EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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Messaggi di Dicembre 2018
Post n°784 pubblicato il 29 Dicembre 2018 da enodas
"Tutti i mercanti d'arte della città aspettano la visita di Hansen, che viene ricevuto come una piccola divinità. Sono tutti ansiosi di entrare in contatto con lui e mettono da parte le loro cose migliori per il consigliere di Stato..."
E' un po' una storia ed un po' un'avventura. L'avventura, tormentata, di una collezione d'arte, costruita, perduta e recuperata. La storia di un grande momento della pittura, questo periodo che riesce sempre ad affascinarmi e perdermi in infinite narrazioni, nei suoi interpreti, nelle sue storie, nei suoi aneddoti come pennellate di colore. Ed una aneddoto, alla fine è anche questa collezione. Così, più o meno pesantemente, ci sono davvero tutti i grandi maestri dell'Impressionismo Francese, un filo conduttore lungo cinquant'anni, dai primi passi alle scelte estreme di Gauguin e Cezanne. Attraverso il "paesaggio" ed il nuovo modo di osservare e ritrarre la natura, al trionfo dell'impressione, del colore e della luce, la pittura di un mondo nuovo e moderno, che affianca città e vicoli in movimento agli orti ed ai giardini, fino al fascino della figura femminile e all'ultimo artista, Gauguin, ampiamente rappresentato, che tendeva alla fusione tra pittura, musica e sogno, ovvero tra sensi e immaginazione, laddove "le figure si dissolvono nello sfondo attraverso una trama di pennellate, senza profondità e senza contorni, per suggerire un legame più profondo e intimo dell'uomo con la natura".
"...il bello è nella natura e si riscontra nella realtà sotto le forme più svariate [...] Il bello, come la verità, è legato al tempo in cui si vive..." (Gustave Courbet) "... Sisley coglie gli istanti fuggevoli del giorno, osserva una nuvola di passaggio e sembra catturarle in volo. Sulle sue tele soffia una brezza lieve, e le foglie tremolano e fremono ancora..." "... Il punto è di sapersi servire dei colori [...] io mi servo di bianco d'argento, di giallo cadmio. di rosso acceso, di rosso cupo, blu cobalto, verde smeraldo, ed è tutto..." (Claude Monet) "...riprodurre ciò che vediamo, dimenticando tutto quello che è stato prima di noi..." (Paul Cezanne) "...non dipingete troppo dalla natura. L'arte è un'astrazione, prendetela dalla natura sognando al suo cospetto..." (Paul Gauguin) "... La pittura è la più bella di tutte le arti. In essa si riassumono tutte le sensazioni, di fronte ad essa ciascuno può, seguendo la propria immaginazione, creare un romanzo, e con un solo sguardo sentirsi l'animo invaso dai ricordi più profondi..." (Paul Gauguin)
Ecco, in questo percorso sostenuto tutto d'un fiato c'è ovviamente tanta emozione e tanta curiosità, ma anche un po' di spaesamento rispetto ad altre mostre costruite su una storia ben precisa. E, spiace ammetterlo, con quella sensazione finale di attesa di qualche opera in più da vedere, rispetto le aspettative.
