Creato da tefnutlagatta il 02/07/2006

Fino all'estremo

La vita è un datore di lavoro che non concede mai le ferie

 

 

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Immaculate

Post n°90 pubblicato il 07 Maggio 2007 da tefnutlagatta
 
Tag: love

Ubriaca a morte. Praticamente ho passato la notte a camminare, sveglia, scalza, attorno al letto.
Non mi sono nemmeno tolta i vestiti. Sono scesa in cantina, e dovevo essere davvero fuori di me per scenderci in piena notte. Con tutto il  mio contorno di fobie eterne, la paura del buio, degli insetti, di quanto possa farmi sentire male l'umido sul collo. C'era questo vino vecchissimo, una bottiglia senza nome che sembrava depositata da secoli interi. L'ho stappata in camera senza cavatappi, semplicemente con le mani. Il liquido ha lasciato subito un alone rosso intenso sulle pareti di vetro.
Un vino pessimo che si sentiva che non era fatto per invecchiare. Era diventato liquoroso e amarognolo. Dopo due bicchieri avevo gli occhi fuori dalle orbite per l'ubriacatura.
Non riuscivo più ad andare sulle scarpe. Tuttavia camminavo sempre più in fretta, spedita dalla rabbia che mi si agitava sotto le clavicole. L'alcol le spianava la strada ma le smussava anche gli spigoli. Faceva il lavoro dello scultore dopo lo sbozzo. La forma, la pesantezza del blocco erano gli stessi, era nella grazia la differenza.
Il letto, totalmente sfatto, con le coperte sbracate per terra piene di impronte fresche, fangose dei miei stivali, attirava la mia attenzione.
Non mi ricordavo nemmeno quando le avevo messe, quelle lenzuola bianche. Mi sembrava in una vita precedente, però. Un letto singolo, letto da ragazzini, ma anche ora mi mancano i soldi per comprarne uno più grande. Ci si distendeva sopra una mappatura interminabile di segni. Gocce di sangue, fuoriuscite da me e da te, di tante giornate che abbiamo fatto l'amore come automi, di continuo, finché le forze non ci hanno abbandonato, finché non ci siamo sentiti le braccia stanche. Le mie mestruazioni. Il taglio sul tuo braccio. Perché fuori pioveva, e non c'era un cazzo da fare.
E' stato meglio così che aspettare la morte.
Poi una macchia unta, vischiosa, ti chiedevo quando te ne saresti andato mentre mi spalmavo la crema. E tu urlavi subito! Subito, e non mi faccio più trattare così. Ti guardavo impassibile, e lo ero anche dentro. In quell'attimo stavo assorbita nel mio massaggiare il corpo nudo, nello sfregarmi i geloni delle ginocchia e l'unica cosa che pensavo era che non avrebbero riattaccato il riscaldamento prima di novembre.
Le punteggiature slargate d'olio. I piselli col prosciutto. Ce li siamo mangiati a letto, con foga. L'unico alimento che c'era in casa. Nessuno che avesse voglia di uscire a fare spesa, a fare qualunque cosa che non fosse stare dentro camera mia a spalancare le gambe all'altro. Entravi ed uscivi da me, non ricordo nulla, a tratti non ricordo nemmeno questo, la verità è che mi sentivo trascinata, stanca e poi all'improvviso accecata dal tuo corpo, e guardavo quelle macchie che avevi lasciato, leggermente in rilievo.
E mi sembrava di ricordare tutto,  ogni istante, ogni batterio. E più di tutto le macchie che non abbiamo lasciato, quei momenti in cui eravamo pazzi e abbiamo bevuto i liquidi l'uno dell'altra. Avevamo fame, freddo.
Stanotte stavo sclerando per queste macchie. Ho detto basta, adesso ne lascio una io, una macchia di libertà, una macchia di solitudine, dove tu non c'entri, la mia macchia! E ho insozzato il letto di sputi, li ho spalmati con le mani aperte ovunque sui segni che avevamo lasciato insieme, ma col gomito ho urtato il bicchiere pieno che avevo posato sul comodino. Il vino si è completamente rovesciato sulle lenzuola, coprendo e confondendo le altre macchie in un velo color magenta.
Allora ho capito.
Bastardo, le lenzuola posso cambiarle quando mi pare. E' da me che le nostre macchie non andranno mai via.

 
Rispondi al commento:
guerrierlumiere
guerrierlumiere il 08/05/07 alle 18:02 via WEB
Era quello che volevo sentirmi rispondere...:)
 
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