La strada era come un fiume che rotti gli argini scorreva lento e inesorabile verso la Terra Promessa. La corrente di quell'umanità in transumanza spazzava via ogni paratia, trascinava a valle ogni dubbio, ogni paura. Nulla era più dolce e terribile di quel miraggio.
Un padre moriva e lasciava le sue scarpe ad un figlio che nasceva e il cammino continuava. Lungo, duro, gioioso.
Di giorno quel limo umano si muoveva verso nord con i sogni in avanscoperta come primi pionieri di un'epoca nuova e ad ogni calar della sera la fiumana si addensava in pantani improvvisati lungo la via dove ognuno trovava conforto.
Una fetta di lardo sul pane, un piatto di mais e fagioli, patate con lo strutto. Per i più fortunati una porzione di carne. E a fine serata c'era sempre chi preparava il caffè per tutti, gente conosciuta e gente mai vista prima; e c'era chi suonava e cantava: era importante, saper suonare e cantare, perché l'anima vuole nutrirsi tanto che il corpo.
La mattina, poi, al primo sorgere del sole, le tende rappezzate e i sacchi a pelo svanivano e la marea saliva di nuovo muovendosi verso nord e verso ovest. Donne, vecchi, bambini; esseri umani gli uni vicini agli altri, ed erano tanti.
Le carrette, comprate per un prezzo esorbitante da venditori con occhi piccoli e fronte bassa, si muovevano a passo d'uomo, mentre vecchi muli ceduti per due soldi diventavano carne da stufato. Carrette di ogni marca e modello, carrette americane che tornavano a casa. Carrette cariche di ogni cosa fossero riusciti a portare via dalla miseria e dalla devastazione: pentole, materassi, provviste, vecchie assi di legno schiodate chissà perché dalle pareti di quella che un tempo chiamavano casa e messe lì forse a far da sponda a tutta quella vita ammucchiata alla meglio e coperta con un telo di ricordi.
Ma i ricordi svanivano lenti di fronte al sogno, e allora gli uomini già si vedevano a raccogliere prugne e arance e pesche al sole della California, e per ogni pesca un sorriso, e per ogni arancia gialla come il sole, un brutto ricordo che sbiadiva. E poi una casa, una casa sì, una piccola casa bianca dalla quale una voce di donna li avrebbe chiamati quando fosse stata ora di pranzo; una piccola casa bianca verso la quale avviarsi stanchi e contenti.
E intanto la corrente trasportava sogni, desideri, ossa vecchie e ossa giovani. Ossa affamate.
Una donna allatta il figlio appena nato. È nato in viaggio come Gesù bambino, ma senza mangiatoia né bue né asinello, mangiati entrambi per la strada o venduti in scatola al supermarket.
Una donna allatta il suo bambino nato in viaggio come Cristo e quando il Redentore è sazio e non piange più, lo stesso seno passa alle labbra avide di un altro Salvatore la cui madre non ha latte a sufficienza e poi ancora, di bocca in bocca, a quelle di un vecchio che non salverà nessuno, ma ha fame e non più denti, e si nutre di quella solidarietà liquida e dolciastra che sgorga così uguale per ogni fame dal seno di una donna riempito ormai solo dalla speranza.
Dall'altra parte delle concertine occhi spaventati li guardano. Occhi chiari di fredda indifferenza, occhi scuri di terrore, occhi che cercano in quella miriade di stracci e vite ammassate poco oltre una line inesistente un motivo per odiare, perché se non odi il tuo nemico non puoi combatterlo, e il nemico adesso è lì, alle porte della loro civiltà, appena dietro gli spunzoni rugginosi del filo spinato.
L'occhio del mondo è ancora su di loro, ma tace, perché una guerra senza morti non è una storia buona da raccontare. L'occhio del mondo li guarda e sa che presto potrà parlare, perché non esiste una guerra che non faccia morti.
L'occhio li guarda e adesso anche loro si guardano. Si guardano negli occhi, tanto sono vicini.
La marea di qua e quella di là da una linea inesistente.
Si guardano come soldati in trincea.
Si guardano e aspettano che qualcuno faccia la prima mossa.
Erano gli anni trenta e i contadini dell'Oklahoma, spinti dalla siccità e dalla depressione seguita alla crisi del '29 abbandonavano le loro terre per cercare fortuna in California. Americani in America. Ciò che trovarono ad attenderli fu esattamente lo stesso muro di indifferenza e paure che oggi separa il Nord del mondo dal suo Sud.
L'ho trovato così aderente a quello che sta succedendo oggi e non solo in America, che mi è venuto naturale riadattarlo in tal modo.
Speriamo che Steinbeck non se ne abbia a male: era un tipetto alquanto tignoso, sa? :-)
Buona serata, Madame
Ciao, Gio', e grazie per l'apprezzamento.
Vedi, Psike, tu lo sai io non sono pessimista, sono solo realista, e so per averlo vissuto, che raramente la parola "solidarietà" si concilia con la parola "proprietà", e quando si tratta di esseri umani, quasi sempre la seconda ha la meglio.
Chi ha qualcosa non lo cede così facilmente e solo quella forza chiamata necessità, spinge gli uomini a condividere tra loro ciò che hanno.
Solo quando si crea un obiettivo (o un nemico) comune si genera quella solidarietà di cui parli, e allora lo stesso seno allatta tutti, vecchi e bambini, ma è solo perché in fondo alla strada c'è quel sogno ad attenderli e da soli è più difficile raggiungerlo, mentre quando si è in tanti è più facile spingere la carretta verso il traguardo Il problema sorge dopo. Cosa succede dopo? Cosa succede una volta superato il traguardo?
Fino ad oggi è sempre andata così: i primi che arrivano prendono i posti migliori e menano colpi sulle nocche di quelli che provano a salire a bordo, perché una volta sulla barca, in meno si è e più spazio c'è per ognuno.
...Con buona pace di quella solidarietà che li aveva portati fin là.
Eppure io ancora non riesco a smettere di sperare in questa umanità.
Ciao, Psike cara :-)
Anzi, in armonia con quanto ho scritto nel post e nelle risposte ai commenti, io pensavo di accogliere a braccia aperte questo tuo dilagare di parole migranti arenate sulle spoonde sabbiose del mio blog.
Anzi, guarda, pensavo proprio di cederti direttamente il blog: le chiavi sono sotto il tappetino. Ci vediamo quando torno da Patong (mi hanno detto che lì sussistono... come dire? Molte piacevoli distrazioni, ecco :-)
P.S. Quando esci dai due mandate alla porta e ricordati di chiudere il gas.
Nei secoli andati i popoli colonizzati hanno sempre trovato il modo di far sopravvivere la propria cultura rinunciando magari ad una parte di essa e fondendola con quella delle popolazioni colonizzatrici per dare origine ad un'entità nuova.
È un moto di rinnovamento e oggi avremmo le capacità e le conoscenze necessarie per accoglierlo e farne tesoro, invece ci si oppone fino allo strenuo senza capire che quando una società ha raggiunto il suo limite, o si evolve e va oltre, oppure è destinata a soccombere.
La storia raccoglie in sé così tanti esempi che sarebbe davvero stupido pensare di poter ripetere gli stessi passi senza compiere gli stessi errori. Ora io mi chiedo se quest'uomo che continua a non comprendere sia più idiota o più diabolico.
Buona serata, Dotta :-)