"Per il resto trascorro il tempo guardando quadri, ed è meglio che confessi ora, e non più tardi, che sonostato sconsiderato e ho fatto acquisti importanti. Ma so che mi perdonerai vedendo cosa ho preso; tutto di prima classe con tanto di stelle..." (Wilhelm Hansen)
"[...] Capolavori dalla Collezione Ordrupgaard consentirà al pubblico italiano di ammirare una strepitosa selezione di opere, il fior fiore della Collezione creata ai primi del Novecento dal banchiere, assicuratore, Consigliere di Stato e filantropo Wilhelm Hansen e da sua moglie Henny. Collezione che è considerata oggi una delle più belle raccolte europee di arte impressionista. E che, all’indomani del primo conflitto mondiale veniva valutata come "senza rivali nel nord Europa". Hansen, che sino ad allora aveva collezionato solo pittura danese, fu affascinato dalla nuova pittura francese in occasione del suo primo viaggio d’affari a Parigi nel 1893. Viaggio seguito da metodiche visite al Salon, alle gallerie e ai musei. Da queste frequentazioni maturò, nel 1915, il progetto di creare una collezione di arte francese all’altezza della sua collezione danese. Alla decisione non fu estranea l’idea che l’arte francese fosse destinata ad un rapido aumento di valore e risultasse quindi un perfetto investimento, purché ad essere acquistate fossero le opere realmente più importanti sul mercato. Scelta che spiega la presenza, in Collezione, di una concentrazione così elevata di capolavori. In soli due anni, dal 1916 al 1918, Hansen riuscì a creare, grazie anche agli avveduti consigli di uno dei più importanti critici d’arte del momento, Théodore Duret, una collezione che il suo collega collezionista svedese Klas Fåhræus avrebbe descritto come la “migliore collezione impressionista al mondo”. [...]" (dall'Introduzione alla mostra) |
Post n°783 pubblicato il 27 Dicembre 2018 da enodas
Un dito sulle labbra. Sguardi silenziosi mi penetrano trapassandomi gli occhi. Figure nascoste, occhi ammalianti, luci nell'ombra. E' un mistero, forse, quello cui vengo invitato ad esplorare, preso per mano, idealmente, da questi occhi, segreti divini. O forse una raccomandazione al silenzio, il mio, perchè questo cammino iniziatico rimanga nascosto, ed io metta a tacere ogni suono, quasi anche il respiro, e spenga infine la voce, quella della ragione, perchè possa ascoltare i sussurri dell'inconscio. Perchè di questo si tratta: una discesa - dantesca - nei luoghi più oscuri dell'animo, nel recesso del pensiero, nel mondo onirico dei sogni, dell'inconscio e dell'occulto, in un mondo fatto di creature mitiche, demoni e streghe, donne voluttuose ed animali mostruosi, questo sarà un viaggio ardito e pericoloso, non solo dentro un'epoca storica ed intellettuale che credo sia irripetibile, ma anche e soprattutto un'odissea interiore, affascinante e sconvolgente come il canto di una sirena. Custodito nel silenzio, nascosto nelle tenebre più profonde.
"...abbiamo originato astri e cose occulte, un'ora di malinconia sul mio divano, nel silenzio e nella semioscurità. Astenersi, portare il dito alle labbra e posarsi una pietra sul petto, ridurre il proprio bisogni di espansione..."
Ho fatto mio il segno di Arpocrate. Ed allora, ipnotizzato, ho varcato le porte del tempio, sfiorando idealmente con le mani simboli arcani e significati nascosti. Attraversando salon d'artisti e isole di Utopia, sono sprofondato negli abissi, nelle tenebre ancestrali che avvolgevano creature ripugnanti, tra le urla sinistre di una notte del Sabba o i sibili malefici di streghe che attraversavano una folta foresta. Una figura languida si stagliava nel cielo, mentre un'altra con gli occhi spiritati mi trapassava con gli occhi colmi di follia. Sono riemerso, me ne sono illuso, tra salotti borghesi e cerchi magici in cerca di fantasmi e spiriti occulti. E ancora, appena voltato lo sguardo, le voci già un po' più familiari delle persone riunite attorno ad un tavolo, si attutivano fino a scomparire, ed una semidea assisa sul trono mi si sbarrava davanti con il suo fascino perverso ed inquietante. La luce, i colori sfavillanti, volgevano a Oriente - in realtà, tutto ciò che non era il mondo europeo dell'epoca -, regno dell'immaginazione di artisti e di miti favolosi, e proiezione del sensualismo represso della società occidentale. Una sfinge si ergeva tra le onde di un mare in tempesta, prima di approdare all'ultimo porto, laddove scienza e spiritualità cercavano un confine comune, incontrandosi in un universo di forme semplici e simboliche, all'esplorazione del sogno, delle vibrazioni dell'anima e dei sensi interiori. Perchè, se il sonno della ragione genera mostri, a volte può anche dare alla luce un'arte sublime.
"La natura è un tempio ove colonne viventi Charles Baudelaire
"...è umido e freddo - e i gatti e le gatte, ieri maghi, che battono le zampe. Zinco e ardesia dei tetti. Quei randagi notturni, quegli stregoni e quelle streghe. Accovacciati accanto al focolare..."
