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La bottiglia

Post n°34 pubblicato il 15 Gennaio 2008 da effimerofranck
 

Franco A. quella mattina non aveva impegni da dover onorare e, del resto, nemmeno voleva, come altre volte, andarsene a cogliere le voci ed i colori delle strade che vanno dal Portico d’Ottavia a Campo de’ Fiori.

Decise che era bene inviare un messaggio alla signorina Francesca C. Entrato deciso in un negozio d’articoli per la casa si diresse verso uno scaffale sul quale erano allineate, tra le altre cose, molte bottiglie. Ne scelse una il cui tappo garantiva una chiusura ermetica, pagò alla cassa quanto dovuto non senza aver osservato, la commessa sorrise educata, che sarebbe stato opportuno ordinare anche delle bottiglie più piccole, ché quelle che aveva visto erano tutte da un litro ed uscì nella strada.

Ora, perché il suo progetto si realizzasse, occorreva procurarsi della carta da lettera, cosa che fece entrando nella prima cartoleria che gli capitò d’incontrare.

“Perfetto”, - si disse – ora c’è tutto”.

La signorina Francesca C. svolgeva la sua professione di medico in uno studio di Formia, città del resto nella quale essa viveva, distante non molto dal mare.

Franco A., da parte sua, trascorreva le ore che dedicava al lavoro in un edificio situato sul lato sinistro del Tevere, in Roma, giusto all’altezza dell’Isola Tiberina.

“Se io scrivo un messaggio”, - pensò – “lo chiudo in questa bottiglia e poi affido il tutto alla corrente del fiume è ben possibile che esso arrivi, prima o poi, se la buona sorte l’assiste, ad incontrare lo sguardo di Francesca”.

Sarebbe bastato, gettata la bottiglia in acqua, telefonare alla signorina, avvisarla della cosa ed essa, sorridente e premurosa, si sarebbe recata, di tanto in tanto, sulla riva del mare fino a quando non le fosse stato possibile venire in possesso del messaggio inviatole. Qualche giorno, presa dai suoi impegni, avrebbe anche potuto non ricordarsi dell’arrivo imminente ma, in tal caso, la vista di un gabbiano del porto le avrebbe parlato di altri gabbiani lontani, lì volteggianti sulle acque del Tevere che scorrono sotto la Sinagoga, ed essa sarebbe corsa, appena possibile, fin sul luogo del suo appuntamento.

Senza pensarci oltre Franco A. vergò dei pensieri su di un paio di foglietti, piegò questi diligentemente, e li mise in una busta entrando poi in un vicino ufficio postale. Prese a guardare l’addetta allo sportello, una giovane signora, almeno così sembrava dalla fede all’anulare, che con aria assente calcolò il peso della missiva e c’incollò sopra i francobolli necessari.

Mentre Franco A. era intento a considerare i motivi che potevano esser dietro la malinconia dell’impiegata, un marito che la tradiva?, difficoltà finanziarie a causa dell’incauto acquisto di un oggetto da molto tempo desiderato?, un suo figliolo affetto da una di quelle malattie che son tipiche dell’infanzia?, si avvide che non aveva previsto tutto.

Sì, è vero, si era detto che forse a Francesca il caso non avrebbe consentito d’incontrare la bottiglia.

Sarebbe potuto accadere che essa rimanesse impigliata tra i rami di qualche albero che la corrente del fiume aveva deposto lungo la riva.

Sarebbe potuto altresì accadere che essa finisse con l’arenarsi in un qualche tratto del Tevere in cui il fondale era basso.

E, giunta nel mare aperto, chi può dire a quali prove essa sarebbe andata incontro?

Francesca avrebbe scrutato invano tra le cose che le onde lasciano sulla riva e quando un giorno, disincagliatasi, trovata la giusta via, fosse finalmente giunta, essa avrebbe potuto non essere presente.

Per premunirsi da simili rischi Franco A. aveva pensato bene di chiudere nella bottiglia il messaggio in una busta già pronta con l’affrancatura e con l’indirizzo completo della casa in cui la signorina Francesca C. abitava da sempre.

La persona che fosse venuta in possesso della bottiglia vi avrebbe trovato dentro anche un foglietto in cui la si invitava ad imbucare la lettera alla prima cassetta per corrispondenza che avesse trovato.

Chi aveva affidato alle acque del fiume qualcosa di sé avrebbe corrisposto con una bottiglia di ottimo cognac, Franco A. aveva ovviamente avuto la premura d’indicare un proprio recapito telefonico, alla cortesia di chi avesse riparato ai torti del caso.

Cominciò a subire la fredda immobilità del dubbio. Nella malaugurata ipotesi che il suo messaggio non fosse giunto, nella maniera più naturale, nelle mani di chi avrebbe dovuto accoglierlo, chi poteva garantirgli che altre mani avrebbero avuto per esso la medesima cura?

Aveva pensato, si dava dell’ingenuo, che la promessa di una bottiglia piena di un buon liquore avrebbe senz’altro salvaguardato, dopotutto l’alternativa era una bottiglia vuota più alcuni fogli di carta senza valore per altri, l’integrità della lettera quand’anche ce ne fosse stato bisogno: quella promessa era un di più, un semplice grazie.

Il favore che chiedeva non era poi gran cosa, per lui sarebbe stata cosa ovvia venire incontro a qualcuno che avesse espresso la stessa richiesta.

Cominciò a pensare che forse chi si fosse imbattuto nella bottiglia, un pescatore sulla riva del fiume, un bagnante di Ostia o di Fiumicino, non avrebbe resistito alla curiosità di leggere cosa fosse scritto in quella lettera.

Si diceva che spesso, accadeva anche a lui, un piacere piccolo ma immediato si fa preferire ad un vantaggio maggiore ma di là da venire.

E, poi, ché forse la persona che senza averne il diritto fosse venuta a conoscere le parole che lui aveva scritto sarebbe stata lì a porsi di questi problemi?

Uno vede una bottiglia strana con qualcosa dentro che le onde del mare fan rotolare lì sulla battigia, la prende, l’apre, vede che c’è una lettera e strappare la busta e leggerne il contenuto è tutt’uno.

Franco A. riceveva dalle mani della giovane signora delle Poste la sua lettera e se ne stava lì indeciso. Risolse di incamminarsi verso il fiume e con sé portava tutte le sue cose.

Si soffermò per un attimo a pensare, il giorno prima lui e la signorina Francesca C. avevano favoleggiato di balene ed altri animali, al luogo in cui le cose trovano un loro giusto suono e dove il bianco corpo di una giovane donna è il fantasma di Moby Dick. Pensò, d’altronde, quanto sia poco lo spazio che divide talvolta un’affermazione banale da un pensiero profondo.

Si sentì un po’ sciocco ma poi si disse, convinto, che sì, qui non c’era nessun messaggio, che esistevano soltanto delle bottiglie. La sua bottiglia era quello che lui aveva da dire.

 
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