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BOTCHA ni BRASA

Post n°146 pubblicato il 30 Gennaio 2010 da guerrinob

14/11

Botcha ni Brasa vuol dire Terra dei Balanta

E' venuto a trovarci Ramani con un suo fratello. Ramani ha studiato a Pinerolo dai Giuseppini, nel salutarci precisa che suo fratello è un suo cugino. E' un artigiano molto abile nei lavorare il ferro e nei lavori di meccanica. Come altri Brasa istruiti, padre Armando Cossa, Armandon, Giulio, ci sono molto preziosi quando vogliamo comunicare con gli abitanti del villaggio su qualche problema nel quale la precisione della comunicazione è importante.

Tema importante è la produzione degli alimenti necessari, sopratutto il riso.

I brasa non hanno la cultura dell'accumulo, pensano di rispondere alle varie necessità man mano che si presentano. Questo è un pregio che andrebbe integrato con un minimo di programmazione che dia maggiori garanzie, altrimenti si trovano sovente in situazioni di scarsità di cibo e a soffrire la fame.

La coltivazione del riso ai bordi dei Rio, che hanno acqua salata, richiede molto lavoro per la manutenzione degli argini. La popolazione Brasa ha subito nella guerra di liberazione molte perdite. Le braccia rimaste sono poche e sono molte le risaie i cui argini sono stati sfondati e l'acqua salata ha invaso la bolagna rendendola improduttiva. Prima della lotta di liberazione la Guinea esportava riso, ora ne importa il 40%.

Le risaie sono situate ai bordi dei fiumi salati, perchè sono terre basse dove è possibile raccogliere l'acqua delle piogge, e perchè prima di collocare le piantine di riso, cresciute nei vivai , fanno entrare l'acqua del fiume, che con i suoi fanghi le fertilizza. Resta alle prime piogge della stagione il compito di dilavare la salinità eccessiva e riempire le risaie.

Il governo, vedendo queste difficoltà oggettive, ha suggerito e favorito la coltivazione del anacardo. Si sarebbe venduto il cagiù, (anacardo), richiesto anche dal mercato internazionale, e con i soldi ricavati dall'esportazione si sarebbe comprato il riso. Cosi è stato fatto. Ma mentre due anni fa bastava un sacco di cagiù per avere un sacco di riso, ora ci vogliono due sacchi di cagiù per un sacco di riso e capita anche di non trovare il compratore interessato al cagiù. Le solite leggi del mercato.

Credo che i programmi governativi e quelli della cooperazione internazionale dovrebbero dare molta spinta al restauro, al ripristino, all'ampliamento di risaie, perchè questa coltivazione è strettamente connessa alla loro tradizione.

Mentre costruendo scuole e ambulatori, la cooperazione deve garantire a lungo il proprio intervento, di una risaia ristrutturata i coltivatori locali sanno molto bene cosa fare e lo fanno nel migliore dei modi.

L'esempio del anacardo va tenuto presente anche nell'ipotesi di sviluppo delle piantagioni di jatropha, per il biodiesel, che potrebbero diventare una fonte di reddito importante, ma non lo devono diventare a scapito della coltivazione degli alimenti. Oltretutto questa piante non hanno bisogno di campi fertili. Possono essere più opportunamente coltivate in zone aride, avendo necessità di una piccolissima quantità di acqua.

Di più, la coltivazione del riso, non deve dispensare dallo sviluppo di altre coltivazioni, per supplire ad eventuali carenze di riso. Come era prima della coltivazione del cagiù.

Così, come è raccontato in un bellissimo documentario realizzato nel Burkina Faso, non si starà più ad attendere il rumore dei camion con gli aiuti internazionali, ma si attenderà il rumore della pioggia.

 
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