Si materializzano nella notte, quando dall'oscurità si protendono a sfiorare la realtà e rapire la mente per condurla nei suoi angoli più recessi. La notte, come la foresta, è uno spazio inquietante e sacro, paradigma di un regno non civilizzato, e la cui rappresentazione è negativa, spaventosa, malvagia, un dominio di figure indistinte, al di sotto della sfera umana e animale, come gli incubi maliziosi con braccia allungate, o i vampiri, corrispettivi maschili della bellezza femminile perversa e portatrice di tenebra e di notte. Questo richiamo irresistibile nacque in contrapposizione alla nascita delle prime metropoli, forse anche a quel secolo dei Lumi che lo aveva preceduto. Mettere a tacere la voce della ragione. In questo pantheon di creature misteriose non potevano mancare i fantasmi, quegli spiriti che, servendosi dell'artista, trascinandolo negli abissi della voluttà, della sottomissione, talvolta della morte, spalancavano le porte su nuovi metodi di indagine dell'inconscio. Con il nuovo secolo, con la nascente psicoanalisi e le nuove terorie scientifiche, quel senso di magico e misterioso cambiò, combinandi l'universalità delle forme con l'universalità dello spirito. Ne scaturì una nuova, differente, forma di rappresentazione, costituita da forme simboliche, dal forte rimando archetipico che di lì a poco sarebbero state interpretate e rielaborate, ancora più profondamente, dalle nascenti avanguardie.
"La creazione vive come genesi sotto la superficie visibile dell'opera" (Paul Klee)
"Arte e Magia. Il fascino dell’esoterismo in Europa [...] indaga i rapporti tra le correnti esoteriche in voga tra il 1860 e gli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale, in particolare tra il pensiero magico-irrazionalista e la sua influenza sulle arti figurative europee. Il movimento simbolista trovò nell’occultismo fin de siècle un terreno poetico attraverso cui dispiegare un enorme bagaglio di figurazioni, miti, emblemi e filosofie eterodosse. Grazie a questo connubio tra occultismo e simbolismo l’artista era in grado di perdersi tra creature fantastiche, bellezze perverse e altrettante oscure demonolatrie. I maggiori centri in cui fu rilevante l’influenza della cultura esoterica sulle arti figurative si situarono tra la Francia ed il Belgio dove la corrente simbolista si intrecciò spesso con la letteratura. [...] Con l’avvento del modernismo e nel corso dei primi decenni del novecento l’esoterismo occidentale acquisì invece il titolo di “controcultura” che le restituì un ruolo comprimario nello sviluppo dell’avanguardia artistica europea cooptando al suo interno, grazie al suo innegabile fascino, alcune delle menti più affascinanti della società contemporanea. (dall'Introduzione alla mostra)
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Post n°782 pubblicato il 23 Dicembre 2018 da enodas
"Marley era morto, tanto per cominciare. Non c'era alcun dubbio. Il registro della sua sepoltura era stato firmato dal pastore, dal chierico, dall'impresario delle pompe funebri e dal responsabile della cerimonia funebre. L'aveva firmato anche Scrooge. E il nome di Scrooge alla Borsa era valido per qualsiasi cosa su cui lui decidesse di mettere mano. Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta. ..."
Complice la coincidenza delle date, e l'immancabile vicinanza con le festività natalizie, sono andato a vedere - e ascoltare - questo musical di produzione interamente italiana. Tratto dal racconto che da piccolo conoscevo tramite la rivisitazione della Walt Disney, Il canto di Natale ricorda che la ricchezza d'animo e il coraggio di far fronte ad una situazione poco agiata sono la vera ricchezza. E' un messaggio concetto noto e ripetuto che tuttavia rimane assolutamente attuale, ed è un contrasto che, seppur addolcito nella forma quasi fiabesca di Dickens, pone l'accento su contraddizioni che viviamo ogni giorno, un po' tutti in questa società. |
Post n°781 pubblicato il 20 Dicembre 2018 da enodas
Ho dato un ultimo sguardo al prezioso albero di Natale che da un paio di anni addobbo con largo anticipo nella casa in Olanda, di cui ho fatto in modo che ogni palla rappresenti un ricordo. Ho spuntato con lo sguardo anche le ultime caselle del calendario di cioccolatini, che aprirò immancabilmente col nuovo anno. Così, ho spento le luci della casa ed ho lasciato che le altre, danzanti, illuminassero di luce propria la sala buia. A volte, guardando queste immagini, sembra un po' strano. Ad ogni modo, penso che tra qualche ora partirò e so che, idealmente, guardando il profilo dell'aeroporto man mano allontanarsi, chiuderò un altro anno in terra straniera ed in un mondo che per me rimane sospeso. Lo farò guardando ai prossimi giorni con la speranza ed il desiderio di tanti giorni racchiusi in poco tempo, giunto al termine di un'attesa negli ultimi giorni di un dicembre dove poco a poco tutto rallentava gradualmente, e partendo in modo un po' differente da come vorrei.
