EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura
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Post n°479 pubblicato il 29 Giugno 2014 da enodas
30 Giugno
28 Maggio
E' un viaggio lungo, in bus, malgrado la distanza. L'autobus è rimasto imbottigliato entro una marea di bambini che sfilavano con la bandiera biancoazzurra della stella di David lungo le strade cantando e giocando. E' un giorno particolare oggi, anche se non ne conosco il motivo. Come dubito lo conoscano i bambini grembiulino e zainetto per le strade. Eppure sono in Cisgiordania. Ma l'autobus, partenza dalla stazione centrale di Gerusalemme è un autobus israeliano, che collega la città con gli insediamenti. Ho perso l'orientamento, quasi subito, ovviamente, ma è evidente che mi muovo di insediamento in insediamento, lungo la strada per Hebron.
Poco lontano, infine, due ragazzotti palestinesi ci attendono in una zona ibrida, in cui non è chiaro quali permessi servano loro per poter stare, all'ombra di un chiosco di cartoline, sotto lo sguardo di un paio di militari annoiati. Mentre si avvicina un bambino in sella ad un asino, facciamo pochi passi e siamo di fronte ad un bivio. Un bivio su tre lati, con cancelli e posti di blocco: una strada in salita, chiusa e guardata a vista, l'accesso alla Mosche di Ibrahim e l'entrata lla città vecchia attraverso quello che era fino a qualche anno fa il suq. Oltrepassare questi cancelli è come oltrepassare la porta di una prigione: i tornelli cigolano, il metallo verniciato di bianco mostra i primi segni di ruggine, in teoria potremmo essere perquisiti e si deve esibire un documento di riconoscimento. Prima di noi passano tre bambine ed una pezza di bambola in mano. Il tornello scricchiola ancora. Ed io sono entrato in un mondo. Ora sono in Palestina, non più solo fisicamente, qualunque cosa possa significare. Questo una volta era un suq colmo di vita e di caos, secondo la declinazione classica araba. Oggi invece passa qualcuno, ma i negozi semiaperti e deserti lungo la strada sembrano testimoniare esattamente ciò che non c'è più. Qui sembra si combatta per non soccombere all'oblio, l'oblio di una situazione politica che nell'oblio diventerebbe uno status quo. Qui sorseggiare una spremuta d'arancia mi sembra un gesto che trascende il sapore intenso dei futti del sole, un bambino si muove con il vassoio del thè e delle donne gestiscono una cooperativa che vende tessuti lavorati sul luogo. Qui sembrano essere rimasti soltanto gli anziani, i cui occhi sembrano accompagnare nel tempo le storie che hanno da raccontare e che sembrano testimoniare una rassegnazione mista a saggezza, quella saggezza tipica di chi ha lasciato alle spalle una porzione sufficiente della propria vita per poter raccontare. Ma anche loro, pur nella loro saggezza, si oppongono all'oblio del mondo. E lo fanno mostrando una mappa dei Territori, di quello che dovrebbero essere secondo una linea tratteggiata e di quello che sono, secondo zone di colori diversi che indicano controlli giuridici differenti. Lo fanno puntando il dito verso il cielo, guidando il nostro sguardo: sopra di noi si alternano strati di lamiera e linee di filo spinato. Ed infine, case nuove, squadrate e di pietra bianca di Gerusalemme, alle cui finestre sventolano le bandiere con la stella di David. Da qui, dicono, vengono lanciate immondizie e rifiuti. Per questo motivo le lamiere e le reti. Il dito si sposta e sfiora delle sciarpe pashmine, imbrattate di uova: quest'uomo le tiene esposte perchè lui non lascerà questo posto.
Questo, dunque, è il cielo di Hebron. A me l'immagine del filo spinato su sfondo azzurro evoca altre silenziose immagini passate davanti ai miei occhi.
Dal suq vecchio si sbuca in una piazza affollatissima, ricca di vita, viavai di animali, merci per terra, ai lati, sui carretti. E' un caos organizzato. E' la strada che prosegue verso un portone d'acciaio che sbarra la strada. Sembra di accedere ad un oracolo, lasciando ai lati dei propri passi i blocchi di cemento armato, le pietre sul terreno, mozziconi di oggetti bruciati. Controllo passaporti, delle sbarre che cigolano. Resta il sole, ma piombo nel silenzio. Pochi metri che sembrano terra di nessuno, ed io ch vedo quelle stessa case, da un altro lato. Nel silenzio, leggendo ai muri una storia che segue le stesse date ma racconta qualcosa di diverso, l'attacco che diventa difesa, invasione che diventa resistenza e risorgimento, e viceversa.
Questo è il mio racconto, queste le domande senza risposta. Posso solo raccontare quello che ho visto: il cielo oscurato dalle reti spinate, le porte senza serrature, le pietre sulla strada, i fori nei muri ed i parco giochi recintati. Posso raccontare di quello che non ho visto ma sentito: una tensione palpabile, pronta ad esplodere, covata dietro ingiustizie, lutti e risentimenti a catena. Questo non avrà mai fine. Non lo dicono apertamente, ma si odiano, nel profondo. E tutto ciò che ognuno vede dell'altro sono soltanto un cancello che cigola, soldati armati fino ai denti e pietre che piovono dal cielo. Nessuno conosce l'altro, nessuno comunica, persona a persona. E noi, siamo spettri, a cui magari cercare di acquisire un po' di consenso, che ci spostiamo da una parte all'altra. E nel momento in cui un uomo dice Shalom e porge la mano, l'altro non la accetta, e tace, quando anche il suo saluto sarebbe lo stesso augurio di pace, quasi la stessa parola, Salam. Eppure, ancora una volta, non c'è comunicazione.
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