EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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Post n°482 pubblicato il 13 Luglio 2014 da enodas
4-6 Giugno
Direzione sud. Costeggiando il Mar Morto, lungo la strada più lunga del Paese, tra due punti che sono l'estremo di un paesaggio che sa cambiare radicalmente. E man mano il luogo diventa più selvaggio, la costa abbandonata alla bellezza della natura o circondata dagli impianti di estrazione di minerali, e la terra del deserto che dall'altro lato della strada fa da contraltare sempre più friabile e precaria nelle sue sculture di roccia quasi fatte di sale puro, che ovunque, in un posto diverso da questo sarebbero sciolte, letteralmente. Come affondano le scarpe, su una distesa di sale e di fango. Verso sud, agli angoli più remoti di Israele, al confine con la Giordania, dove gli ultimi avamposti sono paesi dietro una cancellata che si frappone sulla strada, una via di mezzo tra l'esperienza dei kibbutz ed i moshav, comunità di cooperative agricole. E' così, in un angolo remoto ed un terreno che sembra un'oasi di pace lontana da tutto, dalle lotte ma anche da una vita freneticamente senza pausa che la terra acquista quel valore così fondamentale di cultura, di lavoro, di fondamento della nazione stessa. Che questi insediamenti sono conquista di una terra impressa nella tradizione, promessa contenuta nelle pieghe della storia, sono conquista dei padri fondatori, pionieri su un suolo dove tornavano dopo generazioni, isolamento ed integrazione, a seconda delle filosofie portanti alla base della comunità e dei gruppi migranti che, dall'Europa e dal mondo, sono giunti sin qui. Variano leggermente secondo differenti sfumature le fondamenta politiche, la divisione dei terreni e dei beni, il concetto, recuperato, di proprietà privata e di entità familiare. Abbracciando una filosofia di lavorazione della terra che rimane ancorato alla genuinità dei suoi frutti, dalla scelta dei semi, quasi della vita stessa, ed al rispetto del suolo attraverso un lavoro duro e semplice. Tanto che il paradosso vuole che siano ormai volontari e stranieri, talvolta proprio arabi, talvolta dall'Asia più lontana e più povera, ormai, a sostentare con la propria forza l'esistenza di queste realtà.
Sempre più sud, mi inoltro nel Negev. Costeggiando crateri e formazioni rocciose dall'aspetto imponente e lungo strade ai cui margini si sfilano interminabili reti di protezione, avvisi a non fermarsi, non fotografare, alla presenza di zone di tiro. Nemmeno da immaginare cosa si nasconda, cosa sia tenuto, qui. Un deserto enorme che si spinge fino al Mar Rosso. Un deserto che é l'essenza stessa della tradizione ebraica. E' un'affermazione affascinante, riportata spesso, specie laddove il fondatore del moderno Israele é sepolto. Dinanzi un wadi che si apre spettacolare e curva, poi dietro le montagne. Un tratto di verde smeraldo su una tela arsa dal sole. Il vento sospira, da quassu, smuove la chioma giovane di un alberello ancorato sul ciglio, e le fronde di quelli che, alle mie spalle concedono uno spazio d'ombra. E come gli sprazzi di nuvole che scorrono veloci su un cielo limpido, scorrono gli istanti, la percezione del tempo per come lo conosciamo, per come noi, piccole entità, sappiamo concepirlo.
E come perso tra le pieghe del deserto, affondo nella storia. Prima di tutto, quando su questo suolo arrivavano le carovane d'oriente colme di spezie e di ricchezze. Un percorso avventuroso, quasi infinito, una sfida che partiva dall'India ed arrivava fino al porto di Gaza. Sulla strada carovaniera sorgevano allora ricche città che fungevano allo stesso tempo da avamposti e luoghi sicuri, sfarzo e ricchezza di un popolo quasi leggendario, quello dei Nabatei. Ecco varcare l'ossatura di un arco significa risalire indietro nella storia. Partendo da quella più recente, quando l'orologio si é fermato per l'ultima volta, ed i Bizantini erigevano chiese e rinnovavano la tradizione Romana, indietro ai Romani stessi che introducevano i loro usi, la cura maniacale del corpo, portata fin ai confini dell'impero, ben curandosi di lasciar prosperare la ricchezza dei commerci, fino alle mura più antiche, fortezze e cattedrali insieme nel deserto, letteralmente. Sulla cima di punti spettacolari e strategici o immerse nel cuore della terra, nella roccia per sfuggire al caldo più atroce, ciò che colpisce maggiormente é l'ingegno e la strenua forza dell'uomo nell'esplorare e nel sopravvivere.
Ed alla fine sono giunto. Quasi ai confini del mondo, laddove il paesaggio sembra una cartolina della luna. Lungo una propaggine della Rift Vallei si spalanca un cratere che lo sguardo non riesce ad abbracciare. Sull'orlo di un precipizio, su cui si affacciano occhi sognatori e lo sguardo fisso degli stambecchi. E quel senso di vertigine infinita che scaturisce da un dirupo sul quale rimani sospeso, ed allo stesso tempo da un senso di potenza e piccolezza supreme.
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