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Post n°780 pubblicato il 15 Dicembre 2018 da enodas
"...Mr. Pumblechook sembrava sbrigare i suoi affari guardando, dall'altra parte della strada, il sellaio, il quale sembrava trattare i suoi affari tenendo d'occhio il costruttore di carrozze, che sembrava tirare avanti nella vita mettendosi le mani in tasca e osservando il fornaio, che a sua volta incrociava le braccia e fissava il droghiere, che se ne stava sulla porta e sbadigliava al farmacista. ..."
Anche se purtroppo non è un argomento gioioso, questi giorni, vorrei parlare di un evento che non è propriamente mercatino di Natale, ma una variazione curiosa che trova radici dal modno letterario. C'è una città, al centro dell'Olanda, per le cui strade, alla vigilia di Natale, si materializza lo spirito di Dickens a di molti di quei personaggi che in un'epoca di grandi cambiamenti, furono protagonisti di storie fantastiche, miserabili e di redenzione. Tra le strade che lentamente sembrano essere sprofondate nel tempo appaiono coppie dai vestiti agghindati, monelli in cerca di un penny, mestieranti, vagabondi persi nel vuoto e talvolta pure spiriti di Natale nascosti sotto tele grigie che scendono fino al terreno. Un arcobaleno di umanità così come esce dalle pagine dei romanzi del grande scrittore inglese che sembra rivivereo proprio come quelle strade, che serpeggiano attorno alla piazza centrale nell'illusione creata di trovarsi tra i vicoli di una Londra dell'Ottocento. Il tutto avvolto nel gelo di una cruda giornata d'inverno alle prote del Natale, tra i fumi speziati delle bevande calde, qualche caldarrosta e pure di porzioni di torte cucinate in casa, qualche oggetto insolito che appare qua e là a creare un'atmosfera comunque insolita da queste parti - dato che in Olanda, malgrado la latitudine, la cultura dei mercatini è decisamente povera. Nel complesso, è un evento abbastanza suggestivo che merita di essere visitato. Nello spirito del Natale presente, ma con l'eco di quello passato.
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Post n°779 pubblicato il 10 Dicembre 2018 da enodas
28 Ottobre - 1 Novembre
Un passo, in salita, scrutando le nubi. C'è solo oceano, ovunque diriga lo sguardo, in questo angolo dimenticato del mondo. Sarà qualcosa di speciale. Sale, la via cerimoniale al sacro vulcano. E le scogliere si fanno via via più profonde, in quel vertiginoso abisso che prelude all'infinito, linea d'orizzonte unica e monotona che fende le nubi. Questo vedevano loro, o forse, chissà, rimarrà un mistero dietro le ombre dei giganti, consegnato all'eternità sulla pietra battuta dal mare, simboli di vita, di forza e natura. Un altro passo, fino a quando non sia il vento a fermarmi, violento, sibilante e selvaggio, sull'orlo del vulcano, cratere gigantesco che conduce al villaggio sacro all'ultimo estremo. Vento violento, sprazzi di luce e di nubi bluastre che si muovono rapidamente sopra di me, ed un'oasi di pace, protetta ed irraggiungibile, nella gola del sacro vulcano. Eco lontani di una gara cruenta, canti religiosi e di gloria, fuochi misteriosi che immagino stoicamente tremolanti di fronte alla crudezza del vento. Laddove si librava il mito dell'uomo uccello. Così è stato il primo incontro con l'Isola di Pasqua.
Così, alla fine, mi sono trovato davanti ai giganti. Distesi ancora inghiottiti nella roccia, abbattuti, inclinati lungo il pendio, sparsi fino al mare, allineati contro il riflesso argenteo delle acque. Finalmente ho accarezzato l'illusione di toccare il passato e dialogare col tempo. L'ho fatto specchiandomi nello sguardo fisso ed enigmatico di qualcosa che rimane incomprensibile, come la forza del vento, il moto del mare, o il ruggito di un vulcano, lasciando che nubi e sprazzi di sole scorressero sopra la mia testa, in una forza straripantee misteriosa che in silenzio emanava da queste figure impiantate nel terreno ed ancorate a qualche fondale misterioso della storia.
