ElettriKaMente
Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)
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AVVISO AI NAVIGANTI...
Tutti i passanti sono gentilmente invitati a lasciare fuori da questo blog:
incontinenze di ogni genere e tipo,
pratiche onanistiche finalizzate alla pubblicazione
e manie persecutorie-vittimistiche,
grazie.
Anche se il blog é moderato, ogni intervento pervenuto viene pubblicato.
Qualora il vostro non risulti, invece, visibile tra gli altri è semplicemente perché, presentando tracce delle sopracitate (incontinenze, pratiche onanistiche o manie persecutorie-vittimistiche)
vergognandosi di se stesso e di chi l'ha messo al mondo, si è autoeliminato.
Capisco che il nome del blog potrebbe trarre in inganno, ma qui non troverete il supporto psichiatrico che andate cercando.
Cordialmente,
Elettrikamente,
EleP.
« Le regole della marmella... | MATTA IN MEZZO AI MATTI » |
«2 + 2 = 4 è giusto; 2 + 2 = 5 è meraviglioso»
Fëdor Michajlovič Dostoevskij
Non solo la matematica e la filosofia sono figli legittimi della logica, anche la grammatica è una sua regolare erede.
Dostoevskij riteneva che ci dovesse essere un segreto accordo mentale fra la matematica e la poesia e che ogni qual volta le espressioni della prima si congiungono a quelle della seconda, il risultato fosse la meraviglia del nonsense.
Ma talvolta, paradosso dei paradossi, accade che proprio dal nonsense scaturisca un soccorso alla logica più inattaccabile.
Prendiamo il dialogo fra la Lepre marzolina, altrimenti detta Leprotto bisestile e la sempre più spaesata Alice in un paese (anche) di meraviglie sillogistiche…
"Allora dovresti dire quello a cui credi", riprese la Lepre Marzolina.
"È quello che faccio" - rispose subito Alice - " O, almeno credo a quello che dico…il che poi è la stessa cosa."
"Niente affatto, non è la stessa cosa!"- puntualizzò il Cappellaio - "E’ come se tu sostenessi che affermare vedo quello che mangio sia equivalente a dire mangio quello che vedo!"
Ed in effetti, la precisazione del Cappellaio matto, è perfettamente logica e pertinente.
Affermare quello in cui si crede, infatti, non equivale al credere a quello che si dice.
Il primo caso – dire quello in cui si crede - implica il presupposto che ogni volta si crede a qualcosa, la si dica.
Il secondo caso, invece, non implica affatto questo presupposto come una conditio sine qua non, e non ritiene che l’affermare qualsivoglia cosa sia una conseguenza diretta del credere. Presuppone, invece, che quando (e se) si esprime qualcosa, se ne sia convinti.
Il che, però, non significa necessariamente che, pur essendo convinti di qualcosa, la si debba obbligatoriamente dichiarare (come, al contrario, viene evidenziato nel primo caso).
Il fatto è che non è difficile distrarci e, per lassismo o per eccessiva ansia di semplificazione, talvolta capita che non ci si renda neppure conto di articolare un concetto con un significato molto lontano da quello che si credeva di esprimere.
Un po' come succede ad Alice, sempre precipitosamente certa delle sue acquisite convinzioni...
E su di lei, infatti, Carrol precisa che “siccome non era in grado di rispondere a nessuna delle domande, non dava molto peso alla maniera in cui se le poneva.”
Conclusione? Se per l’aritmetica 2 + 2 = 4 è giusto e per la letteratura 2 + 2 = 5 è meraviglioso…per me, invece, è semplicemente fantastico che dalla follia possa scaturire la più lucida delle ragioni…
“Alice, ma tu ogni tanto impari qualcosa dalle tue esperienze passate o cosa?”
“Cosa.”
NOTA: L'immagine utilizzata per il post è stata reperita dal web e non è stato possibile risalire all'autore. Pertanto, qualora il legittimo proprietario lo richiedesse verrà subito rimossa. Grazie!
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