Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

Messaggi di Ottobre 2017

CHI, COSA ESSER TU?!?

 

 

Come un’anima errabonda a cavallo fra il mese di ottobre e la nebbia di novembre, in una inquieta ricerca di pace, Alice cammina attraverso il di qua e il di là, ed il velo si solleva per lei fra i mondi; ma non incontra la lanterna che illumina lo spirito vagante dell’irlandese Jack, l’astuto ed improbo fabbro che raggirò il diavolo, bensì un grande bruco blu, seduto in cima ad un fungo, a braccia conserte, intento a fumare in silenzio un lungo narghilè.

Quello stesso bruco che gli adattatori italiani della Disney, tra le volute bianche del suo fumo, ribattezzano “Brucaliffo”.

 

 

Ed in questi giorni in transito tra la vita e la morte, il qui e l’altrove, in uno scambio di figure in cerca di mimesi e di vicinanza, la leggenda vuole che per sfuggire all’avvento delle anime errabonde in giro per il mondo, l'unica soluzione per i viventi fosse tentare di mimetizzarsi travestendosi da spettri, demoni e streghe per confondersi con loro.

Differenziarsi per avvicinarsi.

Avvicinarsi per sfuggire.

Mascherarsi per diventare, così, invisibili.

 

Brucaliffo: Cosa essere tu?

Alice:  Bè non so più neanche io signore, mi sono trasformata così tante volte oggi che...

Brucaliffo: Io non capirci, spiegati meglio...

Alice: Temo di non potermi spiegare diversamente signore, perchè, al momento io non sono più io e...

Brucaliffo: Un bel garbuglio.

Alice: Non so spiegarlo più chiaramente perchè non è chiaro neanche a me!

 

Socraticamente ironico, in un processo di giochi verbali, nel suo ostinato non rispondere alle domande e nel riproporre altri interrogativi, il Bruco Blu suggerisce tutti i mezzi ad una giovanissima e puntigliosa Alice che, invece di captare i suggerimenti, si indispettisce perché il Bruco la costringe ad una non immediata deduzione e le indica lo strumento senza, però, mostrarle alcuna modalità per l’uso.

 

Alice: Bè...non le pare che potrebbe prima dirmi che cosa esser lei?

Brucaliffo: Un’incognita, ad ora un Bruco Blu.

Alice: Oh, quant’è confuso, sembra un rebus!

Brucaliffo: Allora scioglilo...

 

Il punto, infatti, (e non solo di domanda, ma della questione intera...) potrebbe essere  questo: Davvero quando chiediamo qualcosa, è sempre perché non la sappiamo?

Sicuri, sicuri?

In realtà, per formulare una domanda “giusta”, bisogna, di fatto, già conoscerne la risposta…

Quando si chiede per ottenere qualcosa, non si pone, forse, la richiesta proprio a chi, di fatto, sappiamo che ci potrà fornire la cosa che vogliamo, piuttosto che rivolgerla a chi già reputiamo non potrà aiutarci?

Se, invece, domandiamo qualcosa riguardo ad un evento o ad una circostanza futura che noi non conosciamo né possiamo conoscere, non potremo comunque scoprirlo, neppure ricevendo una risposta.

Ma in tutti i casi, il cervello non sa evitare di rispondere alle domande.

Per utilizzare bene questa funzione del domandare, la condizione inderogabile, però, è quella di conoscere prima, in modo dettagliato, almeno quello che vogliamo sapere o desideriamo ottenere. 

Ma la mente può essere anche la nostra peggiore prigione e quando ci accorgiamo che le risposte fornite sono negative o disfunzionali, per scardinare la prigione da noi stessi costruita, dobbiamo deciderci a cambiare il nostro quesito...

La soluzione, infatti, è già nella domanda.

E se una domanda è ben posta, a volte, non necessita neppure di una risposta...

 

 

 

 
 
 

“Non calpestare i sogni…e i Palmipedon neppur!”

 

 

“Mi è capitato molte volte di vedere un gatto senza sorriso…”

esclamò Alice,

“ma davvero mai un sorriso senza gatto!”

(Lewis Carroll – Alice nel Paese delle Meraviglie)

 

 

Ho riflettuto molto, per un motivo o per l’altro, sulla genialità di Lewis Carrol e nonostante la mia naturale idiosincrasia verso il wonderland (che, probabilmente, solo chi soffre di crisi angosciose e teme di perdere il controllo potrà immediatamente comprendere) ho, comunque, deciso di avvicinarmi a questo specchio deformante, cercando di superare il mio "panico reverenziale" con relativa attrazione/repulsione al seguito.

D’altronde, la paura va integrata in qualche modo alla vita e non c’è proprio verso di annullarla soltanto con un colpo di coda gommata, come farebbe uno stregatto (e i palmipedon neppur…)

Quindi, esorcizzando il timore verso lo spettro d'ogni gradazione di schizofrenia, ho scoperto che Carrol è davvero un ottimo grimaldello di cui rifornirsi per aprire (quasi) ogni porta dell’universo umano.

Così, lontana dal sentirmi come Dante nella selva nel mezzo del suo cammino terreno, sarò, invece, come Alice: svagata e incontentabile, delusa dalla razionalità eppure devota alla logica. Ma soprattutto ancora incapace di lasciarsi andare.

