggiavano malinconicamente nel giardinetto e non facevano che rimpiangere il tempo passato. Bella si alzava all'alba, riordinava la casa, innaffiava l'orto, curava le galline, i porcellini, i vitellini, lavava i panni al ruscello, e soltanto nei momenti di libertà sonava il cembalo o leggeva qualche libro. Poi, quando il padre e i fratelli ritornavano stanchi dai campi, ella aveva già preparato una buona cena in una cucina accogliente e pulita, ornata di stampi di rame scintillante; e pian piano la forza d'animo di Bella e la sua serenità infusero coraggio a tutta la famiglia, fuorché alle due sorelle maggiori, occupate a rimuginare di continuo la loro amarezza.

Una sera giunse un secondo messaggio. Tutta la famiglia allora, si riunì accanto alla lucerna, e una viva ansia era dipinta sui volti dei suoi componenti. Il messaggio annunciava che proprio quella mattina una nave del mercante, carica di mercanzie, era finalmente giunta in porto. A quella notizia le sorelle non seppero trattenere l'entusiasmo. "Evviva! Siamo ridiventati ricchi!" esclamò la maggiore,"finalmente potremo tornare di nuovo in città!" "Bisogna pensare subito ai vestiti!" rincarò la seconda, "non mi sono rimasti che stracci, da mettermi addosso." "Calma, calma, figlie mie!" esortò il mercante, "una nave è soltanto una nave, e non può rappresentare la ricchezza passata. Inoltre dovrò pagare i marinai, e mi è rimasto anche qualche debito. Aspettate il mio ritorno e vedremo." "Parli così per farci dispetto, come al solito" rimbecco la maggiore con acrimonia, "al tuo ritorno portami un abito di velluto azzurro guarnito di merletti d'argento." "E a me un paio di scarpine di raso" rincarò la seconda, "ho bisogno anche di un ventaglio d'avorio, di orecchini di brillanti, di collane di smeraldo, di braccialetti, di un diadema ... e dieci braccia di seta della Cina per confezionarmi un po' di biancheria ... e un paio di guanti lunghi fino al gomito."

Le due ragazze continuarono per un pezzo e il mercante le ascoltava sconsolato. Anche se non avesse avuto debiti da pagare, il carico della nave sarebbe bastato appena a comperare la metà di ciò che le ragazze domandavano. Poi si volse dolcemente a Bella. "E tu non domandi niente, figlia mia?" le chiese sollecito. Bella ci pensò. Non desiderava proprio niente, e si sentiva felice così com'era; tuttavia un piccolo regalo le avrebbe fatto piacere, perciò disse: "Vorrei un ramoscello di rose: nell'orto non ce ne sono, ma io potrei piantarlo, e forse attecchirebbe." Il mercante sorrise, poi andò subito a letto per alzarsi per tempo l'indomani. Infatti all'alba i figli sellarono il cavallo ed egli partì. Era pieno di speranze, ma giunto in città seppe che la nave era arrivata, ma egli purtroppo non avrebbe potuto godere nemmeno una briciola di quelle ricchezze, perché i marinai aspettavano la paga da molti mesi e la nave, sconquassata da un fortunale, doveva essere riparata da cima a fondo; inoltre si erano già presentati parecchi creditori a reclamare il loro avere. Quando ebbe finito di pagare tutti, il pover'uomo si trovò senza nemmeno un soldo in tasca. Allora si affrettò verso casa, desideroso di riabbracciare i suoi figlioli. Ormai si era affezionato alla campagna, e quasi gli dispiaceva di quello spiraglio di ricchezza inattesa che si era aperto nella sua vita, per procurargli nuove delusioni; era felice soltanto in mezzo ai campi, quando sentiva i suoi figli cantare vicino a sé, anche se lo affliggeva la disperazione palese delle due maggiori che non sapevano rassegnarsi a quella nuova vita. Spronò il cavallo, e verso sera giunse nei paraggi di casa sua, ma doveva prima attraversare un bosco, sotto la cui cupola di foglie faceva tanto buio che egli si smarrì. Era molto freddo. La neve cadeva di traverso spinta dalla bufera, e a poco a poco i rami si coprivano di bianco, mentre gli uccellini svolazzavano affamati e impauriti proprio come lui. Aveva paura, perché sentiva i lupi ululare e il vento era così furioso che lo fece cadere di sella due volte, ma mentre, sfinito, stava per abbandonarsi allo scoraggiamento, vide brillare un lumicino fra gli alberi. Rincuorato, spinse il cavallo in quella direzione, e poco dopo giunse con grande sorpresa davanti a un palazzo stupendo.

"Mio dio, ti ringrazio!" esclamò. "Mai ho veduto un palazzo così bello. Chiederò ospitalità, e passerò la notte al riparo." Il palazzo aveva scalinate di marno e ampi cortili, ma il mercante non riuscì a vedere né servi, né sentinelle. Stupito, avanzò un po' timidamente, e superato un portone di legno intarsiato, si trovò in un vasto salone pieno di mobili ricchi e preziosi. Al di là c'era una terrazza di marno bianco che digradava verso un meraviglioso giardino pieno dei fiori di un'eterna primavera. Prati di un verde smeraldino, ruscelli d'argento, piante fiorite, cespugli di rose, fiancheggiavano un maestoso viale formato da alberi centenari. Il mercante incominciò a percorrere il viale come trasognato, ma, guardando le rose, si ricordò di Bella. La sua diletta figliola gli aveva chiesto un ramoscello di rose: e qui, di rose ce n'erano tante! Stacco con cura un rametto ornato di boccioli, ma in quell'istante udì un grido spaventoso, i cespugli si aprirono e davanti a lui apparve un essere mostruoso, che aveva un po' dell'uomo e un po' dell'animale e lo fissava con occhi fiammeggianti.

 
 
 
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