ElettriKaMente
Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)
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Tutti i passanti sono gentilmente invitati a lasciare fuori da questo blog:
incontinenze di ogni genere e tipo,
pratiche onanistiche finalizzate alla pubblicazione
e manie persecutorie-vittimistiche,
grazie.
Anche se il blog é moderato, ogni intervento pervenuto viene pubblicato.
Qualora il vostro non risulti, invece, visibile tra gli altri è semplicemente perché, presentando tracce delle sopracitate (incontinenze, pratiche onanistiche o manie persecutorie-vittimistiche)
vergognandosi di se stesso e di chi l'ha messo al mondo, si è autoeliminato.
Capisco che il nome del blog potrebbe trarre in inganno, ma qui non troverete il supporto psichiatrico che andate cercando.
Cordialmente,
Elettrikamente,
EleP.
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E’ luogo comune affermare che la differenza tra l’esistere ed il vivere sia una partita che termina con la vittoria della seconda a discapito della prima.
Credo, in parte, perché erroneamente è stato accomunato al concetto di esistere quello passivo di vegetare, inteso come il condurre una vita in stato d’inerzia e d’incoscienza nella quale vengono esplicate esclusivamente le proprie funzioni basiche ed essenziali, parimenti (o quasi) ad un qualsiasi organismo vegetale che in un terreno argilloso si alimenta, cresce e respira; ma al di là del fatto d’essere in grado di sintetizzare le proprie molecole organiche da sostanze inorganiche non fa poi molto per spassarsela.
O, almeno, dal nostro soggettivo punto di vista.
Ma è indubbio che, se da un lato l'emissione di molecole per ottenere difesa in caso di pericolo, lo scambio d’informazioni attraverso l’utilizzo di miceli, il propagare segnali elettrici simili a neuroni cerebrali o la stessa capacità di chiudere le foglie in risposta all’ambiente circostante, per una pianta non sono affatto cose di trascurabile valore, dall'altro, per noi creature umane, risulterebbe decisamente penalizzante il limitarci a queste aspirazioni…
Pertanto sì, vegetare non è un gran bel vivere per un essere umano: “Mi mancan le parole per costruire torri in faccia al sole - scriveva il cantautore Pierangelo Bertoli - sarà perché son stato troppo tempo a vegetare e l'ho chiamato spesso riposare”; ma vegetare non è sinonimo di esistere.
Penso, però, che anche la letteratura abbia fatto il suo, alimentando non di poco l’equivoco, se lo stesso Wilde convintamente scriveva che per essere felici è necessario essere capaci di vivere, non dimenticandosi di aggiungere che la maggior parte degli uomini si limita solo ad esistere e nulla più, perché il saper vivere è la cosa più rara al mondo.
Eppure, riflettiamo: vivere non è altro che la condizione di poter esplicare le funzioni vitali primarie, e questo indipendentemente dalla specie di appartenenza a cui si faccia riferimento, tanto che si parli di vegetali, funghi, licheni, animali o uomini, infatti, è sempre lo stesso sottofondo musicale.
Anche le nostre amiche verdi o fiorite, nel loro stato vegetale, conducono comunque una vita.
Vivere è, infatti, questo, vale a dire semplicemente stare al mondo.
E’ l’esistenza, invece, ad essere qualcosa di differente, perché in sé l'esistere implica un carattere di trascendenza.
Ma anche al di là dell’esistenzialismo ontologico o fideistico, un ente che esiste sta necessariamente sempre al fuori di se stesso, non fosse altro per il fatto che non è mai solamente quello che si trova ad essere in atto. Al contempo, infatti, è anche quello che potenzialmente sarà e che, pur nel presente, sta già progettando di voler essere nel suo prossimo o remoto futuro.
La vita, infatti, può anche essere passata in un letto o in un carcere o spesa in quattro mura timbrando sempre alla stessa ora la propria entrata e la propria uscita, mangiando, dormendo e garantendo le funzioni necessarie per la propria sussistenza organica, ma per quanto poco coinvolgente ed anche al di sotto di ogni lecita attesa possa essere - in ogni caso - è sempre vita. Vivere, quindi non è indicativo di null'altro.
Esistere, invece, è tutt'altra storia. Perché implica una promessa d'infinito che non ci limita al solo significato di curare il nostro organismo biologico - proprio come fa ogni specie sulla terra - ma permette all’essere umano di non esaurirsi mai del tutto in se stesso.
Una buona parte di letteratura e tutti i luoghi comuni del mondo, invece, continuano a tramandare la fola che esistere significhi vegetare, ovverosia esplicare un mero atto di passiva comparsa - perlopiù incosciente - in questo mondo, e che sia il vivere, invece, ad essere un qualcosa di più, perché oltre ad essere comprensivo dello stare al mondo viene considerato legittimo sinonimo della capacità di sentire, pensare, sperimentare ogni emozione, momento e moto dell’anima.
Ecco, io credo sia esattamente il contrario.
Ed il perché, lo chiarirà in immagini verbali Milan Kundera al mio posto.
Nel vivere non c’è alcuna felicità.
Vivere è soltanto portare il proprio io dolente per il mondo.
Ma essere è felicità.
Essere significa trasformarsi in una fontana e in una vasca di pietra,
nella quale l’universo cade come una tiepida pioggia.
M. Kundera
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