Le storia di Rapa Nui, l'Isola di Pasqua, è la storia del mondo. In questo microcosmo confinato dal mare, la storia dell'umanità si ripete come in qualunque altro angolo del mondo. Arrivarono dal mare, da terre tanto lontane da essere dimenticate, esplorarono l'isola ed infine la colonizzarono. Un triangolo di terra dalle pareti rocciose a picco sul mare, una manciata di chilometri per lato, con un'unica vera spiaggia. Crebbero e prosperarono: da un'unica discendenza nacquero villaggi e comunità, sui quali vegliavano le superbe figure dei Moai, gli spiriti antenati, e l'ombra dei sacri vulcani. E nella ricchezza della loro civiltà evoluta consumarono il legno, ed ogni altra risorsa, fino a competere per averle: gli antichi fratelli presero le armi e le puntarono uno contro l'altro, distruggendosi a vicenda, abbattendo gli spiriti protettori degli altri. Decimati, con la memoria perduta: così furono conosciuti dal mondo moderno, un giorno di Pasqua. Così divennero schiavi di un'unica grande fattoria, fino ai tempi recenti, in cui una nuova emancipazione li ha portati a ricercare quella loro storia perduta. E' un pensiero triste e tremendo, che in questo angolo di purgatorio e paradiso - a seconda della prospettiva - gli uomini, nonostante il loro ancestrale legame di sangue, non abbiano saputo far altro che distruggersi a vicenda, cancellare la memoria, ed inaridire la terra.
La ragazza sorride e mi riconosce. Sono ormai giorni che mi vede ogni volta chiedere la coppa di gelato più grande. Sapori dai nomi sconosciuti ed una reminescenza dal sapore esotico. L'Isola di Pasqua è anche questa, oggi, l'atmosfera di un villaggio - sperduto nel mare -, numerosi pick-up a solcare l'unica strada che corre attorno l'isola, e la gente che sicuramente si conosce tutta. Del resto dopo un paio di giorni, ho la stessa sensazione. La sera di halloween i bambini girano per strada accompagnati dai genitori, travestiti di eroi occidentali alla ricerca di dolcetti ad ogni negozio, lungo l'unica vera via del paese. Eppure l'anima di quest'isola è sospesa, tra Sud America e la sparpagliata Polinesia, cui, onestamente, sembra effettivamente appartenere, non solo per le sue origini storiche, non solo nei tratti del volto e nell'atmosfera della vita sull'isola, ma anche per la tradizione riscoperta e finalmente rivalorizzata dai suoi abitanti originari. La danza, il cibo, il rispetto per la terra attorno cui sorgono i Moai, finanche i segni religiosi in vita quanto nella morte, commistione di simboli tribali e retaggio cattolico, tutto rimanda all'universo polinesiano.
L'ho cercato per giorni, e per giorni, frustrato lo vedevo inghiottito da nuvoloni minacciosi che preannunciavano raffiche di pioggia. Arrampicandomi lungo la costa, a nord della città, incontravo nuovi amici di passaggio e mi sedevo ad attendere un tramonto che non arrivava mai, quando ormai sull'orologio era tarda sera. Sono salito, anche l'ultima sera. A trovare finalmente quel cielo infuocato cha si accendeva alle loro spalle. Immobili, silenziosi e lontani, nella loro dimensione sospesa tra terreno e altro mondo, osservano la terra illuminata da quell'ultimo sole, e lasciano che l'infinito lambisca alle loro spalle.
Ho mantenuto la promessa e sono risalito lungo la via sacra che porta al vulcano. Perché ho scoperto che aggirando il cratere il paesaggio e la veduta dello scorcio di mare erano tutt'altra cosa. Sono partito con la pioggia ed ho raggiunto la cima sotto il sole. Camminando lungo una circonferenza che sembrava non finire mai, ho ripercorso queste giornate, l'emozione di trovarmi di fronte ai Moai, le camminate lungo la costa a strapiombo sul mare, le grotte sotterranee e le suggestioni di un popolo che venne da molto lontano, un punto sperduto nell'oceano verso ovest. Ho riassaporato quella sensazione di essere in un angolo tanto sperduto che pure il mio tempo, il mio mondo, sembrano vivere una dimensione diversa. E allora, giunto all'altra estremità del cratere, difficilmente ho cercato di staccarmi da quella vista, dalla linea d'orizzonte, gli speroni rocciosi piantati nell'acqua. Perché era l'ultimo sguardo, un'ultima immagine da scattare con gli occhi.
