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Fino all'estremo

La vita è un datore di lavoro che non concede mai le ferie

 

 

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Beauty

Post n°72 pubblicato il 27 Gennaio 2007 da tefnutlagatta
 
Tag: love

"C'è così tanta bellezza al mondo che a volte non riesco a sopportarla...."
(dal film "American Beauty")
 
 
Stiamo andando a mangiare hamburger, patatine e birra ad un pub. Arriviamo che ha aperto da poco, le cameriere puliscono i tavoli con un panno giallo. Mi siedo e l'odore ammoniacale del detersivo sparso sul tavolino mi punge il naso. Andre già osserva il menù, e io non posso che iniziare a fumare a raffica. Perché l'attesa è lunga, l'attesa per non so che, per il cibo, per il buio che cala, perché il disco schifo che c'è di sottofondo finisca e subentri qualcosa di ascoltabile, per provare a pensare che c'è un po' della bellezza del mondo anche in me, e che anche se io davvero mi detesto e sono sbagliata, forse lui la vede.
 
E' morto un carissimo amico di suo padre. Morto suicida. Si è tolto la fede, la catenina, i documenti dalla tasca. Mi vedo quest'uomo sulla cinquantina, naso opulento, un principio di calvizie, striature bianche sul comune castano dei capelli troppo lunghi. Si accosta ad una finestra chiara, e sulla pietra del davanzale ammucchia il rosa della patente, la carta d'identità, il portafogli di vitello. Con calma. Prende la macchina, nella mia immaginazione stranamente uguale a quella che guido io, va alla stazione, parcheggia, chiude, tutto lentamente. Poi si avvia al centro dei binari e aspetta il treno, in piedi, con la pazienza unica di chi aspetta la morte. E il treno è arrivato.
C'è venuto in mente di tirare fuori il cassetto delle foto e spargerle sul pavimento. Alcune sono tagliate, sembra che la nonna di Andrea si divertisse così negli ultimi anni di vita. Ci sono immagini assurde di suo papà magro come un'acciuga che indossa pullover a scacchi e improbabili occhiali da vista taglia oversize. Di suo nonno tutto impettito a cavallo in alta uniforme.
Scavando finalmente arrivano certi album colla copertina di margherite. Le foto scattate ad Andre da piccolo. Se la ride vestito da vampiro a carnevale, con un inquietante rivolo di pennarello rosso che gli scende a lato della bocca. Allo zoo si protende verso il collo della giraffa per strangolarla, mentre papà Biondi cerca disperatamente di impedirglielo. Al mare, ancora neonato, siede in braccio ad una donna. Sulle prime non la riconosco, poi collego i tratti e mi accorgo che è sua madre. Coi capelli ricci e un sorriso raggiante per quel suo calvo e grasso bebè dall'espressione stupita. Troviamo anche un piccolo diario in cui gli amici del liceo le hanno scritto dediche, scarabocchiato disegni di ragazze e rose.
Andrea ha le lacrime agli occhi. Non riesce proprio a pensare a lei quando stava bene. Cerca in tutti modi di averne il ricordo più insignificante possibile. A chi gli chiede di parlare di sua madre prima della malattia, risponde con un "mi hanno detto che".
Ma queste foto non sono un mi hanno detto che. La vede, una donna che lo ha appena partorito e ne è felice.
Si volta verso di me e mormora che si ricorda, sì, si ricorda che quando veniva a prenderlo all'asilo lui le diceva che era bella e che le voleva bene, si ricorda e non è un "mi hanno detto che".
Ecco, ora sta proprio male, nudo e piegato in due sul pavimento per i singhiozzi, o forse sta meglio perché gli è venuta in mente una cosa che non gli ha detto nessuno. Gli sorrido lentamente, lentamente sollevo la sua bella nuca tra le mie braccia per baciarlo. Continua a singhiozzare e allora vado avanti coi baci, gli bacio le mani, il collo, il ventre, l'inguine, le gambe. Vorrei trasporre il mio bacio su ogni cellula del suo corpo, le amo tutte forsennatamente e teneramente, una per una, e desidererei che lo sapessero. Ma forse ce l'ho fatta, perché Andre alla fine scioglie la rigidità del suo pianto e mi abbraccia, inizia a muoversi. Mentre facciamo l'amore è come se sentissi il suo respiro liberarsi di un'oppressione sconosciuta, è un respiro chiaro, semplice.
"Grazie", mi dice accoccolato sul mio seno. Poi, col cuore stanco, si appisola.
E a me viene da pensare che non si fa. Che è tutto sbagliato. Ci sono persone intorno a me che hanno idee sull'amore assai più chiare delle mie, e sanno benissimo che non è quello che ho appena vissuto. Nell'amore non si può sgarrare. Non si può mostrare debolezza e il rispetto per sé stessi è fondamentale. Altrimenti si è alla mercé dell'altro, e l'altro può fare di noi ciò che vuole. Bisogna impegnarsi per tenere la situazione in pugno.
 
L'odore d'ammoniaca è scomparso, sormontato all'improvviso da quello di un cheeseburger multipiano. Andrea ha già addentato la sua piada, multipiano anche quella, e la mangia con foga primordiale. Di nuovo penso che non si fa, ma quando mi fissa ironico con le guance gonfie e i baffi di mascarpone non posso fare a meno di scoppiare a ridere.
Io...guardo le foglie delle palme finte dondolarsi nella brezza, rarissima nelle serate di luglio. E' vero, tirare fuori le foto dal cassetto è stata un'idea sbagliata. Sbagliata la debolezza di Andrea nel piangere, sbagliata la mia debolezza nel consolarlo. Sbagliati i nostri reciproci sentimenti, perché non è questo l'amore. Sbagliato il suo poco rispetto per me nel mangiare con foga, sbagliato il suo poco rispetto per sé stesso nel farne oggetto di risa. Cose che non si fanno, come la morte che per l'amico di suo padre è arrivata col treno perché lui l'ha aspettata.
Eppure non posso fare a meno di pensare che tutte queste cose siano bellezza. Mi rendo conto che è una cosa da malati. Che allora io sono malata, e anche Andrea lo è, perché fa le cose sbagliate, come me, e non può fare a meno di pensare che siano bellezza.
Però...chissà...può darsi che lo siano davvero.
Può darsi che ci sia tale e tanta bellezza nel mondo che le persone non riescano a sopportarla.
Può darsi che sia perché non la sopportano che la chiamano sbagliata.
 

 
 
 
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