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Post n°863 pubblicato il 28 Agosto 2020 da enodas

 

 

 

Osservo la città, in lontananza, oltre il profilo degli alberi che lambiscono la balconata. Il profilo dei pini diventa a poco a poco una silhouette sullo sfondo della città ardente, un braciere di luci che diffonde nella sera ed ancora, più in là soltanto la percezione della costa che si apre sul mare. Il fascino di Roma e ognuno di questi, in un'immagine di storia, potere, carattere e problemi tutto intimamente connesso. I Castelli Romani, con quel nome, non potevano che iniziare da un'immagine così, con la grande città ben visibile ai loro piedi, e quella sensazione di aria fresca, la sera d'estate, che gratifica quel minimo dislivello di altitudine. E anche se le distanze sono brevi, questo sembra davvero un altro mondo, molto più lento e tranquillo, più riservato e personale, come questo sguardo, la sera sulla campagna che lentamente scompare e le luci tumultuose che si fondono in un colpo d'occhio indefinito.

 

 

Una lenta salita, verso una città che non esiste. Non più, almeno. Un anziano indica la strada, uno stretto sentiero che sembra strappato al bosco e che invece rivela pietre appoggiate oltre duemila anni fa. Anche da questa posizione, come molti punti dei Colli Albani si osserva la Città Eterna con uno sguardo silenzioso e perduto, come perdute appaiono le rovine, inaccessibili oltre una cancellata chiusa, altre sparse qua e là a resistere all'oblio e la vegetazione tutto intorno. Come nel passato, questa città antica dal nome Etrusco osserva la vicina potente e se é vero che allora esisteva un collegamento diretto che da qui scendeve fino al cuore dell'impero, é vero che anche ora rimane quel dialogo silenzioso, sospeso nell'aria, abbandonato ad un nome ed alle poche persone che salgono fino a qui.

 

 

Dicono che sia una delle borgate più belle tra i Castelli. Tra sapori di vino, fragoline di bosco e funghi lasciati a seccare. E soprattutto da quel costone di roccia che domina il lago, la strada che attraversa il centro e diventa un sentiero che scende, idealmente, fino al tempio di Diana, ciò che ne resta ora soltanto un'eco lontana, tra culto e magia, ed alle acque azzurre sulle quali si specchiava la dea.

 

"...Ecco Nemi! celato entro una conca
di poggetti selvosi, egli non teme
il furiar dei nembi, e mentre il vento
svelle le querce dall'ime radici,
qua e là s'increspa mormorando appena
lo specchio ovale del suo vitreo lago..."

(Geroge Byron)

 

 

E' il luogo del potere, quello che tra le tante ville antiche e le fortezze forse più rende la parola Castelli. E' una fortezza possente che unisce potere temporale e potere spirituale. Perché Roma é pur vicina e per lungo tempo si identificava nel Papato. Dalle finestre inondate di vento e di luce si scorge un lago, un altro, specchio d'acqua oltre la pietra bianca di un balcone, oltre le geometrie perfette che si allineano senza fine, un vero e proprio regno nel regno, nascosto agli occhi comuni.

 

 

E' passata un'altra sera. Dopo aver risalito un altro tratto di foresta, ancora una volta un lastricato antico che improvvisamente affiorava tra le foglie ed i ciuffi d'erba, addentrato tra silenzio degli alberi ed arrivato a respirare il silenzio del panorama che si estendeva tra Castelli, laghi separati da una linea di terra, ed ancora il bosco. Risceso, mi sono trovato in un villaggio deserto, la cui pietra antica si incastraca, casa su casa, sul fianco della montagna. Lontano dai riflettori delle cittadine più note, era come osservare un altro Paese, un altro luogo, ancora una volta uno di quei borghi forse destinati a scomparire, fantasmi silenziosi che si spengono la notte in un sospiro. E, un'ultima volta, vedo la Città Eterna in lontananza, così distante da sembrare ancora impossibilie.

 

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