Non ho fatto in tempo a salire sull'aereo che ho provato nostalgia. Nostalgia di qualcosa di impalpabile, una sensazione, quel tempo che scorreva in maniera diversa, questi giorni, indipendentemente che ci fosse sole o piogge torrenziali, e l'aver anche solo sfiorato una quotidianità così lontana e così genuina. Forse, è anche la consapevolezza che difficilmente tornerò su questo punto sperduto nella mappa. Ma anche, e soprattutto, ho nostalgia dei giorni all'ostello, delle persone incontrate, alcune altrove per caso, molte un po' curiose e con storie interessanti di se stessi e dei loro luoghi, piccole schegge che hanno condiviso con me. In pochi giorni, è stato come se non stessi viaggiando da solo, per quanto in realtà durante la giornata fosse effettivamente così, ed ogni tramonto cercato, ogni sera assaporata nella calma del buio, magari osservando la pioggia cadere e cercando comunque un respiro di vento, ogni tratto di costa dove mi sono fermato e seduto ad osservare l'infinito in una delle sue espressioni più intense erano in poco tempo diventati attimi di pace da gustare ogni giorno.
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Post n°778 pubblicato il 03 Dicembre 2018 da enodas
27 Ottobre / 23 Novembre
Questo post è un po' inizio ed un po' fine. Perchè attraverso Santiago sono passato più di una volta, quasi mai fermandomi veramente. E questa città, che si apre in quello che sembra uno spazio deserto appena superate le Ande, l'ho vista in maniera un po' insolita, una mattina di sabato, quando le strade colorate erano ancora dormienti e, più tardi, lungo i viali, quando la folla si dirigeva come un serpente flessuoso nel pieno di una manifestazione, ed infine ancora più tardi quando infine straripava di gente per le strade tra negozi e spettacoli notturni di luci sparse per le strade.
"...trovammo cinque o seicento ragazzi venuti da tutto il paese con il rischio di essere catturati dalla polizia scatenata dai gendarmi di Pinochet. (Stefano Malatesta - Neruda e il gigante)
Sono sceso dall'autobus, e subito mi sono trovato investito da un'ondata di colori e rumori. Come mai credo in questi giorni. E' stato un flash improvviso, dopo tanti deserti e tanti spazi sconfinati, che mi ha portato indietro nel tempo in chissà quali terre. I colori ed i rumori della strada, colma di gente, e del mercato che ne riempiva ogni marciapiede. Quadri di vita portena, come gli angoli in stato un po' precario degli edifici abbandonati al tempo, gli scorci di strade attraversate dai bus vecchiotti e rumorosi, e quelle note calde di musica danzante che han fatto riemergere quelle sensazioni provate il primo giorno, non troppo lontano da qui.
"Compagni, seppellitemi a Isla Negra (Pablo Neruda)
So che sono giunto alla fine di questo racconto. Osservo del finestrino, gli ingressi alle vigne, lungo la strada, una ennesima carretera, che lungo una valle fervida porta da Santiago all'oceano. Oltre, le piante in piena esplosione d'estate, si attorcigliano lentamente al sole. Non ho ancora realizzato pienamente quanta strada, quanta meraviglia, quanto calore abbia incontrato, nei luoghi e nelle persone, ma sono contento di quello che è stato. E se da un lato la stanchezza mi fa guardare avanti, dall'altro ho la sensazione che stia uscendo da un sogno, ed il desiderio profondo di non dover partire. E mi rendo conto che i tre grandi capitoli questo viaggio, così come li avevo pensati e desiderati, una volta letti abbiano ogni volta lasciato una nostalgia alla partenza, e nei giorni immediatamente successivi. Una sensazione che si alleggeriva, man mano che iniziavo pagine nuove. Ora, giunto al termine, sebbene ancora non me ne sia reso conto, porterò queste sfumature irrimediabilmente con me.
10 voli (e nessuno perduto questa volta...)
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