Una lezione, però, che entrambe dovremo pur imparare, a dispetto di tutte le nostre sdegnose reticenze.

Perchè, talvolta, davvero l’unico modo per vincere è proprio quello di smettere di opporre resistenza…

 

Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero.

“Che strada devo prendere?” chiese.

La risposta fu un'altra domanda: “Dipende. Tu dove vorresti andare?”

“Non lo so…”, rispose Alice.

“Beh, se stanno così le cose – disse lo Stregatto –  allora non ha neppure importanza quale strada prenderai!”

 

            

 

 

 

IN SINTESI...

Una piccola "non-conclusione", necessariamente aperta, come ogni finale di un work in progress, suggerita da un commento lasciato da woodenship.

A che serve chiedersi dove si va, dice lui, giustamente. Se, dopotutto, ovunque andrai non potrai essere mai altro che te stesso, e al contempo, mai più te stesso?

E questa è una chiave per leggere la risposta/domanda dello stregatto.

Allo stesso tempo, però, è possibile considerarla anche al contrario, riflettendo sul fatto che non serve chiedersi che strada prendere, se non si ha prima ben chiaro dove si voglia andare, proprio perché non si sa chi si è.

Dunque? Saremo sempre noi stessi, eppure necessariamente mai gli stessi, conoscendoci come ci invita a fare l'Oracolo di Delfi, o diventando ciò che, però, in fondo, già siamo, in un paradosso che implica il ritornare ad essere ciò che già siamo. Ed in tutto questo, davvero...il "dove andare" si svuota di ogni suo significato, in termine di strada.

 

.

 
 
 

TRA SETTEMBRE E OTTOBRE, OLTRE L'ESTATE

 

 

 

Sul fatto che settembre fosse il mio mese preferito, e non solo un mese (!) ma uno stato d’animo con l’illusione di proroga a tempo indeterminato, l’ho già detto in ogni dove nel digitale e nel reale (se qualcuno volesse, per qualche sorprendente motivo, capire meglio a cosa mi riferisco, può approdare anche qui); oggi però estendo il concetto ad una stagione intera.

 

 

Celebro l’inizio di questo mese arrossato e combattuto tra nostalgie e propositi, ricordando a tutti coloro che mai si sono sentiti estimatori di qualsivoglia alternativa all’estate, ed ancora e per sempre restano ancorati alla passione per l’ora legale che, forse, è imprudente e sbrigativo tracciare una linea troppo demarcata tra il bello e il brutto o il buono e il cattivo persino quando si parla di periodi dell’anno e che, in questo mondo mescolato di tutto contaminato dal tutto, anche la bella stagione per antonomasia è una questione di gusto, con ben poco d’incondizionato e molto di relativo.

Personalmente, davvero, dei 40 gradi estivi salvo soltanto il fatto che (all’occorrenza) se si deve stendere un velo pietoso si asciuga in meno di un minuto; perchè ogni colore brillante in natura o rigoglioso tripudio di opulenza, ogni esplosione di luce e concerti di vegetazione si fanno pagare con continue manifestazioni autolesionistiche quando annullano ogni loro benefica espressione a suon di colpi di sole e di calore, assenza di ventilazione e umidità incinta di malesseri: tempie doloranti, infiammazioni, edemi, insofferenza, crisi di panico, frustrazione, irritabilità al limite della legge, difficoltà a concentrarsi, a dormire (e…continuo?)

Per questo non ho problemi a riconoscere la bellezza mite di pacata eleganza e di sensualità discreta di questi mesi nati oltre l’estate.

Prendiamocela calma, e amiamo questa stagione che non incalza.

Non ci pungola per stare al passo con le dittature e l’impero dei sensi dell’estate, non ci sovraccarica di pretese, stimoli e punture d’insetti ed infine non si mostra con una bellezza che, seppure vestita di sole e d’azzurro, in fondo, resta sempre uguale a se stessa.

L'autunno, invece, è tutta un'altra storia...e non è per tutti; ma solo per chi sa fermarsi a guardare.

O sa cosa farne.

 

L’autunno è tè caldo delle cinque, libri, copertina e scrivere al pc con il rosso delle foglie che dalla finestra ti guarda tra la pioggia e il sole ammansito del pomeriggio.

L’autunno è nelle biciclette appoggiate ad un albero nei boschi, nelle castagne scoppiettanti arrostite sul fuoco e nelle sere che rinfrescano ma rassicurano se avvolte in sciarpe colorate, fino ad arrivare al profumo della cioccolata calda con i biscotti alla cannella da respirare ad occhi chiusi accanto agli aghi di pino, ranicchiati nelle luci aranciate e accoglienti delle notti natalizie.

Così, io celebro le rossastre nubi del San Martino di Carducci, la pioggia e l’uva pigiata nei tini, il mosto profumato e le passeggiate per le vie dei borghi, le castagne e le zucche, le transumanze di greggi e mandrie che scendono verso le valli ed i ceppi accesi che vanno a rallegare le anime.

La mia sicuramente.

E poi anche quelle di chi questi doni sa apprezzarli.

Perchè l’autunno, semplicemente, non è per tutti.

 

 

 
 
 

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