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LUCIANA

Post n°148 pubblicato il 31 Gennaio 2010 da guerrinob

sono appena tornata da Fanhè, un piccolo villaggio di 600 persone lungo il rio Mansoa in Guinea Bissau. Vi sono stata circa mese, con l’obiettivo di collaborare con i maestri per migliorare la qualità della scuola elementare attiva da settembre 2006.

Attualmente frequentano più di 200 studenti dai 7 ai 26 anni, divisi in due prime, una seconda, due terze e una quarta.

Ogni martedì sera ci siamo incontrati (noi volontari con i tre maestri elementari, le due maestre dell’asilo e la bidella) e abbiamo affrontato vari problemi tra cui la mancanza di materiale scolastico e di libri. Abbiamo scoperto che in tutta la Guinea non esiste una libreria, ma solo un luogo dove acquistare i testi curricolari di 1° e 2°. Per la 3° e la 4° abbiamo poi trovato al mercato dei testi fotocopiati e/o di seconda mano, ma ormai eravamo di ritorno e non abbiamo potuto comprarli.

Poichè avevo portato dei libri di favole sia in italiano che in portoghese, ho pensato di creare una piccolissima biblioteca con tanto di tavolo e panca per leggere e/o svolgervi i compiti (i ragazzi vivono in capanne di terra, pulite, ma senza tavoli nè sedie, nè acqua, nè luce elettrica).

Su richiesta delle maestre siamo andati in capitale ad acquistare materiale vario per l’asilo (forbici, fogli, colla, cartoncini), 3 forniture complete di libri per la 5° elementare (2 saranno date a luglio agli studenti migliori della quarta come borsa di studio per incentivarli a proseguire gli studi, uno rimane in biblioteca).

A Lisbona avevamo comperato 3 dizionari per i maestri, libri per bambini e documentari DVD in portoghese, da mostrare con il nostro computer e proiettore quando siamo sul posto.

Abbiamo preparato 12 borse di studio (nel vero senso della parola, in quanto i ragazzi vengono a scuola con quaderno e matita nel sacchetto di plastica), con dentro materiale di uso comune (matita, biro blu e rossa, temperino, 12 matite colorate, quaderno, portapenne) da dare ai due studenti migliori per ogni classe a luglio a fine scuola.

 

.... ma perchè proprio a Fanhè e non in un altro posto nel mondo?

... perchè ho lasciato casa, famiglia e lavoro per stare con gente sconosciuta, pagandomi il viaggio e tutte le spese?

La domanda mi è stata posta da una collega che ascoltava il mio racconto entusiasta ai ragazzi in classe... e mi ha spiazzato.

Poteva sembrare ovvia la risposta: per aiutare gli altri!

Mi sono resa improvvisamente conto che non era così, che il bisogno che mi ha spinto laggiù era ben altro. In realtà me l’ero chiesto più volte mentre avevo caldo (38° all’ombra al pomeriggio), mentre avevo freddo la sera per il finestrino rotto della macchina, mentre ero stanca di sobbalzare sulla strada sconnessa. Non mi ero data risposta, vivevo il momento stando sempre attenta a stare fisicamente bene il più possibile perchè non ci sarebbero stati medici nelle vicinanze.

Man mano che passava il tempo mi disintossicavo dalla fretta convulsa della nostra vita quotidiana, mi adattavo ai tempi lenti dell’africa. Mi rilassavo e cominciavo a vedere più da vicino la vita quotidiana della gente del posto.

Le donne faticano dalle 4 del mattino alla sera alle 22 per prendere l’acqua al pozzo e portarla a casa o agli orti con i piccini sulla schiena qualsiasi cosa facciano.

I bimbi fanno i pastorelli dall’età di 6 anni.

Le bimbe aiutano le donne dall’età di 3 anni.

Gli uomini coltivano e tagliano il riso per la famiglia o fanno i mattoni con la terra cotta al sole.

Tutti, ma proprio tutti sono sempre gentili e disponibili alla chiacchiera, non si affrettano mai, apparentemente non bisticciano tra loro, sono quasi sempre allegri, nonostante non siano garantiti i bisogni primari e tutto sia precario.

Pensavo di andare a portare un pezzo della mia civiltà, in realtà ho imparato molto da loro. Ho scoperto che le priorità sono altre, molto più semplici e che in realtà scaldano l’anima...

Con gli altri volontari al mattino si decideva che cosa fare in base ai bisogni primari: avere l’acqua da bere andandola a prendere dai frati missionari, avere l’acqua per la doccia facendo funzionare la pompa immersa nel pozzo, contrattare il prezzo della papaya o del pesce o della gallina (viva) che i balanta ci portavano. Se tutto ciò era a posto si poteva passare al motivo per cui eravamo lì e quindi trovare il modo di far venire agli incontri più gente possibile per parlare degli orti, della scuola, del nuovo pozzo o della cucina da costruire.

Andavamo a letto entro le 22, dopo essere stati sotto le stelle, circondati dai bimbi nudi coperti da un semplice lenzuolino di cotone, a chiacchierare, senza telefono, senza televisione, senza internet, senza luce.

Ho scoperto che tutto ciò non mi mancava... ho scoperto che ogni sera il cielo è diverso, sembra che si muova, avevo più tempo per pensare...

Allora uno si sente più ricco al ritorno, nonostante abbia speso tempo e denaro. Si sente più ricco dentro, di qualcosa non quantificabile in tempo o denaro, di qualcosa di molto profondo che ti lega all’umano, all’altro che è sempre e comunque sereno anche se non possiede tutte le comodità della tua vita.

Senti di essere solo una goccia nel mare dell’africa, ma che vale la pena di essere lì anche se solo uno di quei bimbi trarrà beneficio dalla tua esperienza e scopri che il vero motivo che ti ha spinto ad andare è perchè lì, nell’incontro umano, ti senti bene tu.... 

Luciana

 

 

 
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