ElettriKaMente
Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)
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AVVISO AI NAVIGANTI...
Tutti i passanti sono gentilmente invitati a lasciare fuori da questo blog:
incontinenze di ogni genere e tipo,
pratiche onanistiche finalizzate alla pubblicazione
e manie persecutorie-vittimistiche,
grazie.
Anche se il blog é moderato, ogni intervento pervenuto viene pubblicato.
Qualora il vostro non risulti, invece, visibile tra gli altri è semplicemente perché, presentando tracce delle sopracitate (incontinenze, pratiche onanistiche o manie persecutorie-vittimistiche)
vergognandosi di se stesso e di chi l'ha messo al mondo, si è autoeliminato.
Capisco che il nome del blog potrebbe trarre in inganno, ma qui non troverete il supporto psichiatrico che andate cercando.
Cordialmente,
Elettrikamente,
EleP.
Messaggi di Novembre 2018
Post n°277 pubblicato il 23 Novembre 2018 da ElettrikaPsike
"Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m'avevano data; cioé vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano.” -Luigi Pirandello-
Pirandello (e non solo lui) sosteneva che ci fossero tanti noi quanti sono gli uomini che ci conoscono: ogni persona, infatti, ci ricreerebbe secondo la sua prospettiva come un nuovo noi, -non potendo, d'altronde, conoscerci in alcun altro modo se non attraverso il suo sguardo e la sua soggettiva percezione- fornendoci, in tal modo, una sempre differente identità. E questo, almeno in gran parte se non proprio interamente, è riscontrabile con facilità già solo vivendo, perchè è insito in quella condizione di essenziale incomunicabilità propria della specie umana. Io, qui, però, voglio ribaltare la questione e parlare di quanto accade quando noi diventiamo molteplici per noi stessi (e non allo sguardo degli altri) proprio grazie all'interazione con il mondo. E soprattutto con alcuni individui che stanno in questo mondo...
Non sempre troviamo le persone adatte grazie alle quali poter vivere parti di noi che altrimenti non vivremmo. E questo lo accogliamo, se non si può forse proprio dire che lo capiamo, molto presto, già da piccoli. Anche se in principio resta una sensazione indefinita, osservata in un groviglio d'inquietudine e guardata come si può guardare un'altra sorprendente matassa da dipanare nel mondo delle emozioni. Poi, con il tempo, il gomitolo si srotola e se anche il filo non sembra portarci verso nessuna via d'uscita definitiva, almeno ci solleva dal peso di un ingarbugliato intreccio di tante voci e di tante identità che non sapevamo neppure da dove prendessero inizio. E così come accade per tutti, accade anche per me. Ci sono mie voci interne che parlano solamente quando alcune voci esterne le interrogano; colori dentro di me, o forme a cui il mio corpo si adatta, che si impongono facendomi diventare qualcosa che poco prima non ero, soltanto quando certi occhi mi guardano. Non lo so perché; ma ci sono tanti noi dentro ciascun blocco di ogni nostro noi che, insospettabilmente, aspettano - anni, vite - per esprimersi e presentarsi come una declinazione sconosciuta del nostro stesso nome. Sono come anime dentro la nostra anima che ad un certo punto della vita emergono con un sentire e con un vedere che per i nostri precdenti sensi risulta del tutto nuovo. Abbiamo tanti occhi e differenti voci dentro, che guardano e raccontano un mondo che solo loro possono cogliere e raccogliere. Eppure...il prodigio non si compie mai da soli. Queste anime dormienti si destano in noi come nelle fiabe, soltanto con la vicinanza ed il contatto di una particolare presenza esterna. Per amore o per magia che sia, ma è il suo intervento che ci risveglia e ci trasforma. E noi? Noi restiamo a guardarle arrivare... Perché puoi provare quanto vuoi a cercarle, inventarle - e neppure sospetteresti di ospitarle, in qualche eremo del cuore - ma queste insospettabili anime addormentate dentro di noi sono fantasmi che solo ad alcune musiche rispondono, grazie ad alcune parole, per sortilegio, affiorano, e solo con certi silenzi sbocciano.
Come luci, accendendosi rapidamente, non appena sfiorate.
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Post n°276 pubblicato il 10 Novembre 2018 da ElettrikaPsike
In passato, e poi anche più recentemente, mi è capitato di dare il mio parere sulla letteratura erotica e la poesia in particolare, ed ho sempre detto che raramente questo genere mi ha saputo prendere o quanto meno convincere, anche quando o se d'autore. I risultati, almeno su di me - da Verlaine ad Anaïs Nin - nonostante i precisi intenti di affabulare irretendo sensi e spirito, sono quasi sempre stati un climax di perplessità annoiata. Ai troppo apertamente dichiarati passaggi d'amplesso, rispondono le mie percezioni con compatimenti dubbiosi, ai tentativi di edulcorazione metaforica risponde il mio sistema limbico. E così, alle metafore edulcorate e fatte di cerimoniosi ammiccamenti preferisco, ancora una volta, le perifrasi sinestetiche e ad un orgasmo dichiarato di certo un chiasmo. Ma se erotismo in lettere dev’essere, prenderò le parole di quattro autori, mescolandole. E confondendole, lasceró liberamente a loro la possibilità di unirsi e slegarsi, fondersi e trasfondersi.
Questo - per me - è erotico, perché mai coltre fu più calda e lontana e mai fu più feroce il piacere dentro la carne di quando le parole, senza dire, fanno.
Voglio un amore doloroso, lento, che lento sia senza tregua in un tormento, che occulte siano le nostre anime assorte e che pianga in un silenzio intento.
Voglio…voglio…voglio… giacendo su quell’ombra, un desiderio urlato e come in fondo ad un sepolcro trovare l’Infinito.
Taci, ora, e bevimi, che possa esser io entro la tua coppa come un mistero, quello del vino, calmo e in estasi.
Rovesciami, su, oltraggiami, in alto come rami che muove uno stesso vento, in basso come rosse radici che si toccano, in estasi di vini di me e di te mescolati…
E poi inginocchiati: Amare è un combattimento di lampi e di due corpi da un solo miele sconfitti.
Forse, luccicando immoti, assai tardi i nostri sogni si unirono, nell’alto o nel profondo, tra il fuoco e l’acqua.
Forse il tuo sogno si separò dal mio e per il mare oscuro mi cercava come prima, quando senza scorgerti, navigai al tuo fianco: I tuoi occhi cercavano, ed in me la notte entrava.
Quale antica notte tocca l’uomo con i suoi sensi? Dormi sui miei dolori, se i miei dolori non ti bruciano; legati alle mie ali, che forse le mie ali ti porteranno, e, svegliandomi d’improvviso, raddrizza tu i miei desideri, che forse compiangi la loro lotta.
Ho dormito con te, tutta la notte, mentre l’oscura terra girava per i sottili cammini del sangue fino ad essere - e non essere – che un lampo nell’ombra.
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